16/1/2016 ● Caro Direttore
Riprendiamoci la sovranità alimentare
La Sovranità Alimentare attiene il diritto dei popoli a definire i propri sistemi di produzione in agricoltura, di sottrarsi allo strapotere delle multinazionali , di riappropriarsi del controllo dei beni che gli agricoltori mettono in campo . Cinque multinazionali a livello mondiale controllano il 75% del commercio di grano . E’ tempo di smarcarsi in parte o in toto ( globalizzazione permettendo) dalla dipendenza soverchiante dai colossi mondiali delle sementi : Monsanto, Syngenta (detengono il 75% del mercato dell’agrochimica) Basf, DuPont… e dall’affido totale al Mercato , costituito da un “cartello” di multinazionali del Commercio mondiale. Le Major a capo dell’agricoltura industriale trattano beni che incorporano il lavoro contadino ,degli stessi agricoltori che nonostante il massiccio intervento della meccanizzazione in agricoltura, ancora oggi con “il sudore della fronte “ producono cibo e ,sempre più sfiduciati nei guadagni, li immettono malvolentieri nei mercati di riferimento . Un predominio , quello delle multinazionali perfino accattivante dal punto di vista dell’etica apparentemente solidale dell’imperialismo economico- finanziario dominante poiché fa anche aggio ,soprattutto nella ricerca sulle sementi, dei caritatevoli finanziamenti generosamente elargiti alle Università ed agli Istituti di ricerca dai magnati delle nuove tecnologie : Bill e Melinda Gates in testa. Donazioni che implementando la ricerca ,spesso biotecnologica, concorrono a brevettare le sementi ( in virtù dell’oligopolio dell’” industria” delle sementi che di fatto a livello mondiale impone le 4-5 le varietà di mais coltivate nel mondo ). Si dimentica facilmente che quanto oggi di biotecnologico si brevetta nei laboratori è” Patrimonio dell’umanità” a prescindere dalla , quasi ovvia constatazione che le sementi , solo fino a ieri “ svecciate” (anche nel nostro territorio) dai contadini in proprio e ,spesso prestate , scambiate a vicenda nei territori di produzione di appartenenza hanno storicamente rappresentato il ricco millenario patrimonio di biodiversità agronomica gelosamente tramandato, mediatrice la “Madre Terra” , di padre in figlio attraverso anonime generazioni di contadini. Un variegato patrimonio di razze animali e varietà vegetali frutto di incroci mirati , adattamento ai luoghi ,accuratamente selezionati attraverso il paziente lavoro , di allevatori, contadini : varietà che anche dal punto di vista ecologico ( spesso chiudevano in modo armonico il ciclo allevamento – piante foraggere da sfalcio,graminacee … ) erano naturalmente compatibili e rispondenti alle esigenze nutrizionali delle popolazioni abitanti il territorio . In passato le linee varietali derivanti dagli incroci praticati dai contadini, a differenza di ciò che accade oggi, non hanno mai fatto rivendicare la proprietà biologica ( il brevetto ) a coloro che hanno ereditato la vigoria di quegli ibridi . E’ altresì ingannevole l’apparente resistenza che ad Occidente le multinazionali sembrano ancora avere di fronte all’acquisizione ( alla loro portata) della proprietà di vaste estensioni di terreni ( già lo fanno tranquillamente e senza scrupoli di sorta in Africa, con la complicità dei politici locali , cacciando i contadini dalle loro terre, privandoli così dei loro già scarsi mezzi di sostentamento e della loro antica cultura contadina, che ,di ritorno utilizzano da immigrati nelle campagne d’Italia, d’Europa … ) , limitandosi, si fa per dire , per adesso a fornire le sementi,i concimi … e ad acquistare i prodotti ; di modo che, bontà loro, ai coltivatori , che così diventano solo fornitori di materie prime per le industrie di trasformazione, resti almeno il necessario “ per tirare a campare” , per pagare i contributi, per la manutenzione