13/5/2008 ● Cultura
Dire, fare e scrivere "per un amico, solo per un amico"
"Preg.mo sig. Direttore di Fuoriportaweb, sig. Luigi Sorella,
permettimi di iniziare con un tono il più possibile formale ma scherzoso.
Per onestà intellettuale e per un innato senso di giustizia di cui credo, e
spero, di essere fornito, a parziale risarcimento per l’articolo pubblicato da
Voi nella rubrica In Primo Piano, sezione Arte di FW, essendo lo stesso in
oggetto scritto non già da me, oppure non già solo da me, ma trattandosi di
articolo scritto a quattro o sei mani (comprese le tue …, caro direttore !!!),
per non appropriarmi di meriti non completamente miei, ti invio, dicevo, a
parziale risarcimento intellettuale ai veri Coautori del succitato articolo e
per loro soddisfazione, quanto segue:
PER UN AMICO, SOLO PER UN AMICO !!!
Chiedo scusa per il tono ironico ma spero che il motivo di ciò potrà essere
chiaro leggendo qui di seguito. Perché soddisfatti l’ufficialità e il
formalismo, voglio fare partecipe in maniera un poco seria e un poco spiritosa
te e tutti i tuoi lettori, direttore caro, amico mio, delle vicende che
proiettarono il nostro amico comune, Felice Paolone, all’estero. O per meglio
dire: che portarono un’opera del nostro amico scultore all’ estero.
E che estero !!!
Io posso ben farlo per essere stato anch’io protagonista avendo avuto un ruolo,
anche se in verità alquanto marginale, nella vicenda.
Eravamo nel 1995, anno più anno meno, in un bel pomeriggio di settembre.
Sai, quei pomeriggi in cui l’aria è al tempo stesso tersa e pallida. Quando il
fresco incomincia ad incalzare e ti consiglia di aggiungere il maglioncino
all’abbigliamento estivo per quella sana passeggiata in quel nostro salotto
chiamato Castellara!! Eravamo a settembre, dunque, e il Nostro non era ancora
impegnato con la scuola. Anzi non lo era in quel momento: ne aspettava
l’apertura e con essa il conteggio delle cattedre e la revisione delle ore
rimaste scoperte. Solo allora i provveditori (una volta c’erano anche questi) e
poi i presidi potevano provvedere alla seconda, alla terza e forse alla quarta
chiamata dei cosiddetti supplenti. Che non è una categoria dantesca di dannati
dell’inferno sprofondati in chissà quale bolgia nelle viscere della terra per
pagare chissà quale grosso peccato!!. Magari quegli insegnanti si sentivano
veramente così. Ma in realtà non lo erano. Peccatori, intendo. Erano invece
persone, fra cui molti dei nostri amici e parenti, normalissime che avendo
scelto liberamente di dedicare la loro vita all’educazione dei giovani (e questo
non mi sembra un grosso peccato), in attesa del Ruolo che significava il POSTO
FISSO E SICURO, stavano per così dire in lista d’attesa. Come in ospedale:
stavano in lista di attesa. Solo che in ospedale ci si sta per essere curati. A
scuola ci si sta o ci si stava, per essere sbranati dai colleghi più anziani,
dai presidi e dagli studenti. Bah!!! Contenti loro !!!
Insomma in uno di quei pomeriggi, Felice durante la rituale passeggiata e la
doverosa disamina dei problemi cosmici di quella giornata con relativa proposta
di soluzione, fra un “attento alla buca per strada” e un “i vigili dovrebbero
vigilare di più”, tira fuori dalla tasca del giubbotto una lettera che aveva un’
aria piuttosto insolita. Per niente stropicciata, in linea con la sua precisione
quasi maniacale, già la busta si annunciava importante. Un grosso stemma
campeggiava sulla parte anteriore vicino allo spigolo sinistro. Lo stesso stemma
ma in proporzioni più ridotte, era sul retro della busta in prossimità della
chiusura. La forma era insolitamente rettangolare abnormemente allungata, la
carta più spessa. Già il colore beige - giallino chiarissimo risvegliava
curiosità e imponeva rispetto.
