14/2/2015 ● Cultura
Renzi, Mattarella, il sistema politico e l’etica della responsabilità
Dopo le elezioni del presidente della Repubblica sono molte le discussioni, a
livello giornalistico e di opinione pubblica, su chi ha vinto e chi ha perso
nella partita politica. Su Repubblica (10 febbraio) il professore Piero Ignazi
(politologo, Università di Bologna) ha sottolineato che “le elezioni potevano
costar care a Matteo Renzi se non avesse trovato un candidato in grado di unire
il proprio partito e di aggregare consensi ulteriori. La prova è stata superata
brillantemente gettando lo scompiglio nei campi avversi (…). Il patto del
Nazareno… ha rivelato il suo vero fine che non riguardava tanto l’approvazione
delle riforme, bensì la svirilizzazione dell’opposizione berlusconiana in vista
di quel passaggio cruciale per tutti i segretari di partito che sono le elezioni
presidenziali.
Arrivati all’appuntamento del Quirinale tranquilli e sereni (anche loro…), i
dirigenti forzisti si sono trovati di fronte un muro senza appigli, cioè un
partito unito come non mai, grazie all’etica della responsabilità di Bersani.
Solo allora è emerso che il Patto, ivi compresi tutti i suoi connessi opachi,
serviva a Renzi per scollinare il Quirinale: gli serviva per ricondurre a sé la
minoranza Pd nel momento in cui le avrebbe offerto l’occasione di contrapporsi
frontalmente alla destra, e per blandire il Cavaliere illudendolo di poter
tornare al centro del gioco (…). Per consolidare la sua posizione dominante il
Pd, più che continuare a correre o nuotare, deve incominciare a pensare a sé
stesso, al suo profilo valoriale: c’è una identità tutta da precisare, al di là
di slogan usa e getta…”.
Secondo l’opinione del giornalista Marco Damilano (l’Espresso) <<Il vero terreno
di potenziale conflitto tra i due presidenti (Renzi e Mattarella) è la risposta
alla crisi di rappresentanza del sistema politico. Avvertita in modo drammatico
da Mattarella: in mezz’ora di discorso mai ha pronunciato la parola partito,
denunciando la crisi degli “strumenti tradizionali di partecipazione”. La
risposta data da Renzi fin qui è lo scavalcamento di ogni forma di mediazione,
il rapporto diretto tra il leader e il popolo, tra il premier e i cittadini, a
colpi di messaggi televisivi e di tweet. Con lo svuotamento degli altri poteri e
dei corpi intermedi: il Parlamento, i partiti, i sindacati, le regioni, i
comuni… Tutto da riportare al centro, a Roma, anzi, a Palazzo Chigi, da Renzi.
Mattarella, invece, è da sempre contrario al potere eccessivamente
personalizzato>>.
Andranno d’amore e d’accordo per molto tempo i due presidenti? Vedremo. Di
certo, Mattarella è un convinto sostenitore della necessità di riformare il
sistema politico e, per quanto se ne sa, è anti-presidenzialista. Ulteriore
considerazione: L’ex Cavaliere, secondo l’opinione di Eugenio Scalfari
(Repubblica, 8 febbraio), <<bruciato dall’elezione di Mattarella, ha
improvvisamente scoperto che c’è una deriva autoritaria nelle riforme che aveva
sostenuto fino a ieri… L’uomo, si sa, non è famoso per la sua coerenza. Ma vale
comunque la pena di riprendere il tema del Senato, specie ora che spetterà al
nuovo Capo dello Stato promulgare le leggi una volta che arrivino sul suo
tavolo. Quella legge di riforma prevede che il Senato diventi Camera delle
Regioni. (…) Sono favorevole a riservare il potere di fiducia soltanto alla
Camera… e ben venga dunque su questo punto il regime monocamerale. Ma proprio
perché dare o togliere la fiducia non spetterà più ai senatori, possiamo e anzi
dobbiamo lasciare intatti i loro poteri di controllo sull’Esecutivo e sulla
pubblica amministrazione… Quindi la legge di riforma può e deve su questo punto
essere emendata. (…) Per di più in un Paese dove una delle maggiori fonti di
malgoverno e corruzione è presente proprio nei Consigli regionali. Mi sembra
assolutamente necessario che sia il popolo ad eleggere direttamente i senatori.
Mi permetto di segnalare quest’aspetto della legge di riforma costituzionale
affinchè sia adeguatamente modificato. La forma attuale è un fallo e l’arbitro
ha diritto e dovere di fischiare indicandone la punizione (in questo caso la
modifica). Post scriptum. Il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha
preannunciato un suo disegno di legge che presenterà nei prossimi giorni.
Riguarda l’obbligo del vincolo di mandato che attualmente è escluso da un
articolo della Costituzione. Ora anche i Cinquestelle dicono la stessa cosa.
Dunque Grillo e Salvini vogliono che un membro del Parlamento eletto su
candidatura del partito cui aderisce non possa in alcun caso votare contro il
suo partito del quale ha l’obbligo di eseguire pedissequamente gli ordini. Se la
sua coscienza glielo impedisce, la sola via di fuga che può adottare sono le
dimissioni dal Parlamento… Una proposta così può essere fatta soltanto da chi
vuole instaurare per legge una dittatura. Oppure da un pazzo. Scelgano Salvini e
Grillo in quale di questi due ruoli si ravvisino>>.
Termino con una annotazione. Sbaglia chi paragona il movimento Cinquestelle allo
spagnolo ‘Podemos’: sono assai più le differenze sostanziali delle somiglianze
apparenti. Podemos è una formazione radicata nella sinistra politica, al
contrario dei grillini siede nel gruppo della sinistra all’Europarlamento, i
suoi leader sono docenti universitari con un lungo passato di militanza. Alle
prossime elezioni generali di novembre 2015 probabilmente vinceranno.