1/9/2018 ● Cultura
Intime storie di vita intrecciate a quelle di un "Padre & Figlio"
Avevo 24 anni nel paleolitico 1960, né uomo né ragazzo. Ero da un anno
impiegato alle poste, e seguitavo a respirare la felicità nel gestire uno spazio
di giornale e narravi vicende e cadenze di vita regionale. Su quel quotidiano
romano – in’unica pagina – aleggiavano a mano libera, autorevoli maestri della
penna: Corrado Caluori, Annibale Orlando e Gaetano Tartaglia da Campobasso;
Sabino d’Acunto da Isernia; Francesco Sciarretta da Termoli; Angelo Tatta da S.
Croce di Magliano; Domenico Tirabassi e Michele Minieri da S. Martino in
Pensilis. Fortuna rara aver potuto fruire, allora, di tanta vantaggiosità.
Son le 12,30 d’un martedì di settembre. Prima della riapertura pomeridiana
dell’ufficio, devo assicurare al Capo Redattore una paginetta illustrativa su
umori, orientamenti, astuzie e pettegolezzi locali, in vista delle
Amministrative di novembre a Guardialfiera. Apro a ventaglio pensieri,
convincimenti, propositi, risoluzioni che non risulteranno, poi, abbastanza
graditi da un capofila politico locale e dal suo “padrino”, parlamentare
liberale e inoppugnabile gloria forense.
Alla loro furibonda reazione, Giuseppe Piedimonte, Direttore Provinciale p.t.,
dispone a mio carico l’azione ispettiva, cesellata dal rigoroso e giovane Mirco
Cofelice. Sarò trasferito il 21 ottobre a Pizzone, ultimo gaio paesino molisano
imbottito dal silenzio e dall’inforabile nebbia delle Mainarde. Ma la“beata
solitudo” viene disciolta al 39° giorno, dall’àlito festoso di Nicola Pompilio,
capo del personale, messaggero del mio improvviso volteggiare verso Guglionesi.
Un giorno e mezzo, tuttavia, per raggiungere il riaccostamento a Guardia. Non
c’era Bifernina ma strade ghiaiose, collegamenti disastrosi in quel territorio
che manco aveva allora Isernia per Capoluogo di Provincia. Ma il 30 novembre,
veicolato in “Vespa” da Renato Vincelli, approdo sul “lungomare” di Guglionesi.
C’è Michele Maurizio, figlio del mio paese. Egli ci ristora e mi accaparra
subito l’alloggio alla <Locanda del marinaio>. “E’ presto ancora! – farfuglia
Michele – ho tanti amici al Dopolavoro”. E, assetato nella gola e nell’anima di
trovarne uno capace di offrirmi cuore, affetto e ascolto, sgambetto con lui ad
abbeverarmi da questo nuovo boccale di coraggio.
Gioca al biliardo anche Enrico Sorella. E l’orologio scocca le 19,30. Il gestore
del circolo impone la “sosta-cena”. Si chiude, bisogna uscire! Enrico vien giù
con me e, all’istante, s’intreccia un reciproco filo d’oro di simpatia. Egli ci
accompagna sul triclino di Castellara: il “Colle di Diòniso”, sul quale il paese
galleggia, al balenìo della sera, carezzata da un discreto venticello grecale.
Da lì a scrutare l’acrobazia di villaggi appesi sui groppi delle colline, tra
Daunia e Abruzzo, nel diadema pittoresco di fine autunno.
“Gareggiando affettuosamente con Dario Rocchia per conto di due quotidiani di
Roma, venivo anch’io spesso qui – paleso ad Enrico – per narrare al Molise la
progressione delle <Opere d’Amore> e la contagiosa energia di don Carlo Maglia e
don Giacomo Sommavilla; descrivevo le strategiche intitolazioni di superflue
sale parrocchiali; le drammaturgìe patriottiche escogitate da don Carlo e legate
alla sua dignità di tenente cappellano degli Alpini; il Centenario di S. Adamo;
il Convegno legato alla solleticante Mostra di Sussidi Audiovisivi, intuita da
Pasquale di Biase.
E che saporosità di polli e spettacolarità di fan, in un <Settembrino
guglionesano>, al delirare per Jula di Palma e per il M° Bruno Canfora, furbesco
omonimo, però, di quel titanico e telegenico direttore d’orchestra degli anni
’50!” Enrico, incuriosito, mi ascolta assieme allo sciame di amici. E rammento
loro aneddoti molto ghiotti proposti ai lettori di quei giorni, riguardo a
conflittualità o vivacità d’intese politiche insorte tra Vittorino Rispoli,
Enrico Carissimi e Basso Mileti, fra Antonio Acampora, Mario Salvatorelli e
Matteo Lucchese. Ed anche i balletti di colorite consonanze o dissonanze dei
fratelli Bonifacio e di Casimiro Sabella (meglio conosciuto come Mimì della
cooperativa), a secondo i moti d’orgoglio e di umanità, o di proposte
ideologiche duellanti.
Gli amici restano calamitati soprattutto al racconto di quel Comizio, per la
festa del lavoro, pronunciato un primo maggio sotto la lapide dei Caduti dalla
Signorina Rocchia, comunista. La lastra di marmo è murata su una parete esterna
della chiesa maggiore. E l’oratrice viene d’un tratto infastidita dal suono
scrosciante ed incessante di tutte le campane che i monelli della Casa del
Fanciullo, slanciano a distesa nel bel meglio del discorso, col pretesto
d’annunciare ai fedeli, l’inizio solenne del mese mariano.
