30/7/2014 ● Cultura
Il cibo racconta la storia sociale del nostro paese
Ha molte sfaccettature la storia di una comunità , com’è e come meglio
potrebbe essere il nostro paese . E’ possibile ricostruirla attraverso i
personaggi nativi del luogo o non che ne hanno segnato nei secoli passati le
tappe cruciali della sua permanenza associata nel territorio . E’ possibile
raccontarla attraverso i mestieri ( i lavori) che ciascuno svolgeva all’interno
dell’abitato e, soprattutto, fuori : l’agricoltore, nei terreni i circostanti .
E’ possibile raccontarla attraverso il persistere o il mutare dei manufatti
delle case abitate dai guglionesani ( evito di proposito il termine architettura
, troppo moderno e poco appropriato per caratterizzare abitazioni che avevano
soprattutto la funzione di ricovero per le persone e gli animali domesticati a
loro associati e, in modo non secondario, perché le abitazioni del nostro centro
storico in massima parte non hanno un primo progetto edilizio , bensì le case
venivano “tirate su” grazie all’inventiva e alla praticità costruttiva delle
maestranze , ovvero al “mastro” muratore ; solo nei rifacimenti successivi le
abitazioni sono state “vestite” da un progetto che ha reso leggibile sulla carta
la “pianta”sulla quale si sono stratificate ,spesso,solo interrato e primo piano
) . E ‘ possibile raccontarla soprattutto attraverso il cibo ; un aspetto
primario del vivere , spesso surrettizio in alcune trattazioni, mai studiato a
livello locale ,ma che è auspicabile, anche per via dei mutamenti sociali che
storicamente ha comportato , che in futuro possa diventare un’ importante
direttrice di ricerca , di cui qui posso solo suggerire qualche spunto, spero di
qualche interesse e suggestione proprio in ragione della cultura materiale
quotidiana che tale ricerca mette in campo. L’idea di scrivere sul cibo l’ho
avuta per associazione con un evento paesano che, assente in passato , di anno
in anno sta rapidamente consolidandosi , pronto a diventar tradizione ; mi
riferisco al festeggiamento del “cinquantesimo delle classi d’età dei nati a
Guglionesi , che si avvicendano lasciandosi indietro coloro che l’hanno
festeggiato l’anno precedente: un evento individuale per il”
trecentosessantacinquesimo individuale” e allo stesso tempo collettivo se
intercalato, com’è in realtà, sulla cinquantesima classe d’età dalla nascita. La
festa dei cinquant’anni che sembra caratterizzarsi soprattutto per il pranzo
comune, organizzato a seguito di un’ informata e capillare azione di scavo
sociale nel passato del nostro paese alla ricerca anagrafica e spesso geografica
dei tanti coetanei che vivendo altrove , più favorevolmente hanno maggiori
possibilità di rivedersi in d’estate . Le nostre storie personali sono
accompagnate da eventi sociali che ci appartengono individualmente : nascite (
un tempo , quando si partoriva in casa il nuovo venuto al mondo si festeggiava
condividendo con il vicinato il grano cotto) , battesimi, cresime, matrimoni ,
consoli per il lutto , pranzi natalizi e pasquali , cene e cenette : tutte
occasioni conviviali diversificate per capacità di aggregazione sociale, ma
aventi come denominatore comune la condivisione del cibo : di fatto ,
rappresentano le pietre miliari del percorso sociale che ciascuno compie ,
l’entratura codificata all’interno del contesto sociale di appartenenza , e in
modo più ristretto nelle solenni riunioni familiari delle feste comandate il
rinsaldarsi dei legami tra chi c’è, e un tenero ricordo per chi per la
ricorrenza non c’è più . Occasioni di socialità speciali , favorite da occasioni
e festività che attraverso la condivisione di un cibo uguale per tutti,
riconfermano oltre alla scontata familiarità genetica appartenenze sociali via
via più allargate nelle comunioni , nelle cresime raggiungendo nella nostra
comunità guglionesana il massimo di condivisione del tempo di convivialità (
anche suggellato dal dono agli sposi )nei matrimoni che dopotutto rappresentano
dal punto di vista biologico l’augurale fertilità degli sposi che dà continuità
alla famiglia biologica , ma non secondariamente, anche alla società di
appartenenza . Condivisione del cibo che con occasionale casualità talvolta si
estende alla partecipazione popolare come accade nelle feste di piazza; un
pranzo sociale che svolge una duplice funzione , com’è ovvio : la fisiologica
indispensabile assunzione quotidiana del cibo unitamente alla condivisione di un
sociale allargato che si fa racconto, informazione e da il senso dell’essere e
dell’esserci nella comunità . Un rito rassicurante per la conservazione del
