5/3/2015 ● Cultura
Custodire la rotta verso la civiltà
La sensibilità culturale della "pietà popolare" deve custodire la rotta verso
la civiltà, con sapienza ancora più percettibile quando una qualche istituzione
di una comunità civica appare latitante per carenze incolmabili.
L’impegno civico di rappresentanza, in ogni formula aggregativa, è una
condizione necessaria ma non sufficiente lì dove prevalgono limiti e carenze
nelle conoscenze anche dei processi civici per i fenomeni culturali a matrice
identitaria. L’impegnarsi per se stessi appartiene ai “capitani d’avventura”, i quali,
alla prima apparente difficoltà, sono pronti ad affondare le zavorre culturali negli
abissi dell’incoscienza civica.
Le festività religiose ai Santi della Chiesa sono, per definizione, esplicazioni
sociali della pietà popolare. C’è una domanda alla quale anche il “capitano
d’avventura” di turno è chiamato a rispondere nella sua coscienza e magari attraverso la
propria conoscenza: cos’è la “pietà popolare”?
Padre Luiz Carlos de Oliveira risponde così: “Cos’è la pietà popolare? E’ un
modo del popolo di vivere la fede, seguendo tradizioni spirituali che vengono
dai secoli. [...] La religiosità della pietà popolare è una scuola di fede,
poiché conduce il fedele alla vita di Cristo, dei santi e alle pratiche di
pietà. Come scuola di fede stimola la vita cristiana, ma ha un rischio:
allontana la fede dalla vita. La devozione, se non permea la vita con il senso
del Vangelo, resta fragile. Questo è uno dei pericoli della religiosità
popolare. Resta esteriore. [...] La religiosità e la pietà popolare sono utili
nella misura in cui aiutano la nostra conversione. [...] Alla venerazione dei
santi e alla partecipazione dei misteri della vita di Cristo nel suo aspetto più
sensibile, abbiamo bisogno di confrontare la nostra vita con essi e prendere la
decisione della conversione. Allora sì, la pietà popolare arricchisce la Chiesa.
[...] La Chiesa è chiamata a conoscere l’anima del popolo e così dispensare i
misteri sacri e gli insegnamenti della fede in modo comprensibile. La base di
questa attitudine educativa è l’affettuoso accoglimento del popolo, linguaggio
che esso capisce molto bene.”
“Ogni popolo – insegna Papa Francesco nella lezione sulla “pietà
popolare” [cfr.
link] – è il creatore della propria cultura ed il protagonista della
propria storia. La cultura è qualcosa di dinamico, che un popolo ricrea
costantemente, ed ogni generazione trasmette alla seguente un complesso di
atteggiamenti relativi alle diverse situazioni esistenziali, che questa deve
rielaborare di fronte alle proprie sfide”.
La fede e la cultura convergono in un unico abbraccio sociale. “Ogni
cultura e ogni gruppo sociale – avverte il Santo Padre - necessita di
purificazione e maturazione. Nel caso di culture popolari di popolazioni
cattoliche, possiamo riconoscere alcune debolezze che devono ancora essere
sanate dal Vangelo: il maschilismo, l’alcolismo, la violenza domestica, una
scarsa partecipazione all’Eucaristia, credenze fataliste o superstiziose che
fanno ricorrere alla stregoneria, eccetera. Ma è proprio la pietà popolare il
miglior punto di partenza per sanarle e liberarle”.
Nei processi di inculturamento di un popolo, il ridurre ad un “prezzo”, anziché
ad un effettivo “valore”, il coinvolgimento della pietà popolare, nella sua
organica custodia e manifestazione dell’essere comunità in cammino verso la mèta verticale (non orizzontale!), è espressione di inadeguatezza educativa e
formativa e, dunque, di una involutiva coscienza civica. “Le espressioni della
pietà popolare – richiama Papa Francesco – hanno molto da insegnarci e,
per chi è in grado di leggerle, sono un “luogo teologico” a cui dobbiamo
prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova
evangelizzazione.”
In ogni comunità le manifestazioni della pietà popolare sono momenti
irripetibili di accoglienza ai valori autentici della fede. “È anche vero
– esorta Papa Bergoglio in "Evangelii Gaudium" – che a volte l’accento, più che
sull’impulso della pietà cristiana, si pone su forme esteriori di tradizioni di
alcuni gruppi, o in ipotetiche rivelazioni private che si assolutizzano. Esiste
un certo cristianesimo fatto di devozioni, proprio di un modo individuale e
sentimentale di vivere la fede, che in realtà non corrisponde ad un’autentica
“pietà popolare”. Alcuni promuovono queste espressioni senza preoccuparsi della
promozione sociale e della formazione dei fedeli, e in certi casi lo fanno per
ottenere benefici economici o qualche potere sugli altri. Nemmeno possiamo
ignorare che, negli ultimi decenni, si è prodotta una rottura nella trasmissione
generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico. È innegabile che molti
si sentono delusi e cessano di identificarsi con la tradizione cattolica, che
aumentano i genitori che non battezzano i figli e non insegnano loro a pregare,
e che c’è un certo esodo verso altre comunità di fede. Alcune cause di questa
rottura sono: la mancanza di spazi di dialogo in famiglia, l’influsso dei mezzi
di comunicazione, il soggettivismo relativista, il consumismo sfrenato che
stimola il mercato, la mancanza di accompagnamento pastorale dei più poveri,
l’assenza di un’accoglienza cordiale nelle nostre istituzioni e la nostra
difficoltà di ricreare l’adesione mistica della fede in uno scenario religioso
plurale”.
Nell'approccio alla gestione collaborativa della "pietà popolare",
attraverso le feste religiose della Chiesa, sono prioritarie alcune parole chiave: "una
necessità del popolo", "una scuola di fede" e "un cammino di spiritualità",
delle quali brevi riflessioni sono nell'articolo di P. Luiz Carlos de Oliveira
sul "Portale
di Catechesi e Cultura cristiana".
Quante stranezze avvengono attorno al tentativo di (con)fondere la pietà
popolare, il più grande patrimonio di una comunità con un futuro alle spalle.
Quantomeno nei luoghi e nei contesti dell'autentica pietà popolare si custodisca
la rotta verso la civiltà.