9/3/2015 ● Solitudini d'autore
L’autoreferenzialità
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Do il benvenuto a tutti voi e vi ringrazio per il vostro affetto caloroso!
Rivolgo il mio cordiale saluto ai Cardinali e ai Vescovi. Saluto Don Julián
Carrón, Presidente della vostra Fraternità, e lo ringrazio per le parole che mi
ha indirizzato a nome di tutti; e La ringrazio anche, Don Julián, per quella
bella lettera che Lei ha scritto a tutti, invitandoli a venire. Grazie tante!
Il mio primo pensiero va al vostro Fondatore, Mons. Luigi Giussani, ricordando
il decimo anniversario della sua nascita al Cielo. Sono riconoscente a Don
Giussani per varie ragioni. La prima, più personale, è il bene che quest’uomo ha
fatto a me e alla mia vita sacerdotale, attraverso la lettura dei suoi libri e
dei suoi articoli. L’altra ragione è che il suo pensiero è profondamente umano e
giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo. Voi sapete quanto importante
fosse per Don Giussani l’esperienza dell’incontro: incontro non con un’idea, ma
con una Persona, con Gesù Cristo. Così lui ha educato alla libertà, guidando
all’incontro con Cristo, perché Cristo ci dà la vera libertà. Parlando
dell’incontro mi viene in mente “La vocazione di Matteo”, quel Caravaggio
davanti al quale mi fermavo a lungo in San Luigi dei Francesi, ogni volta che
venivo a Roma. Nessuno di quelli che stavano lì, compreso Matteo avido di
denaro, poteva credere al messaggio di quel dito che lo indicava, al messaggio
di quegli occhi che lo guardavano con misericordia e lo sceglievano per la
sequela. Sentiva quello stupore dell’incontro. E’ così l’incontro con Cristo che
viene e ci invita.
Tutto, nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un
incontro. Un incontro con quest’Uomo, il falegname di Nazaret, un uomo come
tutti e allo stesso tempo diverso. Pensiamo al Vangelo di Giovanni, là dove
racconta del primo incontro dei discepoli con Gesù (cfr 1,35-42). Andrea,
Giovanni, Simone: si sentirono guardati fin nel profondo, conosciuti
intimamente, e questo generò in loro una sorpresa, uno stupore che,
immediatamente, li fece sentire legati a Lui... O quando, dopo la Risurrezione,
Gesù chiede a Pietro: «Mi ami?» (Gv 21,15), e Pietro risponde: «Sì»; quel sì non
era l’esito di una forza di volontà, non veniva solo dalla decisione dell’uomo
Simone: veniva prima ancora dalla Grazia, era quel “primerear”, quel precedere
della Grazia. Questa fu la scoperta decisiva per san Paolo, per sant’Agostino, e
tanti altri santi: Gesù Cristo sempre è primo, ci primerea, ci aspetta, Gesù
Cristo ci precede sempre; e quando noi arriviamo, Lui stava già aspettando. Lui
è come il fiore del mandorlo: è quello che fiorisce per primo, e annuncia la
primavera.
E non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e
l’adesione senza la misericordia. Solo chi è stato accarezzato dalla tenerezza
della misericordia, conosce veramente il Signore. Il luogo privilegiato
dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio
peccato. E per questo, alcune volte, voi mi avete sentito dire che il posto, il
luogo privilegiato dell’incontro con Gesù Cristo è il mio peccato. È grazie a
questo abbraccio di misericordia che viene voglia di rispondere e di cambiare, e
che può scaturire una vita diversa. La morale cristiana non è lo sforzo
titanico, volontaristico, di chi decide di essere coerente e ci riesce, una
sorta di sfida solitaria di fronte al mondo. No. Questa non è la morale
cristiana, è un’altra cosa. La morale cristiana è risposta, è la risposta
commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura
“ingiusta” secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei
tradimenti e mi vuole bene lo stesso, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di
nuovo, spera in me, attende da me. La morale cristiana non è non cadere mai, ma
alzarsi sempre, grazie alla sua mano che ci prende. E la strada della Chiesa è
anche questa: lasciare che si manifesti la grande misericordia di Dio. Dicevo,
nei giorni scorsi, ai nuovi Cardinali: «La strada della Chiesa è quella di non
condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le
persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio
quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle
“periferie” dell’esistenza; quella di adottare integralmente la logica di Dio»,
che è quella della misericordia (Omelia, 15 febbraio 2015). Anche la Chiesa deve
sentire l’impulso gioioso di diventare fiore di mandorlo, cioè primavera come
Gesù, per tutta l’umanità.
