13/9/2016 ● Cultura
Il fu...turo
Oggi più che mai nella società occidentale la parola "futuro" sta cadendo in
desuetudine. Ovviamente la stragrande maggioranza di noi, dotata di un pensiero
a corto raggio, individua nella crisi in atto la causa dell'attuale incapacità
di proiettare il proprio operato al di là del mero presente. E così un nuovo
repertorio di luoghi comuni - non c'è più lavoro, né la pensione come i propri
padri, siamo la prima generazione a star peggio dei propri ascendenti, ecc. -
attesta una qualche scomparsa affine a quella unanimemente denunciata riguardo
alle mezze stagioni. Quello che ci appare un incidente di percorso è stato
tuttavia previsto con largo anticipo da intellettuali che hanno descritto con
dovizia di particolari quel che il proprio vasto orizzonte mentale già riusciva
a scrutare. Ora, poiché tra le malattie di noi moderni vi è appunto quella di
vivere concentrati esclusivamente sul presente - e si vedrà perché - è utile
rivolgere lo sguardo al passato per comprendere come sia stato possibile
all'umanità detronizzare se stessa dal ruolo di protagonista della Storia.
Per comprendere quali aspettative nutriamo verso il futuro, è opportuno
precisarne il relativo concetto, che la società occidentale non ha ereditato
dalla madrepatria culturale greca bensì dal Cristianesimo: dalla visione di un
tempo circolare si è passati ad uno lineare, riproducente il paradigma [peccato
originale = Paradiso perduto] - [riscatto in virtù del sacrificio del Messia] -
[riconquista del Paradiso]. Come siamo giunti a questa semplificazione? Per
secoli il mondo romano ha approcciato la realtà metafisica operando un
copia-incolla della cosmogonia greca, finché un imperatore individua nel
Cristianesimo un efficiente strumento di controllo delle masse. Ed allora
Costantino - come biasimarlo? ... faceva il suo mestiere - indice e presiede il
concilio di Nicea al fine di editare una versione standard di una professione di
fede che esibiva troppe varianti. Su questo imprinting culturale va poi ad
innestarsi lo sviluppo tecnologico ed economico, confezionato in veste
capitalistica, che appunto ci regala l'illusione del progresso. Le risorse si
moltiplicano a dismisura, il PIL cresce, quindi il benessere potenzialmente
aumenta ... ma è questo il progresso?
Alcune delle migliori menti già da tempo ci hanno messo in guardia
sull'illusorietà di tali dinamiche. Il nostro PPP in pieno boom economico
profetizzava un cambiamento antropologico dell'uomo (opinione sostenuta in fondo
anche da Marcuse - quello del celebre slogan sessantottino: "l'immaginazione al
potere" - che definiva l'uomo moderno quale "one dimensional man", appiattito
nell'unico ruolo di consumatore) ed evidenziava la differenza tra i concetti di
sviluppo e di progresso, l’una mirante alla crescita quantitativa, cara al
capitalismo, l’altra alla qualitativa, vera chiave del benessere, che il PIL non
può misurare. Oltre un secolo fa Nietzsche, agli albori del moderno capitalismo,
profetizzò l'attualità: non decodifichiamo più la realtà mediante Dio (“Dio è
morto”), oggi è la tecnica la vera protagonista. Descrivere la società umana
fino al XIX secolo senza far ricorso al concetto di Dio è un'operazione senza
senso, così come oggi il motore primo è la tecnica, che da strumento è diventato
lo scopo delle nostre esistenze. Per farla breve, pensate ad uno di quei film
che raccontano di un futuro distopico in cui le "macchine" prendono il
sopravvento su noi artefici ... Blade runner, Matrix, Terminator, ecc.: la
tecnologia, da noi prodotta ed alimentata, già ha preso il nostro posto quale
protagonista della storia. E sì, perché se nei disegni divini l'uomo assume un
ruolo centrale, per il nuovo Dio-capitalismo egli rappresenta lo strumento per
asservire l'utopistico scopo di crescita all'infinito.
A delitto compiuto non si può far altro che ricostruire la condotta criminosa e
il relativo movente.
Tutto ha avuto inizio con la seconda rivoluzione industriale (1870), il primo
mattone di quella scellerata costruzione che è la società moderna. La potenza
dell'elettricità consentì quelle produzioni a vasta scala che posero a battesimo
il concetto di "società di massa": il nostro immaginario iniziò ad essere
popolato da tutta una serie di oggetti verso il cui possesso tuttora dirigiamo
gran parte delle nostre aspirazioni. Risultato? Si sono uniformati gusti,
desideri e modi di pensare ... il primo passo verso la futura globalizzazione.
Fa l'ingresso un'economia del tutto nuova, in cui crisi e miseria traggono
origine non più dalla scarsità delle risorse, ma dalla sovrabbondanza: se la
produzione è superiore alla richiesta del mercato si generano sacche di povertà
... ??? ... fare la fame perché ci sono troppe risorse, dovete convenirne, è a
dir poco paradossale.