Il Paolone aveva aperto la lettera e se ne intuiva il modo: si apprezzava e si
riusciva ad immaginare il riguardo nell’uso di un tagliente (coltello?) senza
denti usato per disgiungere le due metà piegate nella parte superiore del
piccolo e proporzionato plico.
Il taglio era perfetto: non una sbavatura. Non una imperfezione, sia pur minima,
nell’incisione.
Il più bravo chirurgo al mondo non avrebbe potuto fare meglio.
Con movimento lento ma preciso della mano destra, tenendo la busta con la mano
sinistra, sfilò con precisione da questa il foglio contenuto in essa
porgendomelo dopo averlo esposto alla mia vista. Che, se non avessi paura di
essere blasfemo, paragonerei il gesto a quello compiuto dal prete sull’altare
quando offre all’assemblea la particola che sta diventando carne.
Il foglio di consistenza leggermente minore di quella della busta ripeteva su un
angolo, questa volta a destra in alto, lo stesso stemma ma stavolta di colore
seppia. Come sai bene il colore seppia è insuperabile negli scritti importanti!!
Era un foglio scritto in stile e forma elegantissimi a prescindere dal
contenuto. Chi aveva la sorte di tenerlo in mano, manipolarlo, toccarlo,
possederlo, provava un piacere intimo, infinito, sicuro. Una vera soddisfazione,
insomma!!
“Riesci a capire cosa c’è scritto?” mi disse a quel punto Felice Paolone.
“a capirne il contenuto?” continuava. I miei occhi si posarono allora con più
attenzione sul foglio: era scritto in inglese. Ah, l’inglese !! l’Inglese.
Quante volte abbiamo chiesto alla scuola di insegnarci l’inglese !! Ma niente.
Niente. Noi eravamo condannati al francese. Non che sia brutto il francese. Anzi
!!! ma l’inglese è la lingua internazionale. E’ il latino dei nostri giorni. Se
vai all’aeroporto di Shanghai là gli annunci dopo una voce cantata, sono in
inglese. Se compri un giocattolo a tuo figlio le istruzioni sono scritte in
inglese, persino nei bagni pubblici le scritte sono in inglese. E se vai
all’estero, oltre alla lingua madre della nazione ospite, parli inglese, fosse
anche l’Uzbekistan. Insomma il mio scarso inglese studiato con mezzi propri
all’università non mi bastava per comprendere bene il contenuto della missiva di
Felice. Si parlava di un certo mr. Johnson (lo chiameremo così per rispettare la
riservatezza), di cabinet, King , sell, $, Switzerland, coin. Ma del significato
preciso, del detto esatto neanche l’ombra. Come fare? “Ma si: mia sorella è
insegnante e per di più insegnante di inglese. Lei potrà, dovrà darci una mano”
Si va allora. Come si sa le distanze nel nostro paese non assomigliano neanche
lontanamente a quelle di una città: dalla villa di Castellana alla casa di mia
sorella se si va piano si impiegano due minuti a piedi. Noi, io e Felice, dopo
un minuto avevamo già raggiunto la casa, suonato il campanello, consegnata la
lettera a mia sorella che dopo cinque secondi di lettura aveva già gli occhi
sgranati dalla meraviglia.
“Ma qui si parla di medaglie, Svizzera, Re Gustavo, Stoccolma, museo, Svezia,
comprare” si affrettò a dire lei. Dimenticavo di dire che, non conoscendo Felice
come un artista importante (anch’io d’altra parte lo consideravo piuttosto un
hobbysta che non un vero scultore) mia sorella, Aurora, non capiva bene il senso
di quello che stava leggendo. Per farla breve quando tornammo da lei dopo un’ora
a riprenderci quella sorta di compitino assegnatole, ci consegnò con lo stesso
riguardo con cui si consegna un premio Award della scienza, la lettera con
relativa traduzione.
