23/10/2014 ● Cultura
Leader plebiscitario, populismo e il Partito della Leopolda
Il professor Diamanti chiama il Partito democratico ‘Partito di Renzi’. Sulla
natura del Pd Eugenio Scalfari dice che ormai siamo in presenza di un partito
liquido, basato non sui militanti ma sul popolo e sono tre i partiti o movimenti
di questa natura: il Pd guidato da Renzi, Forza Italia guidata da Berlusconi e i
5 Stelle guidati da Grillo. “Tre partiti populisti”. <<In realtà – aggiunge il
fondatore di Repubblica – Renzi ha creato un nuovo partito il quale in sede
europea aderisce ai socialisti ma poi va molto d’accordo sia con Hollande che
certamente socialista è sia con Cameron che è un conservatore della più schietta
specie. Il partito Pd prende anche molti voti dalla destra berlusconiana o da
quegli astenuti che votarono l’ultima volta per Forza Italia e questa volta
hanno preferito Renzi. (…) Ripeto: è un piccolo capolavoro ma la natura del
partito è completamente cambiata>>. Di certo, su tale cambiamento ha contribuito
notevolmente l’attrazione popolare del leader plebiscitario e la martellante
retorica di Renzi contro i partiti, incluso il suo.
Seconda questione. Il Populismo sarebbe un’uscita dalla democrazia
costituzionale? Proviamo a dare una risposta partendo dall’incipit di un
articolo di Nadia Urbinati dal titolo “Il populismo come confine estremo della
democrazia rappresentativa”. << Il populismo è un concetto molto impreciso,
usato per descrivere situazioni politiche diverse tra loro e movimenti politici
che perseguono obiettivi diversi, per esempio forme di partecipazione spontanea
o partiti organizzati al fine di conquistare la maggioranza di un parlamento
democratico. Per alcuni esso mette a rischio le democrazie costituite, per altri
esso inaugura nuove possibilità per la democrazia. Siccome il populismo è
critico della democrazia costituzionale e rappresentativa, mettere in conto che
potrebbe operare in modo non legittimo è quanto meno doveroso. (…) Il populismo
è altra cosa della partecipazione democratica nelle forme e nelle procedure
stabilite da una costituzione: libere elezioni a suffragio universale con voto
segreto per eleggere rappresentanti, libertà di stampa, parole e associazione al
fine di partecipare alla costruzione di opzioni politiche, conta dei voti
secondo regola di maggioranza e quindi riconoscimento della minoranza
(opposizione) come essenziale al gioco democratico (che non è né unanimità né
consenso senza libera espressione del dissenso, di qualunque dissenso anche su
questioni che la maggioranza ritiene buone e giuste)… In conclusione, possiamo
dire che o il populismo non è altro che un movimento politico popolare,
sacrosanto movimento di protesta (Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli), per cui
non è chiaro perché chiamarlo populismo; oppure è più di un movimento (John
McCormick) e in effetti una estrema tensione della democrazia rappresentativa
verso una soluzione che rischia un’uscita dall’ordine costituzionale. Quando il
populismo diventa potere di governo si corre il rischio di un’uscita dalla
democrazia e dall’ordine costituzionale. Il populismo mette a rischio
l’uguaglianza formale che le regole costituzionali hanno il compito di
proteggere>> (Nadia Urbinati: Professor of Political Theory, Columbia University.
Una sua recente monografia, Democrazia sfigurata: il popolo fra opinione e
libertà, 2014).
Personalmente concordo con la tesi di Nadia Urbinati, secondo cui i populismi
contemporanei tendano a sostituire la mediazione politica tipica delle
democrazie rappresentative con l’unanimismo popolare, con capi-popolo al
seguito, un unanimismo che cerca nella rete le soluzioni ai problemi della
gente. Concordo altresì sul fatto che il populismo “sfigura” la democrazia in
quanto spinge verso ‘polarizzazioni esclusivistiche’, soluzioni leaderistiche e
plebiscitarie e, si noti bene, la negazione del dissenso.
Terza questione: Il Partito della Leopolda (PdL), ovvero la voglia di catturare
il consenso ovunque, senza limiti e confine (diventare il Partito della
nazione). Nelle intenzioni dei suoi sostenitori sembra caratterizzarsi in primo
luogo con una vocazione maggioritaria accogliendo tutti coloro che desiderano
aderirvi, con ‘pochissimi distinguo ideologici’. <<Probabilmente – scrive su
Repubblica Nadia Urbinati – è una strategia per sostituire la compartecipazione
al conflittualismo portando dentro il partito i protagonisti (i piccoli partiti)
di ipotetiche coalizioni. Ne guadagnerebbe la stabilità perché i piccoli non
avrebbero più il potere di veto sulla coalizione. Ma è illusorio pensare che
verrà superata la competizione inglobando i potenziali alleati. Poiché quella
lotta.. può travasarsi all’interno del partito (…). I gruppi inclusi avranno un
potere di attrattiva non meno piccolo, un po’ come le correnti nei vecchi
partiti. Sembra di capire che il nuovo Pd voglia essere a tutti gli effetti
simile a un partito americano. Ma le differenze non mancano… i due partiti
americani restano nemici, antagonisti, opposti su molte posizioni (…). Il
superamento ideologico predicato dal nuovo Pd sembra essere più radicalmente
anti-partigiano e per questo propenso ad andare in un’altra direzione: verso il
depotenziamento dell’antagonismo e con una forte propensione che potremmo dire
cattolica, nel senso di essere inclusiva al massimo e totalizzante, anche a
costo di diventare meticcia. E’ questo aspetto che fa temere che il Partito
della Leopolda coltivi il sogno di diventare il tutto, di non essere solo un
partito piglia-tutto>>. Una inclusione totalizzante, dunque. Ma, come dice
Gianni Cuperlo, <<se spezzi il legame tra bisogni e consenso rischi di fondare
il potere su una trasversalità senz’anima>>, con l’aggravante di non porre
attenzione al tema del secolo che torna con prepotenza, “quello di nuove
uguaglianze e libertà”. Insomma, concretezza sì ma non perdere la bussola.