17/1/2015 ● Cultura
Libertà o morte
Una fatalità.
Come poter altrimenti definire la parabola evolutiva della libertà, le cui tappe
significative presentano una purpurea costante … il sangue. Già. La parola
libertà è spesso farcitura di discorsi intrisi di secchiate di retorica. E’ in
particolare la propaganda dei guerrafondai – nel ruolo di aggressori ed
aggrediti, non fa differenza – a farne un ricorso smodato, tributandole una
sacralità a cui l’altrettanta, ma un po’ meno, sacralità della vita deve
inchinarsi. In questa sorta di tripudio del sacro anche il bene più prezioso può
essere sacrificato. Accade così che la ruota dei corsi e ricorsi storici compia
fatalmente il suo giro e si apra una nuova finestra da cui poter unanimemente
esibire questa parola, coadiuvando il fiato dei sostenitori col “mortal sospiro”
di quanti si sono ad essa immolati … “bandiera rossa della libertà …”.
E’ dunque la morte ad alimentare la fiamma della libertà. Eppure, retorica a
parte, siamo usi darla per scontata. Lo siamo talmente da credere, nella
contemporaneità, la qualità della vita dipendere dall’andamento del PIL.
Dimentichi che è invece la linea virtuale fin dove la libertà poter esercitare a
delineare un concreto profilo di quel fattore chiamato benessere … una sottile
linea rossa, come quella che Kipling asseriva stabilisse il labile confine tra
lucidità e follia. Scontata, sì, talmente scontata da non far più caso ad una
considerazione pure elementare: la nostra tronfia bocca mastica e sputa di
continuo valori e ideali, quegli astratti orizzonti che sono di riferimento per
il nostro intelletto intento nell’esercizio di costante tensione utile per poter
asseverare l’unico senso che vale davvero la pena, per una persona sensata,
accostare alla propria esistenza: diventare uomini migliori. Bene, in assenza
del loro zoccolo duro, la libertà, tutti i valori resterebbero pure astrazioni,
non sarebbero anzi neppure concepibili. Eppure la diamo talmente per scontata
che crediamo essere eccezionali le circostanze in cui nella storia della società
umana essa abbia fatto vacanza. E sì, perché la nostra superficialità c’induce
pure a dimenticare che spesso sono le istituzioni politiche, le convenzioni
sociali e i pregiudizi morali a tramare/remare contro, se non addirittura ad
ergersi a suoi nemici giurati.
E così, fatalità nella fatalità, proprio nella Parigi in cui ha echeggiato il
grido “liberté, égalité, fraternité” si è presentata l’occasione di poter
fertilizzare il terreno della libertà con sangue fresco, di poter compiere
un’ulteriore riflessione sul tema e colmare un ulteriore tratto verso la
definitiva presa di coscienza. Pare proprio essere una prerogativa umana quella
di tornare, da eterni ripetenti, ad esaminare concetti già tradotti dai nostri
avi. Tornando, quale esempio, alla Parigi della Rivoluzione e della Comune, in
avviato 3° millennio il tema dell’uguaglianza, quanto ad attuazione concreta,
vanta tuttora un credito nei confronti della società. Sì, perché sul versante
della teorizzazione le moderne costituzioni degli stati democratici pluralisti
hanno invece individuato valide formulazioni. In Italia abbiamo l’art. 3 comma 2
che promuove un principio rimasto però tale … accantonato il socialismo – solo
per adesso, questa la mia facile profezia – l’abbattimento delle differenze
economico-sociali è un problema irrisolto e, tuttavia, non percepito più come
tale. Queste differenze, che di per sé già deprimono il concetto di libertà –
ridotta così a mera affermazione di principio - si sommano a quelle di ordine
culturale, ancor più deleterie. Se le prime impediscono il concreto esercizio
della libertà, queste invece ne reprimono in partenza lo sviluppo, sono
abortive. Per poter eludere la iattura dei condizionamenti – tanti e di ogni
tipo - e formulare un pensiero libero, il nostro intelletto dovrà pur
riconoscerli come tali? Nel caso di specie, quante Primavere arabe occorrono
affinché quel mondo riesca a ripianare le differenze culturali con la società
occidentale e raggiungere il nostro livello comunque non ideale? Sono, queste
considerazioni, talmente scontate da far comprendere perchè la libertà sia
concetto da non dare affatto per scontato.
