18/6/2016 ● Cultura
La “voce del Padre” nell’arte: dalla "nube divina" la rivelazione della figura messianica
Nella cimasa dell’altare della “Coeni Domini” [1800, opera di Ferdinando
Castiglia] della Collegiata di Santa Maria Maggiore in Guglionesi, nello stucco a
rilievo del medaglione centrale, sorretto da due putti, è rappresentata la
crocifissione di un Cristo morente e orante il Padre con lo sguardo rivolto al
cielo.
Difficile a notarsi – se non in particolari condizioni di luce e solo in brevi
periodi dell’anno –, avvolto nella nube a destra della croce, un volto emerge dal
rilievo. Trattasi della “voce del Padre” nella versione artistica della
sinossi biblica: «Questi è il Figlio mio, l’eletto».
La “voce del Padre” è una iconografia cristiana interpretata con incanto
nell’arte, spesso affidata ad un volto che spunta dalla “nube divina”.
La “nube divina” dell’Esodo, nell’interpretazione di contesti escatologici e nel
discorrere dei racconti biblici, assume significato epifanico. In Esodo è
scritto che “la Gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube
lo (Mosè) coprì per sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla
nube” (Es 24,16). In Esodo 40,35 la manifestazione della presenza
divina è ancora rappresentata dall’ombra della nube, che protegge la tenda
innalzata da Mosè. “In 2Re 2 la nube temporalesca – sostiene Cosimo
Pagliara in “La figura di Elia nel Vangelo di Marco” – è il medium del
potente intervento di Dio che ha preso possesso del suo profeta Elia”.
Nei Vangeli la scena della “trasfigurazione di Gesù” occupa il posto centrale
rispetto all’impianto narrativo. “Circa otto giorni dopo questi discorsi,
Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre
pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e
sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia,
apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a
Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si
svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre
questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi
essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli
non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con
la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce,
che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce
cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno
ciò che avevano visto” (Lc 9,28-36).
Il racconto lucano colloca l’evento della “trasfigurazione” nell’alone della
“nube divina” come trascendentale rivelazione della figura messianica di Gesù, e
come biblicamente annunciata dalla legge e dai profeti. Ecco perché nell’arte la
“voce del Padre” appare tra il cielo e la terra, ed esce dalla “nube
divina” come nella crocifissione della cimasa nell’altare della “Coena Domini”
di Guglionesi.