4/8/2014 ● Cultura
Ving mnenn camnet facenn
Farei senz'altro outing sbandierando la mia podofilia se non fosse che il
termine, oltre a presentare un'equivoca assonanza, pare non esistere. Non mi
resta granché da scegliere ... vada per peripatetico, fortunato di poter
utilizzare un sostantivo impraticabile al femminile. Preambolando, credo valga
bene chiarire che la passeggiata per me ideale è quella "in solitaria", per la
dialettica preferendo, come per il desinare, infilare le gambe sotto un tavolo.
Ricordo poi d'aver da sempre subito la fascinazione dei percorsi abituali,
progettati sulla base di influssi emotivi. "Luoghi della memoria" ... già,
simili ad album di ricordi che ad ogni passo sfoglio, dei tanti me stesso
"interpretati" nel corso degli anni. Le coordinate di tali itinerari sono
oggetto d'una complessa topografia, capace di indicazioni ben più raffinate del
consueto "siete qui", la mente consulta una mappa sensoriale che consente di
esplorare "luoghi del tempo". Lo spazio diventa itinerante esperienza per la
memoria, che si realizza su un piano non esclusivamente visivo, a volte essendo
i richiami sonori ed olfattivi ancor più evocativi - come ci ha rivelato Proust
con le sue celebri madeleines. Dunque quella passeggiata, grazie all'occasione
di carpire determinate immagini suoni odori, fornisce l'input per deambulare nel
tempo, di cavalcare l'illusorietà della quarta dimensione. Percorsi abituali -
abitudini=abiti mentali - eppure sempre diversi proprio perché abitati da
diversi me stesso che, tuttora idealmente esistenti, in quei posti continuano a
dimorare ... e così quella passeggiata diventa occasione per bussare alla loro
porta.
Quello abituale per eccellenza posso addirittura considerarlo un'estensione
della mia residenza, un'appendice che parte dalla soglia di casa, l'ideale
prosecuzione del già di per sé lungo corridoio ... magari, questo sì, un po' più
affollata. Ma nella passeggiata in solitaria il mio stato d'animo lo si trova
sintonizzato su frequenze non ordinarie, dunque le figure umane m'appaiono meri
complementi d'arredo, + o - evocanti quale un qualunque elemento della
scenografia, sostituibili con dei cartonati se non fosse per quelle
laconiche/canoniche interazioni verbali - dal fugace saluto al come va? di
prammatica - tormentoni da merlo indiano non perturbanti lo stato d'animo
regnante. Giammai incorressi in un "pippone": immerso in quella sorta di
catarsi, sorbirsi le vicende personali - dalle generiche lamentele al vanto per
l'acquisto di beni e servizi voluttuari passando da considerazioni
meteoropatiche - di chi parrebbe così volerti strappare dalla bocca un #esticazzi,
potrebbe sprigionare la sinora inesplorata mia misantropia. Quel particolare
stato d'animo reca in sé un dono, l'attitudine nel mettere a nudo qualunque
aspetto convenzionale ci capiti d'incrociare. In questo caso evidenzia
l'inflazione della parola, artefice un'umanità residente in una Torre di Babele
la cui l'incomunicabilità consegue alla debordante mole di locuzioni da noi
prodotta. Satura di tante sostanze, è tuttavia di inquinamento verbale che
soffre la nostra aria: in un anno produciamo una massa di parole superiore a
quella confezionata dai nostri avi in decine di secoli. Inquinamento verbale, di
suoni travestiti da parole di senso compiuto, costituenti una sfilza
ininterrotta di bla. Poteva Warhol immaginare che la sua intuizione sul quarto
d'ora di notorietà avesse fotografato la sola punta dell'iceberg? Affacciandomi
sui social network ricavo la sensazione di una maggioranza che interagisce con
la stessa spontaneità dei partecipanti ad un reality, il contegno è in perfetto
stile sonocometumivuoi. La linea gialla che delimita la confidenza è appunto la
manifestazione d'apprezzamento - mi piace, condividi, followami - una pacca
sulla spalla data da lontano. Anche quando percorriamo la strada dell'emotività,
scegliamo di farne inevitabilmente una rappresentazione, attraverso commenti
pubblici da opinionisti. Siamo abitanti di un network, tutti abbiamo un pubblico
a cui esibirci con le stesse banalità a cui la TV ci ha abituato ... e la
spontaneità è in via d'estinzione. Veni vidi vici è il proposito, vacuo vano
vago il risultato. D'altronde dal peccato di vanità chi riesce a sfuggire? Anzi,
m'accorgo di stare a mia volta perpetrando un abuso ... adbuntantia verba malo
est, dunque ...
