28/6/2014 ● Cultura
Il paesaggio rurale e la biodiversità per un modello di sviluppo qualitativo
Le considerazioni che seguono traggono spunto dalla notizia apparsa sul
quotidiano la Repubblica (27 Giugno 2014). A Baver, in provincia di Treviso, una
soprintendenza ha posto un vincolo su un bene immateriale: una tecnica
centenaria di coltivazione delle viti. Il vigneto non è impiantato su pali, ma
sfila aggrappato ad aceri e gelsi (è la “vite maritata”). <<I trattamenti
– sottolinea Francesco Erbani – sono a base di rame, calce e zolfo. Niente
prodotti chimici. Sono conservate le siepi e le fasce boscate. In mezzo alle
viti spuntano alberi da frutto. I vitigni sono diversi, non solo prosecco, ma
bianchi e rossi: recantina, turchetta, traminer, trebbiano, bianchetta, merlot,
tocai, verdicchio… >>.
<<Il vincolo l’ha proposto la soprintendente storico-artistica delle province di
Venezia, Belluno, Padova e Treviso, Marica Mercalli. Materialmente l’ha emesso
il direttore regionale dei Beni culturali del Veneto, Ugo Soragni. E’ un vincolo
etnoantropologico. I suoi riferimenti sono il Codice dei beni culturali e una
convenzione Unesco. Soragni spiega che questa tutela è più forte di quella
paesaggistica: “Se un futuro proprietario volesse abbandonare il terreno o
modificare le piantagioni, potrebbe intervenire la Guardia forestale e imporre
il ripristino”. Le viti ultracentenarie possono morire ed essere ripiantate, ma
sempre “maritate” agli aceri>>.
Come osserva Tiziano Tempesta, docente di Economia agraria all’Università di
Padova, <<con questo vincolo si tutela un paesaggio. Ma anche l’uomo che lavora,
la sua storia, che è tutt’uno con il paesaggio (…). Le tecniche adottate a Baver
guardano al futuro, perché preservano la biodiversità. Il segreto custodito dai
contadini di questo lembo del trevigiano era la varietà dei vitigni. Se un
vitigno veniva attaccato da una malattia, ce n’erano altri che avrebbero
compensato la perdita>>. <<E invece nel Veneto, come in altre regioni, si
privilegiano le monocolture… mentre fra le costanti del paesaggio italiano c’è
la coltura promiscua. Anche l’Ue va in questa direzione. Una delle idee portanti
della nuova Pac (la politica agricola comunitaria) è la tutela dei paesaggi
rurali storici unita alla salvaguardia della diversità>>. <<Purtroppo –aggiunge
Tiziano Tempesta – queste direttive vengono tradotte male dai Piani di sviluppo
rurale delle nostre regioni>>.
Volendo trarre delle conclusioni di buon senso, si può dire che per
l’agricoltura è oltretutto conveniente tutelare il paesaggio. Si tratta infatti
di un valore aggiunto che la concorrenza non può riprodurre. <<Un buon vino oggi
– scrive il professor Mauro Agnoletti su ‘rivistasitiunesco.it – si può fare
dappertutto mentre invece il paesaggio associato ad un buon vino rende il
prodotto unico e più competitivo, perché il consumatore oggi compra un prodotto
tipico associandolo alla qualità del luogo di produzione. Inoltre, il turismo
rurale è un’attività che genera introiti spesso superiori alla produzione
agricola (…). Molte aree agricole sono ormai diventate luoghi privilegiati di
residenza, con incrementi notevoli dei valori fondiari, non per aspetti
produttivi, ma per la qualità del paesaggio>>. Dunque, è bene indirizzare <<i
processi produttivi verso obiettivi di qualità paesaggistica che tengano insieme
economia, ambiente e società. Il paesaggio può essere un nuovo paradigma per un
diverso modello di sviluppo, uscendo dal dualismo fra produttivismo e naturalità
che caratterizza il nostro tempo>>.
Il paesaggio, particolarmente nel nostro Molise, chiede aiuto. E’ minacciato da
fenomeni di natura diversa. Personalmente auspico che non venga degradato il suo
mosaico, un tempo molto vario e ricco di biodiversità. Si tenga presente che il
presidio del territorio realizzato tramite le normali pratiche agricole permette
di prevenire il dissesto idrogeologico e conservare la biodiversità associata al
paesaggio, assicurando anche la qualità della vita delle popolazioni. In tale
scenario si dovrà dunque riservare una particolare attenzione alle aree rurali
delle zone interne che attendono una loro valorizzazione in termini di
‘patrimonio materiale’ ed ‘immateriale disponibile’ al fine di rigenerare le
spente energie di molte comunità.