16/8/2014 ● Cultura
Il Molise che non si arrende: consentire ai giovani di avere un futuro in Regione
Il Molise sta perdendo lavoro, popolazione, giovani, alunni e di conseguenza
la speranza ed il futuro. E’, pertanto, sempre più opportuno, approfondire
discussioni e formulare proposte che mettano al centro i suoi problemi
occupazionali. Stiamo assistendo ad un impoverimento progressivo non soltanto
del tessuto industriale e produttivo ma anche ad una frantumazione sociale che,
partendo da servizi pubblici sempre più poveri, mette a dura prova le
prospettive di ripresa della nostra regione. Occorre muoversi dalla drammaticità
dei numeri per analizzare le cause dei problemi e per proporre soluzioni
praticabili.
Purtroppo viviamo nel tempo in cui la politica regionale sta dando risposte
inadeguate sia come credibilità nei comportamenti, sia per le risposte che
prospetta nell’affrontare i gravi problemi esistenti. Gli esempi sono tanti:
sistema d’istruzione e di formazione senza prospettive, riforma sanitaria legata
a beghe di potere, pubblica amministrazione gestita per la conservazione delle
rendite di posizione, sistema agricolo lasciato alla estemporaneità degli
interventi, credito e commercio specchio della debolezza della programmazione
fatta, sistema viario e dei trasporti allo sbando, crisi dell’edilizia specchio
della progettualità pasticciata.
In questo contesto occorrerebbero scelte coraggiose con assunzioni di
responsabilità, programmi e proposte che partano dalle oggettive difficoltà, per
affrontare le situazioni di crisi. Invece si continua a navigare a vista con
posizioni che sembrano le classiche promesse del marinaio, sperando che prima o
poi la nottata passi. Purtroppo ciò non accadrà ed il rischio sarà quello di
avere, nel giro di qualche decennio, una regione di pensionati.
La recente intesa, denominata con qualche enfasi: Il Molise che non si arrende,
tra istituzioni e parti sociali per il lavoro e l’area di crisi nel Distretto
Bojano, Isernia, Venafro rischia di andare in quella direzione.
Si tratta di un’intesa che parla di crisi in quest’area attribuendola ai
problemi della ITTERRE, della GAM, e del meccanico nel venafrano con un accenno
alla crisi edilizia. La soluzione sarebbe nella richiesta dell’area di crisi per
avere 200 milioni di euro che garantirebbero prosperità ed occupazione. Come ciò
dovrà essere declinato, non è detto. Tuttavia i sottoscrittori dell’intesa si
impegnano a comunicare che ci sono questi problemi, che bisogna mobilitarsi per
sostenere il confronto con le istituzioni, elaborare studi, partecipare ad una
cabina di regia regionale, interessarsi anche delle altre aree della regione.
Verrebbe da dire: la montagna ha partorito il topolino! Di fronte ad una crisi
di eccezionale gravità che ha tagliato migliaia di posti di lavoro, che non
trova una soluzione praticabile, nonostante i diversi tavoli istituzionali, si
sottoscrive un’intesa con il dichiarato obiettivo di documentare e dibattere.
Ben poca cosa. Il richiamo alla richiesta di area di crisi è la delibera della
Giunta regionale del 29 aprile 2014, n. 163. Abbiamo letto tale delibera ma non
vi abbiamo trovato i riferimenti chiari voluti dal legislatore per stabilire
un’area di crisi, con la legge 134/2012. Infatti, il legislatore ha previsto:
1.Nel quadro della strategia europea per la crescita, al fine di sostenere la
competitività del sistema produttivo nazionale, l'attrazione di nuovi
investimenti nonché la salvaguardia dei livelli occupazionali nei casi di
situazioni di crisi industriali complesse con impatto significativo sulla
politica industriale nazionale, il Ministero dello sviluppo economico adotta
Progetti di riconversione e riqualificazione industriale. Sono situazioni di
crisi industriale complessa, quelle riconosciute dal Ministero dello sviluppo
economico anche a seguito di istanza della regione interessata, che, riguardano
specifici territori soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di
rilevanza nazionale derivante da: una crisi di una o più imprese di grande o
media dimensione con effetti sull'indotto; una grave crisi di uno specifico
settore industriale con elevata specializzazione nel territorio.
2. I Progetti promuovono, investimenti produttivi anche a carattere innovativo,
la riqualificazione delle aree interessate, la formazione del capitale umano, la
riconversione di aree industriali dismesse, il recupero ambientale e l'efficientamento
energetico dei siti e la realizzazione di infrastrutture strettamente funzionali
agli interventi.