ed il relativo ammortamento dei mezzi meccanici utilizzati nella produzione , nonché il denaro per saldare le diverse gabelle che gravano sulla proprietà terriera : tasse, Consorzio di bonifica ,il commercialista , partita iva…Vendere le sementi delle graminacee , dei legumi …, vendere le piantine delle colture orticole , imporre attraverso le poche specie selezionate anche le rese, per pianta , nonché le pezzature dei frutti ,fare le quantità industriali dei prodotti dell’agricoltura è l’esplicito “sottointeso” della fuorviante “green agronomia” , perché è noto che senza i relativi adeguamenti ai disciplinari di produzione non si fa il prodotto vendibile e quindi rischia di venir meno anche la stentata remunerazione del coltivatore il quale nel conformarsi a ciò che viene richiesto dai mercati si vede costretto a sovraprodurre, spesso in regime di monocoltura, rispetto al fabbisogno alimentare (altrimenti i commercianti fanno fatica a mantenere basso all’acquisto il prezzo delle derrate alimentari). Gli agricoltori, pur essendo i legittimi proprietari dei terreni che faranno crescere materialmente il valore aggiunto delle sementi sono produttori che non stabiliscono i prezzi dei loro prodotti e questo alienante indeterminazione del costo del loro lavoro mina alla base la loro autonomia convertendo di fatto i coltivatori diretti in un ibrido padrone-dipendente nella loro stessa azienda agricola. L’espropriazione del prodotto avviene sin dall’acquisto delle sementi , riciclate in passato nella stessa azienda oggi , generalmente , per via della più alta germinabilità , si acquistano nei punti vendita di commercializzazione dei prodotti per l’agricoltura . Strutture apparentemente autonome rispetto alle grandi reti nazionali di distribuzione delle sementi, che per allettare gli acquirenti spesso mettono in campo l’aspetto associativo : una modalità diffusa, specie altrove, che in sostanza maschera e rende solo più accettabile la cruda legge del mercato . I contadini che si servono delle reti periferiche di acquisto delle sementi, del concime … interfacciano, almeno nel nostro territorio , ancora persone che conoscono , che condividono a lato della loro attività prevalente le stesse problematiche e le stesse preoccupazioni per l’incerto futuro dell’agricoltura , ben sapendo però che la testa di comando economico- finanziario che regola e controlla il mercato delle sementi , dei concimi di sintesi, dei fitofarmaci, e poi del raccolto è altrove . Il costo delle sementi è legato alle varietà impiegate nella semina ; si aggira dagli ottanta ai cento euro a q.le per sementi di prima scelta (dai 55-70 euro per la seconda scelta ) e, posto che per un ettaro mediamente se ne impiegano circa tre di q.li, già le sementi si ritagliano una quota di tutto rispetto tra le spese sostenute dall’agricoltore che mette a coltura un ettaro di frumento . Dopo tutti gli interventi agronomici legati alla coltivazione volti a produrre il giusto ed il miglior raccolto ottenibile sotto il cielo locale il prezzo di vendita del frumento , in relazione al tempo di conferimento effettivo del prodotto quest’anno pare abbia avuto un’ampia oscillazione . I furbi che fiutano l’andamento dei mercati sono riusciti a” strappare” anche i 35 euro a q.le; invece , coloro che inutilmente hanno atteso maggiori guadagni , sono stati costretti , in tempi a noi vicini , pressati dalle esigenze personali ,a svenderlo anche a 23 euro a q.le . Anche considerando una resa per ettaro di 50 q.li, i guadagni ottenuti, detratte le spese , sono , comunque cifre non remunerative soprattutto per l’agricoltore che conduce un’azienda familiare e deve trarre dalla terra l’unica sua fonte di reddito . E’ quella che si verifica al momento della riscossione della vendita delle graminacee un’oscillazione”mostruosa “dovuta anche