20/6/2015 ● Cultura
I migranti, la globalizzazione e la non autosufficienza dell’Occidente
Nell’articolo pubblicato in data 16 aprile 2010 su “Molise Adriatico” ("Molise
Adriatico" tra terra, mare e globalizzazione), il portale della
cultura e dintorni, segnalavo il libro “Passaggio a Occidente. Filosofia e
globalizzazione” del filosofo Giacomo Marramao (una memoria dei navigatori
impegnati a cercar l’Oriente passando per Occidente). L’autore ci ricorda che
Montaigne, aprendo l’età moderna, spiegò che non possiamo dividerci fra civili e
barbari se prima non abbiamo conosciuto i cosiddetti barbari. Vuole dire che
globalizzare non significa occidentalizzare il mondo in una specie di pensiero
unico, ma che tutte le culture debbono compiere un passaggio a Occidente per
modificare se stesse e noi. E’ un avvicinamento reciproco, non uno scontro fra
culture-civiltà dal quale una emerga egemone. Ciò detto Giacomo Marramao, in un
capitolo aggiunto alla nuova edizione del libro sopra citato (Editrice Bollati
Boringhieri di Torino) intitolato “Dopo babele. Per un cosmopolitismo della
differenza”, si è chiesto tra l’altro: <<Come è possibile gettare un ponte fra
“gli Occidenti”, le varianti occidentali, e “gli altri”, a loro volta plurali al
loro interno? Negli ultimi anni ho discusso a lungo con Jurgen Habermas sul tema
dell’”Occidente diviso”. Questa formula funziona solo a condizione di
circoscriverla nei termini di un’autodiagnosi del nostro contesto culturale.
Rischia invece di tradursi in un enunciato edificante se, parlando di “Occidente
diviso”, riteniamo – e in parte temo Habermas lo ritenga – che un Occidente
ricomposto sia in grado di risolvere endogenamente, a partire dalla propria
tradizione culturale, tutti i problemi della democrazia globale. Io penso di no:
sono convinto – come ho cercato di motivare con la mia tesi del ‘passaggio’ –
della non autosufficienza dell’Occidente (…). Non credo che la tradizione del
razionalismo moderno – come è stata elaborata in Occidente anche nella sua forma
più nobile: l’universalismo etico kantiano per un verso, il garantismo giuridico
per l’altro – sia autosufficiente, capace di trovare da sola una soluzione ai
conflitti del nostro tempo e di dar mano alla costruzione di una “repubblica
cosmopolitica”. Per dirla con Raimon Panikkar: la casa dell’universale non è già
pronta, ma va edificata multilateralmente. Non possiamo dire agli altri: venite
e sarete ospitati nella nostra casa, integratevi e sarete annessi alla nostra
civiltà del diritto. Si tratta viceversa di negoziare un nuovo spazio comune, di
costruire insieme una nuova casa dell’universale. Se saremo in grado di volgere
uno sguardo meno viziato da pregiudizi ad altri contesti di esperienza, ci
accorgeremo dell’esistenza in altre regioni del mondo di concezioni della
libertà e dignità della persona altrettanto nobili (o, in ogni caso, non meno
rispettabili) delle nostre (…). Sono altresì convinto che si debba andare oltre,
prendendo atto della crisi radicale che oggi investe entrambi i modelli di
inclusione democratica che abbiamo sperimentato nella modernità: il modello
assimilazionista repubblicano e il modello multiculturalista “forte”… Abbiamo
visto con i nostri occhi del caso francese come l’assimilazionismo determini un
occultamento delle identità, le quali di conseguenza si organizzano
sotterraneamente ed esplodono con violenza>>.
In estrema sintesi, Giacomo Marramao ritiene che una politica adeguata nei
confronti degli “altri” non possa essere in nessun caso quella improntata alla
formula dell’esportazione della libertà, ma piuttosto quella di favorire una
“lievitazione di processi a favore dei diritti e della democrazia sulla base di
vie e di metodi del tutto autonomi. La dinamica globale successiva al 1989, alla
data-spartiacque della caduta del Muro di Berlino, sta a dimostrarci che ogni
tentativo di imposizione di un modello-standard, etnocentrico e suprematistico,
di modernizzazione è destinato inevitabilmente a produrre un’estensione e un
inasprimento dei conflitti. E’ qui il vero nodo. E’ qui l’Occidente rischia di
fallire, gettando il mondo intero in uno stato di guerra civile endemica…”.
Marramao dunque ci invita a cogliere i “segni dei tempi”: <<quei signa
prognostica del nostro presente che indicano un possibile cambio di rotta,
orientando le differenti dinamiche storiche lungo una traiettoria
anti-identitaria. Nella direzione – appunto – di un cosmopolitismo della
differenza>>.