14/4/2015 ● Cultura
Non dire una parola che non sia d'amore
È il verso di un bellissimo brano non recente nè noto: il gruppo che lo
eseguiva non apparteneva al circuito cd. mainstream. L'ho scelto per la presenza
dei due sostantivi, per il legame insospettabile tra loro esistente. Un legame,
badate, stabilito nella Bibbia. Della parola la Genesi, e non solo, fa un vero
tripudio. Ma al di là del sacro e del profano, credo la sua funzione talmente
importante da legittimare il ruolo di quinto elemento, sommandosi così,
idealmente, ad aria acqua terra fuoco. Certo, è questa la visione di chi, come
me, intende il Creato non come qualcosa di statico, una sorta di carillon: gli
esseri umani, a differenza delle figure animate del noto manufatto musicale,
hanno coscienza dell'esservi, celato alla loro vista, un fantasmagorico
meccanismo - di intelligente provenienza - ad animare il tutto. E dalla lettura
della Bibbia, dalla sua stessa struttura, ho tratto la visione di una Creazione
quale progetto in divenire. Divenire è d'altronde il verbo dalla cui radice, si
dice, potrebbe derivare il nome di Dio. Inoltre una delle possibili traduzioni
della risposta data a Mosè nell'episodio del rovo ardente è "io sono colui che
sarà" ... fate un po' voi.
Il tema, volendo percorrerne un tratto accidentato, prosegue con le conferme
forniteci dall'idealismo in filosofia e da alcune teorie della fisica delle
particelle subatomiche. Lo so, sono entrambe materie ostiche, ma basti dire che
degni studiosi di entrambe sono giunti alla conclusione - quantomeno possibile,
va - che la realtà oggettiva non esiste, piuttosto un prodotto in
trasformazione, dovuta alla presenza di noi esseri coscienti. Troppo scontato, e
forse un po' snob, citare Platone o Schopenauer, allora cavalco la semplicità
della saggezza orientale, ovvero il sogno di Zhuangzi: appena svegliatosi dal
sogno di essere una farfalla, un dubbio circa un possibile inganno balena nella
sua mente ... "sarò mica una farfalla che ha appena iniziato a sognare d'essere
un uomo?". A loro volta gli inganni dal rigore scientifico riguardano la fisica
dell'estremamente piccolo e, in particolare, la possibile rivelazione derivante
dal cd. "esperimento della doppia fenditura" (il cui esito verrebbe influenzato
dalla presenza di un osservatore). Scontata la difficoltà insita nell'articolata
spiegazione delle due argomentazioni, che neppure sarei in grado di rendere
assimilabili, basti la semplice constatazione che due discipline apparentemente
agli antipodi vanno similmente a suggerire che la concezione deterministica
della realtà - secondo cui tutto procede secondo il principio di causa-effetto -
va ribaltata: saremmo noi esseri senzienti a modellare la realtà con i nostri
pensieri, la nostra presenza.
E se proprio così fosse - ecco la questione - non è appunto la parola ad attuare
quella selezione di pensieri a cui, per l'importanza che crediamo tributarvi,
scegliamo di dar voce? Che la letteratura sia l'arte di creare mondi, per
ristabilire un certo qual ordine in questa caotica realtà, è cosa da sempre
risaputa. Per un credente, per fare un esempio, l'Inferno è qualcosa di reale, e
sovente egli non fa caso alla circostanza che le Sacre Scritture contengono meri
riferimenti dal valore metaforico. È la potenza dei versi di Dante ad aver
perpetrato l'inganno circa la realtà di un mondo sotterraneo (chissà che non
esista davvero, tuttavia anche per Dante era un luogo dell'anima: "O voi
ch'avete l'intelletti sani/ mirate la dottrina che s'asconde/ sotto il velame de
li versi strani"). La parola è creatura che viene alla luce in virtù di un
articolato e sofisticato processo, è il segno distintivo della nostra razza,
fatta a Sua immagine e somiglianza, perciò capace - come Lui - di proferire
parole. Quale il grado di sofisticazione? Basti pensare che in questo
tecnologico terzo millennio le "macchine" stanno impersonando il ruolo di nuovi
idoli, eppure il più sofisticato dei computer - come dimostrato nell'esperimento
della cd. "stanza cinese" - elabora parole di cui non comprende il significato,
utilizza un linguaggio in cui è assente quel valore semantico che comunque non
riuscirebbe a cogliere ... per la sintassi basta un cervello, per la semantica
occorre una mente capace di comprendere ed elaborare idee/concetti.
