29/3/2014 ● Cultura
Berl...
... inguer ... usconi: il passaggio dall'una all'altra desinenza è il simbolo
d'una sorta di caduta agli Inferi in fatto di cultura, politica ma non solo. A
trent'anni dalla sua morte, il docu-film di Veltroni celebra la figura del
leader del PCI, il cui essere "ultimo" è il ruolo che la storia politica dovrà
riconoscergli in un ambito che va ben al di là della sua specifica appartenenza.
Simbolo - oltre che d'un partito resosi poi protagonista di un paio d'escursioni
nella botanica prima di giungere all'attuale "PDL senza L", non disdegnando,
nella fase di transito, un tentativo di plagio d'un partito made in USA - di un
modo d'intendere e fare la politica che ... sigh! ... oggi non è più. Simbolo
anche di un passato che con gioia ci siamo messi alle spalle - blocchi
contrapposti, strategia della tensione, stragismo, brigatismo ecc. - eppero' di
una cultura politica che, col senno di poi, non possiamo che rimpiangere.
Ma, prima del (rim)pianto, vi invio un mms con un'immagine capace ancor più
delle parole di palesare il perché di tanta disperazione: Berlinguer ospite a
Porta a Porta assieme ai vari Calderoli, Gasparri ecc. (in procinto di scrivere
colleghi, la tastiera mi ha lanciato un'occhiataccia). La disarmante facilità
nello stabilire "chi è l'intruso?" dovrebbe riguardare anche le nuove
generazioni che, per speculare motivo, occorrerebbe conoscessero le autentiche
circostanze in cui avvenne l'assassinio di Moro. Entrambi fautori, dalle
contrapposte sponde, del "compromesso storico" che mai venne alla luce. Entrambi
impegnati a far digerire la cosa ai partiti d'appartenenza. Ed entrambi in
possesso di quella lungimiranza ch'è prerogativa dei grandi statisti, quel saper
cogliere in anticipo le tendenze, i semi di un radicale cambiamento. Ma
anticipare la caduta del Muro di ben 11 anni è costata la vita a Moro e, al PCI,
la preclusione del visto per il Governo (proprio il giorno del sequestro Moro si
sarebbe dovuto "celebrare" lo storico avvenimento: trascorsi trent'anni di
repubblica, finalmente questa avrebbe partorito i primi ministri comunisti).
Per un'analisi critica di quest'aborto - e quale passe-partout per ogni altro
"mistero" italiano che tale resta solo sul piano d'una formale ingenuità, non
avente tuttavia di genuino che quel fammifareicazzimiei pilastro dell'etica
nostrana - cito per l'ennesima volta PPP: "Io so. Ma non ho le prove. Non ho
nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale che cerca di seguire tutto
ciò che succede, di conoscere tutto ciò che non si sa o che si tace, che
coordina anche fatti lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e
frammentari di un intero e coerente quadro politico, che ristabilisce la logica
là dove sembrano regnare la follia e il mistero". Pasolini spiega, qui per
esteso, un concetto che il sostantivo già contiene in sé: dal latino,
intellettuale è parola composta che indica colui che sa leggere dentro
(intelligente), poiché in possesso degli strumenti culturali idonei ad
interpretare il significato intimo di fatti e avvenimenti.
C'è stato un tempo in cui alla politica gli intellettuali italiani collaboravano
attivamente. Un tempo in cui questa figura era organica al partito. Ed era un
vanto della sinistra che l'intellighenzia del Paese fornisse un contributo
significativo nell'edificare una valida proposta politica, un software in grado
di dare operatività alla complessa macchina statale. L'élite culturale, col suo
supporto, ha incarnato per lungo tempo il ruolo di argomento più valido della
propaganda: il sottoscritto è stato uno dei tanti giovani sedotto dalle
argomentazioni degli intellettuali che a loro volta avevano subito la fascinazione di
un'ideologia che, al pari del Cristianesimo, prometteva un paradiso ... ma
quand'ancora si è in vita. Tra i miei idoli nostrani, appunto PPP, Calvino,
Volonte' ... tutti licenziati o dimissionari. Ma la sinistra, ad un certo punto,
non è più riuscita a sfruttare questo magnifico traino, intraprendendo un
percorso solipsistico che ha condotto a risultati posti in evidenza dai
Girotondini ad inizio millennio: una classe dirigente senza alcun talento, la
cui sola militanza non può attestare. Quella parte della "base", nel ruolo di
pungoloperfaremeglio, ha finito inevitabilmente per denunciare la nudità del re,
facendo emergere le rispettive incompatibilità. Finale di questo mio Bignami: la
parte più esigente dell'elettorato oggi non si sente rappresentata, la dirigenza
subisce continue crisi di panico per il sentirsi sempre sotto esame. Da anni si
assiste a questo circolo vizioso, che produce senso di inadeguatezza nei
politici e un'eco immediata nell'elettorato ... una cappa di impotenza che
opprime la metà mancina del Paese: in tale quadro la scelta di uno che di
sinistra lo è ancor meno di Veltroni può risultare geniale (?).