La storia della società (in)civile, che evidenzia il solito racconto dei pochi
che si appropriano della stragrande maggioranza delle risorse prodotte dai
molti, è lo squallido resoconto di forme di schiavitù che diventano sempre più
sofisticate. Rispetto ad un passato in cui la libertà era palesemente compressa,
oggi il Potere regala l'illusione di concederla, ingenerando una falsa
consapevolezza. Già, perché la libertà si nutre di consapevolezza ... "La verità
rende liberi", recita Giovanni nel suo Vangelo. E così l'uomo moderno è convinto
di operare scelte in base al libero arbitrio, incapace di avvertire la presenza
di un arbitro superiore che, mediante una sapiente opera di disinformazione,
indica la strada da intraprendere. Già, padroneggiando l'élite dei mezzi di (dis)informazione,
viene sceneggiata - i fatti non accadono ma esistono in quanto narrazione degli
stessi - una realtà virtuale ad uso e consumo del Potere. E se non applichiamo
le capacità dell'intelletto per farci le giuste domande ed imparare a leggere
tra le righe, sarà la fiction a dettare le nostre azioni. E infatti, se avessimo
la minima consapevolezza di quel che accade all'ombra della nostra indifferenza,
avremmo già dovuto far scoppiare 10-100-1000 rivoluzioni francesi. Contro quale
nemico? Il capitalismo. Che ci ha dissuaso di essere l'unico sistema economico
praticabile, che ci fa credere nella possibilità di un futuro con un superiore
livello di benessere - quando, tutt'al più, ci regala l'illusione di un eterno
presente - e che, utilizzando la locuzione "libertà di mercato", ci illude circa
la possibilità che ciascuno ha di realizzare il "sogno americano", mentre in
realtà essa fa riferimento alla libertà assoluta delle corporations di
appropriarsi della stragrande maggioranza delle risorse per cui produzione la
stragrande maggioranza della popolazione mondiale ha sudato.
Non occorre essere fini conoscitori dell'economia, basta qualche ragionamento
empirico per comprendere come lo sfruttamento delle classi subordinate sia in
aumento anziché diminuire: un operaio negli anni '70 riusciva, con sacrificio, a
metter su una famiglia monoreddito; dopo mezzo secolo, con un progresso
tecnologico che ha centuplicato la produttività di quel lavoratore, questi non
riesce a comprare la casa né ad avere adeguate garanzie circa la futura
pensione, e nel contempo si è visto sottrarre le tutele giuridiche conquistate
in anni di lotte sindacali. Eppure siamo tutti convinti che occorre ringraziare
il capitalismo, anche per aver scongiurato il pericolo comunista. La realtà è
invece che dopo l''89 il capitalismo, sconfitta definitivamente la sua
controparte dialettica, ci tiene tutti sotto il tallone. Se per antagonismo è
stato prima costretto a mostrare un volto buono, concedendo l'illusione della
democrazia e dello Stato di diritto - una recita faticosa da inscenare -, oggi
convince i popoli della bontà della globalizzazione, del mercato unico,
dell'abbattimento delle frontiere ... e così le decisioni sulla gestione delle
risorse create con il nostro lavoro non vengono prese da nostri rappresentanti
ma da anonimi banchieri e finanzieri.
Chi ci può salvare? La parola Salvezza rimanda a quell'istituzione che, di noi
gregge di pecore incapaci di affrontare il giusto percorso, asserisce di fare da
pastore. Fino ai miei 20 anni il mondo occidentale era informato su tre
principali ideologie: Cristianesimo, Capitalismo e Comunismo. Poco più che
adolescente, tra catechismo e ora di religione, avevo ben presente il pensiero
del Cristo. Niente da eccepire, parole sante ... letteralmente tali. Delle altre
due mi chiedevo quale sembrasse rispecchiare con maggiore fedeltà il messaggio
cristiano. Il primo miracolo di Gesù, l'episodio con i mercanti nel tempio, gli
inviti a disfarsi della ricchezza in eccesso e l'allegoria del passaggio del
cammello attraverso la cruna dell'ago quale paragone dell’analoga difficoltà per
un ricco - massimo esempio vivente di attaccamento ai beni materiali - di
accedere al regno dei cieli ... non siamo forse agli antipodi del capitalismo?