proprio benessere individuale , ma che sicuramente lo supera , fondando una
specie di tacito patto sociale non scritto , poiché è assai improbabile che
persone che hanno condiviso il cibo , fosse stato solo in una occasione, possano
in altri contesti ingiuriarsi , venire alla mani, peggio ancora , ferire a morte
una persona ; pare che il rito conviviale instauri una specie di tabù sociale
capace di mettere a freno , se non estinguere preventivamente l’aggressività
verso l’altro (sono da ritenersi storie di ordinaria follia le cronache di
tragedie familiari che proprio in ragione della loro efferata eccezionalità
spesso i media portano alla ribalta . Ma c’è anche un’altra ragione fondante per
cui la ricerca del cibo ( il guadagnarsi il pane quotidiano attraverso il lavoro
nell’accezione popolare corrente ) oltre che a costituire una necessità
biologica sussistente, per i gruppi fondatori delle comunità umane che per primi
hanno adottato un territorio , di fatto , direttamente o per interposte persone,
ha indotto la “costruzione “ delle istituzioni sociali ( Municipi,chiese,
ospedali, carceri…) e consentito l’organico strutturarsi dei gruppi sociali e il
conseguente radicarsi negli ambienti più disparati del “genius loci “ . Grosso
modo, volendo stabilire una direttrice della storia del cibo sul nostro
territorio è possibile, come facevo osservare , associarla in prima istanza a
quella delle istituzioni sociali e della correlata struttura urbana che ha
organizzato e radicato stabilmente gli abitanti nei luoghi di appartenenza ,
poiché importanti mutamenti nelle modalità di produzione ( e per induzione
preparazione ed elaborazione) del cibo , storicamente hanno indotto importanti
trasformazioni sociali , segnando il passaggio da regimi alimentari crudisti a
regimi alimentari basati sul consumo di graminacee, a regimi alimentari misti :
verdure e carne ( come dopotutto richiede la nostra dentatura onnivora) per
approdare infine a regimi ipercalorici ed ”ipertutto” che , almeno nei paesi
occidentali, ha portato oggi alle riconosciute e diffuse patologie da
sovralimentazione . Nella nostra comunità, quali che siano state le vicende
storiche “esatte” che si sono succedute nel territorio, schematizzando molto , è
possibile suddividere la storia del cibo in quattro periodi :
a) un primo periodo comune a tutti i gruppi umani in cui la ricerca del cibo e
di un ricovero naturale o costruito con i materiali del luogo , rappresentava la
loro attività prevalente : caccia e raccolta consentivano l’approvvigionamento
del cibo , che veniva socialmente suddiviso e condiviso nell’ assunzione
all’interno del gruppo,
b) un secondo periodo stanziale favorito dalla nascita dell’agricoltura che
diecimila anni fa in più luoghi geografici ha mutato le modalità di produzione
del cibo attraverso la coltivazione razionale di specie vegetali selezionate e
l’ allevamento: una vera e propria rivoluzione da cui ha avuto inizio il cammino
della civiltà,
c )un terzo lungo periodo che ha visto la graduale sparizione dei suoli
naturali, l’accaparramento e spartizione degli stessi, la loro artificiale messa
a coltura ; terre conquistate da re, tiranni imperatori … diventate ( sempre a
seguito dell’invenzione dell’istituto della proprietà) proprietà terriere, una
appropriazione che nel lungo periodo di dominio dei territori vede ancora una
volta il consolidarsi e l’ affinarsi delle tecniche di selezione delle specie
vegetali e animali che incrementando la produzione di cibo hanno visto
maltusianamente crescere le popolazioni umane organizzate sul territorio . Il
surplus di produzione agroalimentare vendibile, consolidando l’urbe, ha
consentito il centenario avvicendarsi generazionale delle genti sui rispettivi
territori,
d) la rivoluzione industriale,infine, spostando la produzione sugli oggetti
materiali”non organicati “ , ha lasciato alla produttività della terra uno
spazio economico marginale , anche se in parte , attraverso le filiere
dell’agroalimentare ne ha confezionato i prodotti . L’industria avendo bisogno
di braccia per il lavoro negli opifici le ha sottratte all’agricoltura
compensando il prelievo di mano d ‘opera con la sua meccanizzazione , mentre la
successiva” rivoluzione verde” che, ahimè, ha confinato nei paesi
industrializzati più avanzati la produzione primaria nella risibile quota
occupazionale 3-5%. E’ possibile asserire senza tema di essere smentiti che l’
economia primitiva si reggeva essenzialmente sul cibo e sul suo baratto con