Nelle Sacre Scritture non si potrebbe tributare loro un'importanza superiore.
Pensate, l'uomo fu creato per ultimo, eppure Dio nei giorni precedenti, all'atto
di ogni singola creazione, pronuncia le relative parole ... che so, "e luce
sia": non c'era nessuno ad ascoltarLo, eppure ha dovuto quelle parole
pronunciare ... perché? Evidentemente la parola assolve ulteriori e più
importanti funzioni della semplice comunicazione ... "come va?", "hai visto che
tempo?": beh, quello è il grado zero della parola. Dopo aver creato l'uomo, Dio
gli delega una porzione del potere creativo, ovvero la possibilità di dare i
nomi alle altre creature, così che egli le possa sottomettere. La prima
enunciazione del Vangelo secondo Giovanni è "In principio era la Parola" (Logos)
... e prosegue dicendo che Dio è la Parola e Gesù è l'incarnazione della stessa.
Tutto è stato creato mediante la Parola. Nulla esiste al di fuori di Essa. Già,
questo vale anche per la parola con la minuscola: solo se qualcosa ha un nome
esiste, e un nome attesta l'esistenza anche di ciò che in realtà non esiste ...
vedi l'etere (luminifero), ad esempio. Se nell'Antico Testamento Dio è Legge,
Regola, il Vangelo va a specificare che è la Parola lo strumento per attuare
l'Ordine nel Caos, per portare la Luce nelle Tenebre. La Parola è il medium che
consente ad un concetto astratto di divenire reale, il veicolo che trasporta
elementi perfetti dalla realtà trascendentale al nostro limitato mondo. E
Dio/Parola è contemporaneamente una qualsiasi cosa realmente esistente e il
relativo concetto ... Dio lo è, e noi siamo le uniche sue creature in grado di
comprendere ciò.
Orbene, qual è la principale Rivelazione della Bibbia (del Nuovo Testamento in
realtà), rispetto a cui le altre fanno da corollario? Senza dubbio la
francescana Buona Novella, ovvero: "Dio è Amore". Procedendo col sillogismo
aristotelico si stabilirebbe una corrispondenza tra Parola e Amore. Ora, da un
punto di vista strettamente culturale occorre rilevare come davvero sia una
novella. Fateci caso, gli antichi - noi, ad esempio, possiamo puntare lo sguardo
sui nostri padri culturali, i Greci - non parlano mai di Amore e di certo non lo
propagandano. Occorre attendere il Discorso della Montagna per sentir enunciare
la regola aurea (presente già nel Levitico, l'invito era lì rivolto unicamente
agli ebrei) - « Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a
loro» (Luca 6,31) - e, sempre il Cristo, esplicitare i Comandamenti dell'Amore,
verso Dio e verso l'uomo: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con
tutta l'anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei
comandamenti. E il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te
stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti » (Matteo
22,37-40). Dunque l'Amore rende attuale la Legge.