Tuttavia, ahimè, un conto è il messaggio del Cristo, un altro chi e come lo
amministra. E infatti la Chiesa ha demonizzato il comunismo, operando nel
contempo un'amena alleanza col capitalismo, generatore di disparità economiche,
quindi sociali e, in ultima analisi, della conflittualità tra individui e tra
Stati, adoratore di quel dio pagano che è il denaro, o altrimenti "sterco del
diavolo". E non parliamo di una semplice simpatia, ma di una consolidata
amicizia. La storia, supportata dalla logica, evidenzia la nascita della
Dottrina sociale della Chiesa (con l'enciclica "Rerum novarum" di Leone XIII) in
conseguenza dell'avvento della dottrina marxista ... quale temibile concorrente
questo comunismo che inneggiava l'emancipazione del popolo dal giogo
capitalista! Secondo il principio "il nemico del mio nemico è mio amico", meglio
allearsi col capitalismo, che garantiva un ampio bacino di utenza grazie al
mantenimento di quella quota di milioni di disoccupati/poveri a cui proporre il
messaggio di fede anziché quella pericolosa proposta scientifica di cambiamento
proveniente dalla dottrina marxista. Questa, ancor prima di predicare la
rivoluzione del proletariato, è in sé rivoluzionaria perché si rivolge a
cittadini consapevoli dei propri mezzi. E sì chè invece della libertà,
fantomatico ideale di cui tanto ci piace discorrere senza che si riesca mai a
farla emigrare dal terreno della pura ipotesi, dovremmo concretamente porci
quell'obiettivo espresso con una parola in apparenza meno nobile, e che rimanda
al concetto di autonomia, dell'essere protagonisti della propria storia:
emancipazione. Dovremmo tagliare quel cordone ombelicale con cui il Potere, in
tutte le sue forme di espressione, ci tiene av-vinti. La Chiesa, custode della
tradizione dell'Impero Romano, ha sempre governato le masse facendo leva sulla
paura e sul senso di colpa, meccanismi psicologici contro cui l'uomo è destinato
a soccombere. Trascorsi 2000 anni nulla è cambiato, anzi la leva della paura ha
trovato nuovi interpreti: minacce (infondate) di pandemie, di bancarotte
statali, il terrorismo ecc., si sono aggiunti all'ora di Dio e alle tentazioni
del Diavolo. Anche quando il popolo sembra aver tentato di intraprendere la
strada dell'emancipazione in realtà il Potere ha eterodiretto quegli
avvenimenti: alla rivoluzione francese è seguito Napoleone, a quella inglese
Cromwell ... e Garibaldi è stato lo strumento inconsapevole per far precipitare
il Sud da una condizione di relativa ricchezza alla “questione meridionale”.
Il popolo, spettatore di uno show di illusionismo che da secoli va in scena, nel
profondo è consapevole dell'inganno. Infatti i dialetti, il democratico
linguaggio creato dal basso, testimoniano da sempre la sua esclusione dai
meccanismi che producono la Storia. Nel guejenescian, come in quasi tutti i
dialetti meridionali, è assente il futuro quale forma verbale ... come posso io,
popolano, mediante la lingua proiettare la mia azione nel futuro se non ne sono
protagonista ma fruitore passivo?
Nell’attuale società l'individuo misura oramai la propria capacità d'azione
sull'effettiva disponibilità di denaro, dunque la frequenza del pensiero è
sintonizzata sul "qui e ora", sulla sopravvivenza: con una ciclicità che ricalca
fasi lunari e ciclo mestruale, l'obiettivo è arrivare a fine mese. Dunque il
pensiero evita di contemplare un futuro che, anziché come opportunità, viene
interpretato quale minaccia. E cosí continuiamo a ripeterci che la vita è una
cosa meravigliosa, scimmiottando titoli di film e frasi fatte. Tuttavia, se non
teniamo aperta la finestra sul futuro saremo condannati a vivere un eterno
presente, schiacciati in una dimensione che riflette le nostre capacità alla
sola luce del passato, del quanto già fatto e già detto, delle vie già percorse,
degli errori commessi e da cui non riuscire a trarre lezioni ma solo rimpianti.
Al di là delle opinioni finora espresse, che potranno essere state oggetto di
una più o meno piacevole lettura ma magari non in grado di suggestionarvi, vi è
la scienza ad intervenire in nostro soccorso. La cd. M-Theory, la fisica
quantistica e altre moderne scoperte scientifiche paiono convergere su quanto è
già stato oggetto di intuizione da parte dei filosofi idealisti: la realtà è
frutto di un illusione, quantomeno nella misura in cui non siamo in grado di
percepirla nella sua interezza, e in tale ambito é soprattutto la dimensione
temporale a risultare ingannevole. Dunque non c'è un prima né un dopo, non una
sola direzione verso cui andare. Certo, non lo percepiamo ma, appunto, lo
sappiamo. Sappiamo di percepire un ventesimo della realtà esistente (il 95%
della cd. massa oscura è nello spazio, quindi anche davanti al nostro naso) e,
non a caso, nella medesima porzione utilizziamo le potenzialità del nostro
cervello. Ci è in qualche modo utile saperlo? Beh, quantomeno è ben più
consolatorio della vana speranza appurare che la meschinità umana, nume tutelare
di quel Potere il cui scopo esistenziale è farci recitare in un teatrino di cui
noi siamo i pupi, imbriglia solo il nostro 5%, solo la condizione umana di
esseri la cui divinità è in stato dormiente, a causa di qualcuno/qualcosa che ci
tiene confinati, quali moderni Ciclopi, in questo oscuro Tartaro.