Ora, sebbene sia periodo di saldi, non è per mettere in vetrina cose scontate
che ho deciso di prendere a ditate la tastiera. Vado a spiegarmi. Quel titolo
l’ho scelto non solo perché, come evidenziato, rappresenta spesso i termini di
quello che pare un baratto. “Libertà o morte” è locuzione che molti avranno
sentito pronunciare in svariati contesti, ma è bene individuarne l’origine. Nel
1781 un giovane di 22 anni, tal Schiller, scrive “I masnadieri”, opera teatrale
di grande successo che gli consente di essere all’epoca paragonato addirittura a
Shakespeare. Gli ideali evocati dai personaggi del dramma rendevano a tal punto
partecipe il pubblico che, pare, le donne svenissero per la forte emozione. Cosa
scatenava tanta passione? Il mondo occidentale conosceva già questa parola
grazie ad un altro libro, il “Libro”: “la Verità rende liberi” recita il Vangelo
di Giovanni, in cui la stessa venuta di Cristo è descritta, in chiave
metaforica, come l’avvento di Colui che sa e non verrà riconosciuto come tale,
che tradurrà questo sapere ai discepoli i quali, per tale motivo, saranno invisi
ai consimili … “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi” (Matteo 10:16).
Sempre a ribadire la scriminante della Conoscenza … “Non crediate che io sia
venuto a portare pace sulla terra … ma una spada. Sono venuto infatti a separare
il figlio dal padre …” (Matteo 10:34). La Chiesa, purtroppo, rinunciando a
seguire un altro dettame del Cristo, “dai a Cesare …”, e occupandosi
principalmente di potere temporale, ha nei secoli favorito l’ignoranza più che
la diffusione della Parola di Dio.
Una mia opinione? Certo, ma sta di fatto che occorre attendere l’ispirazione di
un poco più che ventenne per sentir pronunciata una parola che a noi moderni
pare così scontata, una parola che, magari non espressamente censurata, per 18
secoli è stata ritenuta quantomeno non gradita … ecco il motivo di tanta
passione. Quindi sia nell’ambito letterario – considerando la funzione oracolare
dell’arte - e ancor più nella formulazione giuridica, la libertà è concetto
giovane. Ciò la rende fragile, come una bolla di sapone che, se toccata, si
dissolve. La sua giusta calibrazione, poi, è davvero impresa ardua: nella stessa
area di cultura occidentale la libertà di pensiero assume diverse connotazioni.
Accade così che sia consentito sfottere religioni e religiosi ma di non poter
esternare convinzioni negazioniste (in Francia) o predicare ideali fascisti (in
Italia). E accade, soprattutto, che si avveri il seguente paradosso: il generale
consenso verso la difesa della libertà verrà utilizzato, in tema di sicurezza,
per approvare leggi speciali che la stessa libertà andranno a limitare. Sentir
sdoganare la locuzione “guerra al terrorismo” è, per le mie orecchie, operazione
propedeutica ad una restrizione di libertà, la predisposizione a regole
d’ingaggio per quella che qualcuno vuole si prospetti come scontro di civiltà.
Ma, ovviamente, sono io il primo a sperare di essere il guastafeste di turno.
Sappiate però che mentre state invocando il riconoscimento di tale valore, c’è
chi all’ombra trama per sfilarvi la libertà da sotto il naso, per giunta col
vostro consenso. E, soprattutto, come sempre è capitato con le guerre, può
accadere che quel sangue non venga utilizzato per fertilizzare il terreno su cui
far attecchire la pianta della libertà, ma come erbicida.