Oggi voi ricordate anche i sessant’anni dell’inizio del vostro Movimento, «nato
nella Chiesa – come vi disse Benedetto XVI –non da una volontà organizzativa
della Gerarchia, ma originato da un incontro rinnovato con Cristo e così,
possiamo dire, da un impulso derivante ultimamente dallo Spirito Santo»
((Discorso al pellegrinaggio di Comunione e Liberazione, 24 marzo 2007:
Insegnamenti III, 1 [2007], 557).
Dopo sessant’anni, il carisma originario non ha perso la sua freschezza e
vitalità. Però, ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo,
è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio
cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la
spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”: al centro
c’è solo il Signore! Per questo, quando Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi
parla dei carismi, di questa realtà così bella della Chiesa, del Corpo Mistico,
termina parlando dell’amore, cioè di quello che viene da Dio, ciò che è proprio
di Dio, e che ci permette di imitarlo. Non dimenticatevi mai di questo, di
essere decentrati!
E poi il carisma non si conserva in una bottiglia di acqua distillata! Fedeltà
al carisma non vuol dire “pietrificarlo” – è il diavolo quello che “pietrifica”,
non dimenticare! Fedeltà al carisma non vuol dire scriverlo su una pergamena e
metterlo in un quadro. Il riferimento all’eredità che vi ha lasciato Don
Giussani non può ridursi a un museo di ricordi, di decisioni prese, di norme di
condotta. Comporta certamente fedeltà alla tradizione, ma fedeltà alla
tradizione – diceva Mahler – “significa tenere vivo il fuoco e non adorare le
ceneri”. Don Giussani non vi perdonerebbe mai che perdeste la libertà e vi
trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della
memoria di quel primo incontro e siate liberi!
Così, centrati in Cristo e nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani, piedi,
mente e cuore di una Chiesa “in uscita”. La strada della Chiesa è uscire per
andare a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in ogni persona
emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del
proprio egoismo.
“Uscire” significa anche respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme,
significa saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà
sincera. Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una
“spiritualità di etichetta”: “Io sono CL”. Questa è l’etichetta. E poi cadiamo
nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel
guardarci allo specchio che ci porta a disorientarci e a trasformarci in meri
impresari di una ONG.
Cari amici, vorrei finire con due citazioni molto significative di Don Giussani,
una degli inizi e una della fine della sua vita.
La prima: «Il cristianesimo non si realizza mai nella storia come fissità di
posizioni da difendere, che si rapportino al nuovo come pura antitesi; il
cristianesimo è principio di redenzione, che assume il nuovo, salvandolo»
((Porta la speranza. Primi scritti(, Genova 1967, 119). Questa sarà intorno al
1967.
La seconda del 2004: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo
che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza
di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del
cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi
elementi originali, e basta» (Lettera a Giovanni Paolo II, 26 gennaio 2004, in
occasione dei 50 anni di Comunione e Liberazione).
Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. E, per favore, non
dimenticatevi di pregare per me! Grazie.
Discorso di papa Francesco all'Udienza con il movimento di Comunione e
Liberazione. Piazza San Pietro, 7 marzo 2015Discorso di papa Francesco all'Udienza con il movimento di Comunione e Liberazione. Piazza San Pietro, 7 marzo 2015