al grano che a basso costo invade i nostri mercati a cui si aggiunge l’artificiosa speculazione borsistica dei listini dell’agroalimentare dei mercati finanziari nazionali ed internazionali .Peraltro,nell’accettare in entrata il grano dall’estero vengono artatamente taciuti i costi aggiuntivi dovuti al trasporto e allo stoccaggio di medio e lungo termine del prodotto : costi energetici che integrati nel prodotto acquistato dalle industrie di trasformazione ,riducono ulteriormente il costo unitario della materia prima , mascherandone così la bassa qualità e soprattutto i residui in pesticidi che spesso le graminacee si portano dietro .Tolleranze dovute ai diversi disciplinari nazionali in merito, in genere meno restrittivi rispetto alla nostra normativa fito-sanitaria .D’altronde la finanza borsistica dell’agroalimentare nazionale ed internazionale avendo in scarso conto l’economia reale di fatto ignora i territori e tutto uniforma spingendo l’ agricoltura verso un’economia industriale di rapina ( favorendo una iperconcimazione che mineralizza i suoli, li compatta , rendendoli poco permeabili - anche da ciò in parte deriva il dissesto idrogeologico- spingendo per l’uso massiccio di fitofarmaci che ne riducono la biodiversità…) in cui diventa imprescindibile per l’agricoltore fare la quantità , per calmierare i bassi prezzi di vendita dei suoi prodotti , pena la dismissione dell’azienda e la chiusura dell’attività . Quale può essere la soluzione ? Quella macroeconomica di tornare alla Sovranità Alimentare nazionale dell’agroalimentare ridando potere reale ai ministeri che sovrintendono l’economia e le politiche agricole , smarcandosi ( poco o tanto dipende dai Poteri Sovrani) dalle interconnessioni sovranazionali poiché il cibo prodotto se ridistribuito in modo razionale, ottimizzando e riequilibrando le produzioni, tenendo conto dei fabbisogni reali nei territori è sufficiente e di qualità e, se associato in modo virtuoso alla nostra dieta mediterranea è idoneo a mantenerci in buona salute per un tempo-vita mediamente più lungo rispetto agli altri Paesi . Di nostro abbiamo invidiabili filiere agroalimentari 269 marchi IGP sui 1268 registrati nell’Unione ; e, anche dal punto di vista normativo è possibile intervenire in modo accorto nel settore primario ; basta prendere a riferimento l’esempio dell’India che attraverso il concorso del Governo ha incentivato ed accompagnato una diffusa rete di produzione agroalimentare volta a recuperare l’antica e saggia cultura contadina rispettosa dell’ambiente e della complessità degli ecosistemi locali a cui non è stata estranea l’infaticabile attività facilitatrice di Vandana Shiva che molto si è attivata per la conservazione della biodiversità e per il mantenimento di pratiche agronomiche rispettose dell’ambiente, ma soprattutto, questa “ricercatrice scalza” volitiva e caparbia, si è a lungo impegnata a livello internazionale per protezione delle sementi locali e per il loro riutilizzo proteggendo i cultivar autoctoni dall’estinzione e dalla loro sostituzione esclusivistica con le sementi sterili ( che portano artificiosamente nel loro patrimonio genetico geni terminator) delle multinazionali. Esempi di agricolture che nascono dal basso ve ne sono anche in Italia , cito per tutte ( per ragioni di spazio) la fondazione Girolomoni dell’omonimo Gino Girolomoni, padre dell’agricoltura biologica che con la sua cooperativa” Alce Nero “ ha consentito dal 1977 la diffusione della pratica del biologico in Italia : una realtà che oggi conta circa 50.000 aziende con un fatturato di 3 miliardi di euro . Gino ripeteva ai suoi figli ,che oggi ne continuano l’attività, come fosse un salmo (era un fervente cattolico): nella realtà del mondo conta solo chi vince; nella realtà di Dio , non conta vincere o perdere . Conta servire la causa.