Chiusa parentesi, la grandezza dei due statisti consisteva appunto nell'essere,
ciascuno a modo proprio, degli intellettuali, nell'essere in possesso di una
visione politica e programmatica valida nel lungo periodo. Una politica che
voglia farsi interprete di grandi ambizioni per il proprio Paese ha bisogno di
questa razza di uomini, soprattutto quando ci si trova, come oggi, invischiati
in un pantano. Di uomini come i costituenti, capaci di redigere un vademecum per
le società a venire. Oggi non si parla di futuro non perché c'è la crisi -
melius: non solo - ma è principalmente l'assenza di uomini capaci, dotati, a
causare l'evanescenza di precisi orizzonti dalla nostra visuale. In seguito alla
più grande crisi economica mai conosciuta, quella del '29, in America emerge la
figura di un grande statista che, con scelte in controtendenza - in un'economia
fedele alle logiche del più sfrenato liberismo, del cd "laissez faire" - riesce
a risollevare le sorti economiche del Paese mediante l'intervento attivo dello
Stato. Per questo F.D.Roosevelt, al quale va riconosciuto anche il merito di
aver posto fine all'ultima traccia di imperialismo, ricevette accuse di
filocomunismo ... se ne fregò.
Un grande uomo politico è infatti colui che, per il bene della sua nazione, a
volte sceglie di percorrere vie impervie, come ad esempio entrare in
contraddizione con la propria ideologia, e di intraprendere politiche i cui
frutti non si raccoglieranno nell'immediato, dunque non saranno (s)fruttabili
elettoralmente. Berlinguer ha regalato, ad un italiano su tre, la possibilità di
potersi sentire fieramente comunista, con orgoglio nient'affatto sminuito dagli
avvenimenti dell'Europa dell'Est. La disinvoltura con cui tutti i suoi
successori - più o meno indegni - hanno cavalcato le successive trasformazioni
della sinistra, è figlia del suo coraggio politico: paradossalmente ha armato il
braccio di coloro che la sua creatura annienteranno. Le trasformazioni di
costoro, al contrario, non hanno salvaguardato quella fierezza or ora citata, ma
sono state la cura palliativa all'onta di sentirsi chiamare comunista.
Già, perché oggi questa bella parola, che rimanda ad un esplicito invito a
mettere in comune, viene venduta come un insulto, sacrificata sull'altare del
politically correct. Principale fautore di questo ipocrita e modaiolo "volemose
bene" che tutto omologa è stato - ché, pare, forse ce lo siamo tolti dalle palle
- proprio Veltroni. Lui, che da figiciotto diventa famoso per una posa che lo
ritrae con PPP nel corso dei famigerati scontri di Valle Giulia (il quale
commenterà i fatti con quella geniale e profetica invettiva volta ad individuare
i veri proletari nello scontro, ovvero le forze dell'ordine che fronteggiavano
quella massa di figli di papà da cui uscì buona parte della classe dirigente del
futuro, figli che contestavano quello status di borghese dei padri poi sfruttata
per far carriera), proprio lui, che da quella lezione non ha evidentemente
tratto alcun futuro auspicio, fa un film su Berlinguer? Sul simbolo su cui ha
pisciato addosso? Caro Uolter, con affetto te lo dico, c'hai le pigne nel
cervello! Sull'altro Berl lo dovevi fare! L'altro, sì, quello che hai trattato
con i guanti! A parziale giustificazione, appunto l'assonanza dei cognomi: è un
attimo! ... confondi la desinenza, et voila'! ... pisci addosso alla persona
sbagliata.
P.S.: Cambiare idea, ovvio, è più che legittimo. Arrivo a comprendere anche chi,
come il geniale Curzio Malaparte, ha reso il salto della quaglia una disciplina
sportiva. Ma mi rendono diffidente, in politica, quei vantaggi che sovente la
nuova idea reca con sé. Per esempio, passare da Lotta Continua alla DC è un
salto da record, ma il fatto in sé non suscita la mia diffidenza. Non è tanto il
salto, quanto la morbidezza dell'atterraggio a farmi diffidare ... è il non aver
mai avuto contezza di esempi di salti in direzione contraria che mi rende
sospettoso.
Poco più che adolescente quando Berlinguer ci ha salutati, con quella fine
celebratasi nel rito ch'è il sogno inconfessato dei grandi attori di teatro, ho
in questi giorni atteso invano che qualcun altro, più contemporaneo a lui,
fornisse più preziosi indizi dell'uomo in quanto simbolo. Badate, non è il
piglio polemico ad esternare, bensì la mia fame di lettore, i cui morsi avrebbe
placato assimilando qualche genuino pensiero espresso da qualcuno che dal
vivente avesse tratto diretto giovamento, che magari avesse vissuto i fasti del
PCI del '76, quello dello storico 34%. Per me, e altri potenziali fruitori del
blog, un'occasione sino ad ora mancata, che sarei felice se qualcuno cogliesse.