3. Per assicurare l'efficacia e la tempestività dell'iniziativa, i Progetti di
riconversione e riqualificazione industriale sono adottati mediante appositi
accordi di programma che disciplinano gli interventi agevolativi, l'attività
integrata e coordinata di amministrazioni centrali, regioni, enti locali e dei
soggetti pubblici e privati, le modalità di esecuzione degli interventi e la
verifica dello stato di attuazione e del rispetto delle condizioni fissate.
Di tutto questo, però, c’è una flebile traccia nella delibera della Giunta
regionale del 29 aprile 2014. In essa si parla di agevolazioni per investimenti
innovativi, fondi rotativi per la concessione di prestiti, sistemi di
agevolazioni e bonus occupazionali, iniziative per rafforzare la
internazionalizzazione delle imprese, percorsi mirati di formazione ed
apprendistato. C’è, anche, allegato alla delibera, un lavoro di Sviluppo Molise
che fornisce i dati sulla crisi. Ben poca cosa se si vuol chiedere la
riconversione industriale di un’area così estesa e complessa com’è quella che va
da Bojano a Venafro. Non si possono chiedere genericamente finanziamenti,
occorre avere un piano industriale di riconversione del territorio che punti
sulle sue potenzialità e sulle sue vocazioni. Tutto ciò è assente. Com’è assente
il ruolo che dovrebbe avere il sistema produttivo agricolo fortemente coinvolto
nel processo di riconversione, ad esempio della GAM; com’è assente il sistema
formativo sia universitario che d’istruzione e di formazione professionale
(eppure la legge parla di formazione del capitale umano). Quale dovrebbe essere
il destino produttivo di quest’area non è dato sapere. Il tessile può ancora
essere un volano per la crescita di un’area interna, oppure occorre orientare
altrove la produzione? Il meccanico come si collega con il manifatturiero?
L’allevamento e la trasformazione dei suoi prodotti quale futuro ha in regione?
Il ruolo del sistema creditizio in questo contesto è stato completamente
lasciato da parte.
La crisi è grave ed è profonda. Non sono semplici slogan che possono dare un
contributo al suo superamento. Va rivista la politica attiva del lavoro che oggi
passa prevalentemente attraverso il finanziamento degli ammortizzatori sociali;
vanno create le condizioni socio strutturali per consentire alle attività
produttive di poter stabilizzarsi nel nostro territorio. Scelte sbagliate dal
punto di vista degli indicatori economici stanno lasciando, anche nel nostro
territorio, cattedrali nel deserto che faranno parte di quell’archeologia
industriale che avrà solo dilapidato risorse, lasciando problemi e debiti.
Non è la Regione Molise che può risolvere questi problemi complessi. Intanto,
non può essere proprietaria di imprese. Essa deve creare le condizioni
attrattive di capitale nel territorio, deve incentivare e sollecitare
investimenti, dotarsi di un sistema amministrativo agile e capace di dare
risposte immediate, deve dotarsi di un moderno sistema di formazione e
d’istruzione, un efficiente e razionale sistema sanitario, viario ed
infrastrutturale, facilitare l’accesso al credito e dare contributi a chi crea
prospettive lavorative di qualità. Insomma deve creare le condizioni perché i
privati possano investire.
Anche le parti sociali devono partire dal loro ruolo. Le imprese non possono
considerare il nostro territorio terra di conquista, nel quale lucrare rendite
di posizione senza impegnare risorse adeguate per l’innovazione e la crescita
produttiva ed occupazionale. Per il sindacato è finito il tempo della, pur
legittima, rivendicazione. Di fronte a tanta complessità deve ripensare al
proprio ruolo. Occorre che faccia proposte di merito, stia nei tavoli negoziali
con obiettivi che vadano verso il rilancio produttivo, partendo dalla
innovazione dei processi produttivi e dei prodotti finiti, dalla richiesta di
investimenti in istruzione, formazione e ricerca; dalla capacità di adeguarsi
alla complessità del mercato. Certificare le crisi aziendali con la
sottoscrizione di casse integrazioni, senza discutere e fare proposte per il
rilancio produttivo, risulta una operazione che, nel lungo periodo, non
consentirà di salvaguardare i livelli occupazionali o creare nuove opportunità
occupazionali.
Si tratta di una sfida che riguarda tutti. Regione, imprese e sindacati. Oltre
le facili promesse c’è il duro lavoro quotidiano per affrontare la realtà con un
impegno reciproco, senza aspettare soluzioni esterne salvifiche, Solo così ci
sarà la possibilità di affrontare, con un passo nuovo, la grave crisi
occupazionale regionale e dare delle prospettive concrete ai giovani.
Sergio Sorella
Direttivo regionale CGIL Molise