11/4/2015 ● Solitudini d'autore
Il patrimonio identitario: al centro dell'appartenenza le persone e il territorio
[http://www.economiacristiana.it] - La cultura è considerata da molti un settore economico come gli altri e in
molti casi un tipico terreno di scontro ideologico tra i sostenitori del
pubblico contrapposti ai sostenitori del privato. In realtà esiste una terza
via, la via che mette al centro le persone e il territorio.
Don Loffredo a Napoli ha sperimentato con successo questo approccio alla cultura
come bene comune, un bene che nasce dalle relazioni tra persone che non è
appannaggio del singolo né un bene da sfruttare, ignorare e depredare.
Don Antonio Loffredo, parroco della basilica di S.Maria della Sanità, in dieci
anni ha messo su una macchina organizzativa che ha permesso di poter visitare
luoghi affascinanti e misteriosi quali le Catacombe di San Gaudioso, San Gennaro
e San Severo, i tesori delle Chiese della Sanità, e altro ancora.
Insieme ai ragazzi della parrocchia, al sostegno di accademici, professionisti e
tecnici e poi con la costituzione di una Cooperativa Sociale ha avviato il
recupero delle catacombe e delle chiese del Rione, allestendo un Bed &
Breakfast. Non dissertano e disquisiscono, non si fermano davanti ai muri
insormontabili della gestione pubblica, non cercano metodi per diventare ricchi:
puliscono, illuminano, riconquistano spazi perduti, costruiscono strutture,
creano percorsi, studiano per costruire i materiali promozionali e didattici.
Insomma “fanno cultura”, nel senso che la rendono tangibile, un capitale umano
con immensi ritorni nel futuro. Un esempio per tutti noi italiani, da cui
imparare.
Don Antonio, lei a Napoli ha sperimentato con successo un approccio alla
cultura intesa come bene comune che mette al centro le persone ed il territorio.
Può raccontarci le iniziative che ha messo in campo in questi 10 anni?
Le iniziative sono molto semplici, noi ci siamo guardati attorno nel quartiere
Sanità, abbiamo visto che la cultura era ciò che l’occhio vedeva e sotto i
nostri occhi ci siamo accorti che il patrimonio identitario era una grande leva
per poter fare non soltanto un lavoro estetico visivo, non soltanto un
ragionamento per poche persone, ma qualcosa che poteva far crescere addirittura
il quartiere. Siccome la Sanità, forse non tutti lo sanno, è un quartiere ghetto
perché fu tagliato fuori dalla città con un ponte costruito 200 anni fa abbiamo
cercato di aprire attraverso la cultura e l’arte il nostro quartiere al resto
del territorio.
Qual è la principale e fondamentale risorsa a cui si appella per fare tutto
questo?
Le risorse sono due: i tanti giovani che sono numerosi nel quartiere e sono
anche disoccupati e i beni storici e artistici.
Abbiamo cercato di combinare queste componenti insieme; su questi monumenti sono
cresciute la consapevolezza e l’appartenenza a un territorio e i nostri ragazzi
hanno ripreso a studiare.
Abbiamo cominciato innanzitutto a restaurare i beni storici artistici, a
riaprirli, a renderli fruibili e a invitare il resto del mondo a visitarci in
modo che non restassimo più un ghetto ma fossimo persone che entravano in
dialogo. Nello stesso momento nelle tante chiese sono affidate alla mia cura si
è sviluppato un discorso di socializzazione, sempre basato sull’arte e la
cultura; ad esempio qui è molto bella l’esperienza sul modello di Abreu del
Venezuela dell’orchestra sinfonica di bambini; è bella l’esperienza teatrale in
un quartiere così carico di memoria, dove è nato Totò.
Tutto quello che è stato fatto, anche da un punto di vista aggregativo per i
piccoli, ha avuto sempre come denominatore comune l’arte e la bellezza; così
l’opera più evidente è stato il recupero delle catacombe e la sua fruizione
grazie alla pontificia commissione abbiamo ricevuto in gestione il tesoro più
prezioso della Sanità che sono le radici della nostra sede, le catacombe.
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