Guglionesi, insomma così! Simpaticamente curiosa, eternamente contesa,
perennemente grande. Il primo dicembre son già all’’usconico” Ufficio Postale,
dietro lo Sportello n° 2. Unico maschietto e tre femminucce ad amare l’utenza in
uno spazioso e macabro ambiente del Palazzo Ducale. Sul pianerottolo dell’unico
scalone – espugnato da un assortimento di mortai per fuochi d’artificio – mi
appare, nel tempo di Natale, l’animuccio limpido e pirotecnico di colei che, da
56 anni, mi segue, m’incoraggia, mi sopporta e che – frattanto – è divenuta
mamma guglionesina dei tre figli nostri e nonna, con me, di cinque mirabili
nipoti.
Enrico, “il Pizzicarolo”, (= pizzicagnolo, venditore al minuto di alimentari), a
parer mio è “Enrico il Grande”, come il monarca dei Borboni. Esalta con azioni
consuete, la sua verticalità di spirito. E’ inseparabile a quei di Guardia,
anche a Mario mio fratello, a Vincenzo Bucci, Franco Mancini. E, in una
intensità di pace, organizza amichevoli di calcio e convivi succulenti. Ma la
vita scorre e ci baratta. Io andrò prima a Montecilfone e, fra una raggiera di
movimenti, stazionerò per decenni alle Poste di Palata. Lui – ancora scapolo –
espatria per il Canada, poi per gli Stati Uniti. Rimpatria, presto, coniugato
con Anna e con la prole di due scherzosi “ Moschettieri”: Luigi, e Gerry,
impazienti del terzogenito, di Fabio, che vedrà la luce in Italia a sublimare e
somigliare, così, a quei “tre Moschettieri”, coraggiosi ed impavidi gentiluomini
di Dumas.
Ma quando si dice il caso! Mi capita, meno d’una dozzina d’anni fa, di
riavvalermi della professionalità di Gino Palladino, tenace Editore del
Capoluogo. Nel suo Centro di Produzione, l’operatore sta curando il montaggio
d’un nostro documentario: “Sulla soglia del tempo”, incanti d’un Molise
sconosciuto. Sarà premiato a Viterbo nella Sala dei Priori, per il Festival
Mondiale del “Film in Video”. “Fra il reale e l’irreale” era, invece, il titolo
d’un altro cortometraggio ispirato al Presepe Vivente di Guardialfiera,
vagheggiato da “Papà Cecchino” il quale, assieme a noi, fu insignito della Palma
dorata, il 31 ottobre 1992, al Teatro Verdi di Montecatini Terme.
E si dice il caso che – dilettandoci di antiche glorie e spaziando con Gino
dentro la Sala “AxA” – scivolo con lo sguardo fra capienti scaffali e adocchio
un libro da rappresentanza: “Il Convento di San Francesco a Guglionesi”. Mi
folgora il nome di un Coautore: Luigi Sorella. E’ lui! Mai incontrato, quasi
sconosciuto, quasi amico. Lui, “ furor di figlio e nobiltà di padre”. Ha voglia
di arte e di comunicare l’arte. Perciò crea “Fuori Porta Web”. Dirige la
Collana”TracciAntica” per la Palladino Editore. Avvampa di patria fierezza la
sua gente, percepisce le voci di dentro, fruga archivi parrocchiali e diocesani.
Scrive! Nel 2009 pubblica “Non solo un prete”, un libro di intensità,
convincente, saporoso di tempo e di amore; intrighi di preti, diari di storia,
situazioni spumeggianti. Gli occhi ruotano tra pagine ammirevoli, capaci di
magnetizzare anche chi non ha superato la boa del mezzo secolo. Pagine da
leggere! Egli ha appena cinque anni alla morte di don Carlo Maglia, il
personaggio eroe del “tascabile”. Eppure Luigi, sembra proprio lui il testimone
vivente di tutto un crogiolo di dinamismo, dal quale scaturisce ancora la
preziosità di un magistero sacerdotale e umano capace di irradiarci sveltezze
nuove. Ma c’è bisogno, nel nostro concerto pensoso, pure di un andante con brio.
Risentire cioé i vivaci “spartiti” del tempo. E rivedere il già visto, proprio
così, proprio come accade scrutando quel album fotografico storico del ”Non solo
un prete”, laddove la potenza della fotografia narrativa, si fa seduzione e
rivisitazione sentimentale, in un campionario macchiettato di genuina
guglionesaniti.
Ho l’infelix culpa – mannaggia – di non conoscere pienamente l’impegno
letterario di Luigi. Ma, come sempre, rimedia in qualche modo il <caso>,
sospingendomi nel dicembre scorso alla “pizzicheria” del papà. Lì avverto ‘na
guelije (=una gran voglia) de pizze ch’i sfrengele. Enrico me ne porge due e mi
esorta a passare anche da Luigi: “ha un libro per te”, che smarrisco e
rintraccio solo da poche settimane. Dal lunghissimo titolo, leggo l’ultimo rigo:
Cesare Ferrante, da Vicario di Sessa Aurunca a Vescovo di Termoli in Guglionesi.
Mi basta! “In Guglionesi”. E’ tutto il piacere del suo luogo. E Luigi svela,
così, l’irresistibile follia interiore per l’alma terra dei padri sacra e santa.
E’ una ricognizione accertata con intellettualistica curiosità. E’ l’adesione,
l’ossessione, l’esortazione implicita a tutti i romantici, di ricercare –
ciascuno in domo sua – un realismo essenziale per produrre quell’epifania di
amori da gridare poi e concretare sempre nella vita, in pensieri, parole e
opere. Mai in omissioni.
* * *
[Articolo di Vincenzo Di Sabato, pubblicato anche dalla rivista "Il Saggio.
Mensile di Cultura" (Anno XXIV n. 269 agosto 2018) e dalla rivista e dal
portale web "il
Bene Comune. Arte Cultura e Civiltà per il terzo millennio"]