... mi decido ad attraversare la soglia, finalmente: ecco via Iseo, una poco più
che mulattiera oggi diventata una bomboniera. La scalinata mi conduce, ancor
prima che a via Cap.Verri, a respirare aria di casa, letteralmente: sulla mia
sinistra scorgo il balcone della mia precedente "cameretta", e il giardino. In
una porzione, all'ombra dell'acacia (Robinia pseudo-acacia) - i cui fiori, da
noi ragazzi ribattezzati scerascell ghiang, ricordo mangiavamo, e il cui odore è
ancora per me manifesto della primavera - allo spazio oggi vuoto si sovrappone
l'immagine del ritrovo della banda, anzi il suo quartier generale, "u pajarill".
A quei tempi il modello pedagogico era profondamente diverso. Un'educazione che
si giudica oggi più rigida per la severità di alcune sue manifestazioni, eppure
il guinzaglio era tutt'altro che corto: a 5 anni il mio fratellone di 11 mi
portava con sé al seguito della banda che operava lungo l'intero quartiere ...
un intero pomeriggio on the road, in compagnia di tanti altri bambini/ragazzi
che affollavano i rispettivi quartieri, il cui simbolo di appartenenza era la
banda, S. Andunj, Prtanov, Petticecj, u Prtjll. Alla territorialità eravamo
spinti dalle fonti di cultura adolescenziale: film e telefilm USA, i fumetti, i
western, indiani e cowboy, dunque la difesa del territorio. C'era pure la realtà
virtuale, ma a km zero, sintesi della fervida immaginazione di ciascuno,
ingrediente principale dei nostri giochi. Il Libro Cuore e I ragazzi della via
Pal erano narrazione del nostro quotidiano, i nostri diari non scritti ma
semplicemente vissuti ... erano il romanzo di formazione che non occorreva
leggessimo. "U carruccj" come mezzo di locomozione, la fionda in tasca, archi di
maldestra realizzazione utilizzanti stecche di ombrelli quali frecce, u jok di 7
pret o di 7 dammj, le escursioni fuori quartiere per i sucamill, i jejjr, i
grambalupjn, oltre ad ogni tipo di frutta mangiata direttamente sull'albero ...
"Oh, capitano, mio capitano ... Verri".
La nostra realtà, quale contraltare all'immaginazione, era intessuta di tanta
azione. E l'azione, nel firmamento delle lezioni di vita, è la più fulgida
stella: il cd. nesso eziologico ... causa ed effetto, l'esordio nella lotteria
delle conseguenze di azioni proprie ed altrui, il diventare padroni del proprio
destino, cavalcare l'eccitante possibilità di migliorare il mondo. E uno dei
suoi distorti predicati è la violenza, strumento dei mediocri ... e occorre
subito capire in che modo intendi reagire alle prevaricazioni altrui, a quella
violenza che nel mondo adulto indosserà numerose maschere ... chi hai deciso di
essere, quello che abbozza o che tenta di farsi rispettare? Appartenevo ad un
mondo in cui se qualcuno ti malmenava, maestro o ragazzo che fosse, era affare
che dovevi affrontare e risolvere da solo ... così, anche noi ragazzi cattolici
celebravamo il nostro bar mitzvah. E si assiste alle vigliaccate, che si possono
fare o subire ... unirsi in tanti contro uno: questa pure una lezione di vita,
la dinamica di cui si nutre la democrazia, la possibilità che il pavido ha di
sentirsi qualcuno nascondendosi tra la folla.
