8/3/2016 ● Cultura
La politica “come un sovrano spodestato” e lo strapotere della tecnica
Oggi, come scrive il filosofo Giacomo Marramao, <<la politica appare come
un sovrano spodestato che si aggira tra le antiche mappe dello Stato e della
società, rese inservibili perché più non rimandano alla legittimazione della
sovranità>> (si veda al riguardo “Dopo il Leviatano, Individuo e comunità,
Bollati Boringhieri, Torino 2000). Insomma, la politica non decide perché
nell’età della tecnica e “dell’economia globalizzata non è più in grado di
farlo”. La bella proposizione di Kant: “L’uomo va trattato sempre come un fine,
mai come un mezzo” (cfr. I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi) si
appalesa come una morale dell’intenzione perché, oggi, come nota il filosofo
Umberto Galimberti, <<è il sistema delle macchine e delle organizzazioni a
servirsi dell’uomo ridotto a suo funzionario. Questa è un’alienazione più
spaventosa di quella denunciata da Marx, e per giunta non prevede alcuna
possibilità di rivoluzione. Perché come si fa a opporsi alla razionalità della
tecnica che, attraverso la sua organizzazione perfettamente sincronizzata,
consente di raggiungere il massimo degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi,
ivi compreso quel mezzo che si chiama uomo?>> (cfr. ‘D’ la Repubblica, 5
marzo 2016). Inoltre, sempre ad avviso del prof. Galimberti, <<invocare
politici decisionisti, come spesso capita di sentire, nell’età della tecnica è
quanto di meno efficace possa esistere, perché se basta una piccola astensione
per bloccare tutto l’apparato, il lavoro del politico dovrà essere di grande
mediazione, più che di decisione. La decisione non è compatibile con la
funzionalità della tecnica>>.
Dunque, la riduzione del dominio politico ad una funzione di ‘mediazione’
tecnocratica priva di oggetto ogni formazione democratica. La democrazia cessa
di essere la caratteristica dei sistemi politici, e la tecnica, che la
sostituisce come ‘sistema normativo’, finisce con il creare seri dubbi sulla
possibilità, nelle società tecnicizzate, dell’esistenza della democrazia (vedasi
in merito J. Habermas, “Conseguenze pratiche del progresso
tecnico-scientifico”).
Come scrive P. Giandomenico Mucci (gesuita, professore di Ecclesiologia e di
Spiritualità, La Civiltà Cattolica) in “Le incognite della Scienza”,<<…Si
invoca pertanto un nuovo umanesimo che riequilibri la potenza della tecnica. E
c’è chi è meno ottimista. Ernesto Galli della Loggia (“Lo strapotere della
tecnica è un pericolo, mette a rischio i principi democratici”, in Corriere
della Sera, 7 giugno 2007) ci fa notare che si continua a parlare della scienza
idealisticamente, come puro e disinteressato sapere a servizio dell’umanità.
Invece, la scienza oggi è interessi economici, investimenti e profitti
miliardari, brevetti. La scienza è soprattutto gli scienziati, ossia persone che
non accettano norme e controlli che non siano da essi voluti. Un mondo dominato
da una tale casta è compatibile con la democrazia? La democrazia può tenere a
bada il potere della scienza allo stesso modo con cui, lungo i secoli, ha tenuto
a bada il potere economico e lo strapotere delle maggioranze numeriche? Potrebbe
mai la democrazia mettere ai voti che cosa studiare e scoprire, verso dove
indirizzare la ricerca scientifica? E, quindi, quali progetti potrebbe elaborare
a confronto e contro il grande potere della tecnica? Sarebbe necessario –
secondo Galli della Loggia – che la politica democratica assumesse come propri
alcuni valori normativi non negoziabili. E qui ritorna l’interrogativo. Poiché
il mondo è avviato a essere governato dal binomio scienza-tecnica, cioè da un
binomio avaloriale che pure aspira ad essere fonte di comportamenti etici, su
che cosa si potranno fondare i valori normativi, in quale ambito psico-culturale
trovarli, ovviamente al di fuori del dominio della scienza e della tecnica?>>
Ciò posto, decida il lettore su come opporsi allo strapotere della tecnica.
Personalmente considero un utile suggerimento quello proposto dal sociologo
Luciano Gallino (Torino, 15 maggio 1927 – Torino, 8 novembre 2015) volto ad un
accrescimento delle conoscenze relative ai possibili orientamenti della ricerca
scientifica e tecnologica, con la speranza di approdare, sia pure in tempi non
brevi, ad una scienza intesa come bene pubblico globale. Come rileva il prof.
Gallino, <<un livello di formazione culturale limitato è oggi, in misura
maggiore che non per le passate generazioni, un fattore drastico di esclusione
sociale>>. Si possono investire fondi e risorse umane nella ricerca delle
leggi che regolano i rapporti tra tecnologia, cultura e politica. In sintesi,
invece di subire un progresso a rischio, dobbiamo agire per capirne
l’architettura e modificarla in modo da ottenere un sapere che sia davvero un
bene pubblico globale (cfr. al riguardo, Luciano Gallino, “Tecnologia e
democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici, Torino,
Einaudi, 2007”).