La Parola possiede indubbie proprietà taumaturgiche, emerge dal caos della
realtà per assegnare un ordine ideale ad ogni cosa. Il medesimo ordine che è la
ragione sociale dell'Amore, che ci consentirebbe di vivere in armonia e
appianare tutte le storture del mondo. La Parola con la maiuscola, quella
ispirata - che può rendere il mondo un posto migliore - non può che essere atto
d'Amore. E Cristo ci insegna che la Parola di Dio consente di liberarci dal
Male. Questo avviene se lo strumento è utilizzato virtuosamente ... "Ma io vi
dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del
giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue
parole sarai condannato" (Matteo 12:36,37). Ora fate caso a questo: il
Comandamento dell'Amore, "Ama il prossimo ...", chissà quante volte lo abbiamo
letto/ascoltato senza mai interrogarci davvero sul relativo significato. Eppure
è di una semplicità disarmante l'interpretazione: il prossimo, ovvero il diverso
da te, devi accoglierlo come fosse uguale a te, come se quella figura che
davanti ai tuoi occhi appare fossi tu. Forse le conseguenze a cascata, che si
possono trarre dal Comandamento, hanno bisogno di una più ponderata riflessione.
L'amore ideale, che mai può compiersi nella perfezione ma a cui bisogna - nella
concreta realizzazione - tendere, è innanzitutto conoscenza della diversità: per
tale tramite si giunge all'identità. Questo ci fa comprendere che l'identità, la
conoscenza di noi stessi, è un concetto dinamico, un progetto in itinere:
conosci ciò che è diverso da te e questo ti aiuterà a conoscere maggiormente te
stesso - in modo speculare al "conosci te stesso" di Socrate. E le deduzioni non
finiscono qui. Se l'amore, la bontà si realizzano nella comprensione del diverso
e nella sua accoglienza, per converso il male si compie anche mediante la
semplice inazione, restando arroccati nella propria identità (Papa Francesco di
recente ha denunciato i pericoli connessi all'autoreferenzialità). Inoltre se,
come già detto, la comprensione degli altri aiuta la comprensione di se stessi,
dovremmo approcciarci all'Amore pur nella convinzione di seguire un intento
egoistico. D'altronde uno dei più celebri versi della Divina Commedia, ispirato
ad un episodio del Vangelo, recita: "amor ch'a nullo amato amar perdona" ...
l'amore che dai ti torna indietro, moltiplicato.
Ma la rivelazione che trovo più interessante - chè, in confidenza, questo
principalmente mi premeva evidenziare - è che la definizione di Amore coincide
con quella di Conoscenza, sia essa della Parola di Dio o che riguardi un sapere
dal sapore più terreno. La cultura, che di conoscenza si nutre, fiorisce
dall'incontro con la diversità (e l'ignoranza, come il male, è il rifiuto del
diverso, cultura del pregiudizio, il restare arroccati sulle proprie posizioni,
sulla propria identità). Come l'Amore, la cultura implica la comprensione del
diverso mediante l'accrescimento della propria identità, che esce arricchita dal
confronto-sintesi. La poesia, il teatro, la filosofia, le arti, la storiografia,
la politica (la democrazia ateniese dei tempi di Pericle, per alcune
connotazioni in tema di partecipazione, resta superiore alle democrazie moderne)
... il pensiero moderno tutto, nasce in Grecia quasi tremila anni fa, in
prossimità di una frattura tra due grandi civiltà, la greca e la persiana,
occidente-oriente. È dal desiderio di comprendere ed abbracciare il diverso,
dunque da un atto d'amore, che è nata la nostra civiltà.
Parola e amore ... non sono forse i poeti ad attuare una splendida sintesi? Nel
1300 Dante intuisce che anche la meccanica dei corpi celesti segue le leggi
d'attrazione: "amor, che move il sole e l'altre stelle", così termina la Divina
Commedia ... l'intero universo sembra obbedire al Comandamento dell'Amore. Circa
tre secoli più tardi un sonetto del Bardo restituisce con efficacia la vacuità
di senso dell'esistenza umana - e di ogni parola pronunciata - se l'amore non
esistesse, se non fosse un punto fermo, il supremo valore a cui ancorare la
nostra esistenza:
"Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire
quando l'altro si allontana...
Oh no! Amore è un faro sempre fisso, che sovrasta la tempesta e non vacilla
mai...
Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste sino al giorno
estremo del giudizio...
Se questo è errore e mi sarà provato, dite pure che io non ho mai scritto...
E che nessun uomo ha mai amato..." [William Shakespeare]