Passando affianco alle "case dei mutilati" (assegnate ai reduci della Grande
Guerra, così mi è stato detto) giungo a via Marconi, dove c'era la drogheria di
Nzin Cipress, grande amico di mio padre nonché colui che m'insegnò a leggere
l'ora. All'epoca le attività commerciali erano denominate come da insegna solo a
livello formale, ma nel colloquiale si usava dire "vaj ndò Flumen ... o a Frttet"
anziché al Bar x. La sostanza umana di una comunità prendeva il sopravvento
sulle sovrastrutture organizzative, le creature erano di riferimento nella
quotidianità del vissuto, non le creazioni umane ... realtà e finzione erano
tenute ben distinte. All'epoca si procreava ancora molto e i nomi esotici e
bizzarri non erano ancora in voga ... Kevin, ma si può! Da Telefono Azzurro!
Tanti figli e qualche caso di omonimia induceva alla proliferazione di
diminutivi - da Antonio se ne tiravano fuori un mazzo - e soprannomi, ché
l'attenzione umanistica all'individuo si tramutava nell'attribuzione formale
d'una precisa identità. Il soprannome era il battesimo per il riconoscimento
nella comunità, come individuo che veniva identificato come tale, emancipandosi
così dalla famiglia. A volte indicava il mestiere, altre la semplice storpiatura
del nome, poteva riguardare un aneddoto, far riferimento a difetti fisici o a
virtù, vizi e atteggiamenti morali. In ogni caso, dapprima affibbiato da
qualcuno, trovava in seguito riconoscimento nella comitiva di amici,
estendendosi poi l'uso ai conoscenti. Parimenti al nome non eri tu a sceglierlo,
però serviva a qualificare anche colui che ne faceva ricorso, occorrendo avere
una certa confidenza per usare l'appellativo ... altro che amicizia su FB: come
abilmente sottolineato da Pretore, "em mai magnet nzimbr?".
Distratto dalle chiacchiere, m'accorgo d'essere giunto nel frattempo a
Fuoriporta (meglio di Lungomare, che i forestieri ci prendono per il culo ...
quel loro sciorinare stupidi luoghi comuni sul nostro dialetto, stalle e stelle,
neve e nave, è già di per sé abbastanza irritante), il sito elettivo in cui
prodigarsi nelle vasche, la nostra piscina olimpionica. Certo, il tratto finale
offre una finestra su un panorama da cartolina, uno scorcio la cui bellezza è
responsabile della pretenziosità dell'altro appellativo. Sta di fatto, però, che
la passeggiata sul corso principale è il classico misto tra ora d'aria e un
acquario, un meccanico via vai sotto lo sguardo di tutti. La Villa, invece, è il
sito perfetto per l'appassionato peripatetico ... un equilibrato mix di
componenti conferisce alla passeggiata possibilità altrove non realizzabili: un
certo grado d'intimità, l'andamento circolare, l'estetizzante connubio tra
bellezze naturali (verde e panorama) e artificiali (chiesa +
convento/biblioteca) predispongono l'animo dei passeggiatori nelle condizioni
ideali per interloquire.
Questa è per il guglionesano Castellara, la nostra Roma, il destino scritto in
ogni nostra strada. Tutte idealmente portano alla nostra Villa, ché ogni passo
speso su qualunque altra strada, viale compreso, è un accontentarsi: la stessa
camminata, fatta a Castellara, di certo avrebbe un miglior sapore. La stagione
delle ripetute passeggiate a Castellara è stata la mia miglior stagione. Se
nutrite dubbi al riguardo, chiedete delucidazioni al vostro amato cane quando lo
conducete al piscio, chiedetegli se non preferirebbe espletare lì. Certo, non è
sempre stato così ... mio nonno aveva altri punti di riferimento: C.so Conte di
Torino e la piazzetta con la fontana. Pure lui però, come me da ragazzo,
mangiava fiori.