13/2/2015 ● Agricoltura
L'Agricoltura molisana guarda al biogas, forse "imprevisti" in arrivo?
Giorni addietro ho letto l’intervista fatta dal giornale telematico regionale
“Termolionline” all’agronomo dott. Donato Occhionero : “ L’agricoltura guarda al
biogas, in arrivo due impianti a Campomarino”.
Il settore del biogas, da sempre, ha acceso aspri dibattiti tra favorevoli e
contrari ad una tecnica di produzione di gas ed energia che, se non
opportunamente regolamentata, può rivoltarsi contro i suoi stessi princìpi di
sostenibilità ambientale.
Come ogni attività produttiva che presta il fianco a diventare la “gallina dalle
uova d’oro” di turno, la produzione di biogas può diventare un serio problema.
Il dott. Occhionero bene ha fatto quando ha tenuto distinti gli impianti a
biomasse da quelle a biogas; i primi peggiorativi rispetto ai secondi.
Non mi soffermo sulle differenziazioni perché, nell’articolo, sono state ben
evidenziate.
Nutro forti perplessità quando in merito agli impianti a biogas afferma che
“..sono dei capolavori di energia” o, sempre a suo dire, “…volano per l’economia
locale”.
Cercherò di essere sintetico parlando in particolar modo del solo digestato,
ossia “l’avanzo” di quanto servito per produrre energia sia elettrica che
termica da una centrale a biogas.
Il digestato, lo afferma la stessa Commissione Europea nel suo sito, inquina;
tant’è vero che ha presentato il progetto WAVALUE (“Higth added value
eco-fertilisers from anaerobic digestion effluent wastes”).
Un progetto di granulazione del digestato che punta a produrre (a che costi e
con quali sussidi?) un fertilizzante naturale.
Lo scopo, per caso, è quello di rimuovere “il collo di bottiglia” e moltiplicare
le centrali a biogas in tutta Europa?
Questo perché, oggi, malgrado i regolamenti vigenti, il digestato viene sparso
come fertilizzante sui campi agricoli possibilmente vicini agli impianti dov’è
prodotto (spostarlo oltre una certa distanza risulterebbe oltremodo costoso) e
ciò causa l’inquinamento del suolo e dell’acqua: l’eutrofizzazione.
O, peggio, potrebbe contenere batteri e sostanze chimiche velenose.
Senza pensare alla insostenibilità economica di detta produzione in mancanza di
incentivi e certificati, all’uso dissennato dei fertilizzanti e dei fitofarmaci,
al consumo spropositato di acqua, all’aumento della competizione alimentare.
Faccio riferimento ad un articolo del gennaio 2014 nel quale lo stesso
Commissario UE dell’Ambiente Janez Poto>nik rispondendo alla interrogazione
dell’eurodeputato Andrea Zanoni, membro della Commissione Envi, Ambiente, Sanità
Pubblica e Sicurezza Alimentare al Parlamento europeo, sui possibili gravi
effetti del digestato sui terreni agricoli, sugli animali di allevamento e
quindi sulla salute dei cittadini ha specificato che “…per biogas e digestati va
applicata la normativa dell’Unione europea sui rifiuti”.
Sostiene l’europarlamentare Zanoni: “Fino al momento in cui non saranno a
disposizione nuovi studi, il digestato va considerato come un rifiuto e come
tale va trattato. Le autorità italiane devono applicare le disposizioni della
normativa Ue sui rifiuti alla lettera”.
Anche il Cordis, il servizio comunitario di informazione in materia di ricerca e
sviluppo, rileva che il digestato spesso viene sparso come fertilizzante sui
campi agricoli vicino ai campi dove è prodotto il biogas, arrivando alla
medesima conclusione: l’eutrofizzazione.
Nel novembre 2014, sono state dettate nuove regole per il digestato, approvato
il decreto in Conferenza Stato-Regioni a cui hanno preso parte le Regioni, i
Ministeri dell’Ambiente e della Salute e le Associazioni di categoria.
Lo schema di decreto prevede:
- la bipartizione del digestato in agrozootecnico ed agroindustriale e
condizioni di parificazione ai concimi di origine chimica, attraverso una
esecuzione di analisi chimiche del digestato in uscita dagli impianti ed il
calcolo dell’azoto tramite l’effettivo fabbisogno delle colture, così da
garantire il rispetto dell’ambiente.
- Il divieto di utilizzazione agronomica del digestato in caso di immissione
negli impianti di colture che provengono dai siti di bonifica.
- La flessibilità della collocazione temporale del periodo obbligatorio di 60
giorni di divieto di spandimento degli effluenti.
- L’introduzione di una graduale limitazione all’uso di colture no food
alternative all’utilizzazione agricola dei terreni coltivati.
E’ andato in vigore, o andrà? Quando?
Tutto quanto detto, comunque, porta a fare delle riflessioni:
a) Questi impianti potrebbero “drenare” i finanziamenti al vero mondo agricolo
regionale?
b) Sarebbe giusto ed opportuno fare qualche convegno sul tema in modo che il
cittadino sia informato, prenda coscienza, su quanto potrebbe accadere sul
territorio in cui vive; sapere i pro ed i contro?
Parto dai sindaci che sono, per legge, la massima autorità sanitaria del comune
e quindi responsabili della salute dei loro amministrati.
c) L’impianto, in un secondo momento potrebbe essere “direzionato” in un normale
inceneritore?
In conclusione ribadisco che bisogna partire dal tema della salute pubblica:
nulla viene prima; ed il Molise, penso, che abbia sicuramente bisogno d’altro.
Giorgio Scarlato