manufatti derivanti da una semplice divisione del lavoro all’interno del gruppo
sociale di appartenenza che direttamente o attraverso lo scambio doveva
garantirsi l’accesso al cibo . Del resto ancora oggi noi discendenti della
stirpe usconica dopo un lungo periodo di vassallaggio dovuto all’alternarsi sul
nostro territorio delle varie signorie con il parallelo se non sovrapposto
potere ecclesiastico i cui poteri hanno orientato ( e condizionato) le scelte
politiche ed economiche del comprensorio da cui dipendeva l’organizzazione
sociale e la qualità della vita individuale e sociale degli abitanti . Ancora
oggi Guglionesi conservando il suo immenso territorio per conformazione vocato
all’agricoltura trova nella produzione primaria una importante, e talvolta
rassicurante, fonte di reddito , anche se la struttura dei consumi delle
famiglie riserva al cibo una quota di reddito che a livello nazionale è del 18 %
circa e , mentre nel nostro Molise è del 16 % ( dati 2007) . In mezzo a questa
diversificazione della spesa delle famiglie c’è tutto il gap che ci separa dalle
società primitive fino a quella post-moderna attuale che attribuisce all’incirca
l’82 % dei consumi ad altri comparti economici : casa, risparmio, trasporti,
cultura… Tra le percentuali della spesa disaggregata delle famiglie mi viene in
mente, per affinità in termini percentuali di consumi energetici , un altro
capitolo di spesa delle famiglie , quello dei trasporti e dell’energia, aspetto
che mi ha incuriosito poiché Il trasporto (auto etc.. .) che in Italia pesa
sulle famiglie all’incirca in quanto la spesa per il cibo ( la spesa per il
trasporto è solo una spesa un po’ diversificata rispetto a quella per il cibo ,
poiché si passa dalle sostanze energetiche che alimentano il corpo, soprattutto
carboidrati , agli idrocarburi, che guarda caso derivano proprio dalle sostanze
ex organiche nei tempi geologici trasformatesi in petrolio , raffinato nei suoi
derivati che alimentano l’autotrazione delle nostre auto ( solo horse -power che
invece di andare a rilento a quattro zampe vanno veloci a quattro ruote ) . Del
cibo del nostro trapassato remoto possiamo dir poco poiché episodiche e
scarsamente contestualizzate sono le frammentarie rappresentazioni litiche o più
avanti, citazioni di archivio, comunque legati ad ambienti familiari e sociali
non popolari e quindi statisticamente irrilevanti per definire una condizione
alimentare estensibile all’ intera popolazione . Possiamo dire di più del cibo
dell’altro ieri, ovvero dei bisnonni e dei nonni che raccontavano di mulini
sulle sponde del fiume Biferno in territorio guglionesano ; di sfarinati
derivanti da granaglie prodotte e molite in loco e quindi del pane e della pasta
fresca a chilometro zero disponibile per le famiglie; degli allevamenti a terra
di pollame, conigli… che sacrificati davano un buon apporto di carne ; degli
allevamenti familiari e non di animali di grossa taglia da cui ricavare carne
salata , insaccata, sott’olio disponibile per buona parte dell’anno ... Possiamo
dire, apprezzando,della “sagn” nella versione delicata in bianco , nella
versione più corposa rossa , di “sagntell chi fasciul”, di fasciul chi cotc”, da
“ciavdell”, du pancott, du pasch fghiut, di” Javl’ll ‘q l’ov” ,di” p’parul
arrust” ,du pan ca cpoll, du” pan cu lard “o ca” vntrasch “,du “pan cu stratt”…
du” montpulcian scur ch tagn i mandl”, che corposo e copioso essenziale come il
pane, accompagnava i pasti e, questa era ( e molto in parte ancora è) solo una
parte reminescente della nostra tradizione alimentare contadina .Il tempo
attuale ha invece mutato sostanzialmente l’alimentazione; per la gioia dei
bambini è arrivata sulla tavola la nutella a colazione , i formati della pasta
industriale, gli insaccati acquistati al negozio… e della nostra storia
alimentare sociale resta poco , solo il “succo” dell’antica tradizione
familiare,” sagn, maccarun cu ciapp, qzztill, pgn, scruppell e poc’altro , da
riscoprire durante le sagre paesane … Ma la storia del cibo della nostra
comunità , al di là di magnificazioni ad uso turistico si lascia dietro ( si
spera) anche malnutrizione, stature mediamente basse, e altre patologie da
sottoalimentazione che attraverso l’attuale famelica e bulimica tardiva
compensazione da sovralimentazione distribuisce nella popolazione pinguedine e
sovrabbondanza di grasso in quasi tutte le classi d’età ; purtroppo , un’ esatta
predisposizione per le patologie della nostra società dei consumi che qualora
non recuperiamo una saggia ed equilibrata alimentazione nostrana , verranno.
Arcangelo Pretore 29 luglio 2014