La lettera era di un Mister Johnson (privacy) direttore del Royal Coin Cabinet
di Stoccolma e diceva del il Re di Svezia che, durante una visita ad una mostra
FIDEM in Svizzera, aveva apprezzato la medaglia rappresentante il compositore
Beethoven esposta per l’occasione dal Nostro autore. Aveva perciò espresso il
desiderio di acquistarla per esibirla in maniera permanente nel Museo Reale
della medaglia, il Royal Coin Museum di Stoccolma.
Per questo il direttore Mr. J si informava sulla possibilità di comprarla e sul
costo del manufatto.
Insomma il Re di Svezia voleva comprare una medaglia dello scultore Paolone,
nostro ocompaesano e amico.
Naturalmente a questa traduzione, che in verità confermava quello che avevamo
solo intuito noi francofoni, anche i miei occhi si sgranarono rischiando
seriamente di uscire fuori dalle rispettive orbite.
Il Paolone, al contrario, non sembrava essere più di tanto turbato né sconvolto
dalla cosa. A lui sembrava del tutto normale (!!!) che il Re di Svezia, o un suo
emissario, avesse apprezzato il suo lavoro, cioè il frutto del suo ingegno.
Piuttosto chiedeva a sé stesso e a noi consigli su quanto farsi pagare dai
committenti potenziali, sulla opportunità di vendere a loro la medaglia e sulle
modalità. E così venni a conoscenza che una medaglia possiede un lato dritto e
un rovescio i quali possono avere quotazioni differenti, che vale il peso oltre
al metallo, il diametro, la quantità di rilievo, le scritte, la precisione dei
particolari. Insomma ci sono criteri obiettivi che standardizzano i prezzi. A
questo, naturalmente, si aggiunge il valore intrinseco della quotazione dell’
Autore.
Concordammo così il prezzo di 150 mila lire per facciata e rispondemmo, sempre
con l’aiuto di mia sorella, al Mr. J. Non senza un poco di timore: ci sembrava
troppo!! Invece dopo neanche due settimane ci giunse da parte sua un’ulteriore
lettera con l’accettazione delle condizioni, la conferma dell’ordine e la
richiesta dei meccanismi bancari da attivare per il pagamento. La medaglia fu
inviata prontamente, arrivò bene a destinazione (W le poste) ed ora per chi
volesse ammirarla è esposta permanentemente al ROYAL COIN CABINET di STOCCOLMA.
Così il nostro amico Felice Paolone è diventato internazionale.
Caro direttore, Luigi, dopo di allora tante altre occasioni di contatti
internazionali ci sono state e tante ce ne saranno ancora, come ben sai meglio
di chiunque altro e come bene è scritto nell’articolo precedente. Ma la prima
volta andò così. Proprio così. Credimi.
Ti scrivo questo per un contributo alla verità e per confermare la mia e, sono
sicuro, la tua stima e quella dei tuoi – nostri lettori per un importante e
internazionale Scultore e medaglista, il nostro amico Felice Paolone.
Perché certe cose si dicono, si fanno e si scrivono e per un amico. Solo per un
amico!!!
Forse a questo proposito varrà la pena un giorno raccontare come nacque il libro
“Dentro la scultura” scritto dal solito Paolone, che anche lì ci vide
protagonisti, me e te, per amicizia. Perché allora è stato come affrontare una
fatica di Ercole. Ricordi? Magari lo facciamo un’altra volta. Che ne pensi?
Ora saluto te i tuoi weblettori scusandomi se qualche volta sono stato poco
comprensibile nel racconto o poco fluente nel discorso. Non me ne vogliano i
puristi e professori della lingua italiana. Cercheremo di migliorarci !! Con
affetto tuo e vostro
Antonio Gizzi".