7/3/2014 ● Solitudini d'autore
Le Quarant’Ore
“Dio cerca adoratori in spirito e verità”. Le Sante Quarant’Ore sono un tempo
di grazia. L’esposizione del Santissimo Sacramento, detta Esposizione delle
Quarant’ore, ebbe questo nome in memoria del tempo che Gesù stette nel santo
sepolcro. Nella liturgia cattolica le Quarantore, o Quarant'ore, sono la
rievocazione del periodo che intercorre tra la morte di Gesù (venerdì
pomeriggio) e la sua risurrezione (domenica mattina). Stando alla sinossi
evangelica, in realtà il sabato Santo sarebbe durato 40 ore, dalle 3 del
pomeriggio di venerdì Santo all'alba di Pasqua, le 7 del mattino della domenica
di risurrezione (o risuscitamento). Nella Bibbia, il numero 40 ricorre quasi un
mezzo centinaio di volte, spesso come simbolo per indicare un periodo
cronologico di prova e isolamento.
Una volta, l’esposizione del Santissimo Sacramento era in grado di rivoluzionare
le nostre città e contrade perché l’intenzione era quella di condurre i
peccatori alla conversione. Come si legge nel Messale Romano (1983) “a partire
da questa esigenza invalse l’uso di deporre l’ostia consacrata nascosta in un
apposito altare sotto forma di sepolcro”. L’origine di questa devozione che
porta il titolo di Oratio quadraginta horarum, è incerta. La prima testimonianza
di tale pratica la troviamo tra i Battuti di Zara presso la chiesa di S.
Silvestro, già prima del 1214, dove sorse pure la confraternita In Coena Domini
delle Quarant’Ore.
L’uso di esporre il SS. Sacramento all’adorazione dei fedeli per quaranta ore
continue al fine di propiziarsi l’intervento del Signore, specie in tempi di
calamità e guerre, avvenne per la prima volta nel 1527 presso la chiesa del S.
Sepolcro a Milano. Fu per iniziativa dell’agostiniano Antonio Bellotti di
Ravenna (†1528), che istituì anche la scuola del Santo Sepolcro legata a tale
scopo, avviando l’uso di ripetere le Quarant’Ore anche fuori la Settimana Santa.
Il papa Paolo III, mediante la richiesta del vicario generale di Milano fatta a
nome del governatore e del popolo milanese, approvò questa pratica con breve
apostolico del 28 agosto 1537. I Cappuccini, a cui si unirono anche i Minoriti,
furono ferventi propagatori dell’uso delle Quarant’Ore; altrettanto zelo fu
espresso anche dai Gesuiti i quali diffusero quest’uso in tutta Europa e in
Italia.
Urbano VIII con l’enciclica Aeternus rerum Conditor del 6 agosto del 1623,
prescrisse a tutte le chiese del mondo la celebrazione delle Quarant’Ore. Nei
secoli successivi vari papi si sono occupati di esse con molti documenti come l’Instructio
di Paolo V nel 1606 e di Innocenzo XI nel 1681. “Per quanto riguarda la prassi,
dall’indagine storica si rilevano due forme: un turno annuale ininterrotto
d’adorazione di chiesa in chiesa, che si è affermata e mantenuta solo nelle
grandi città; la forma sporadica, legata solo ad alcuni momenti dell’anno, fatta
spesso senza l’adorazione notturna, che è quella più diffusa e in uso ancora
oggi in molte comunità parrocchiali”.
Nei secoli XVII e XVIII questa seconda forma fu introdotta nei tre giorni
precedenti il mercoledì delle Ceneri come funzione riparatrice da opporre alle
intemperanze del carnevale, sostenuta e diffusa dai Gesuiti. Tale iniziativa fu
intrapresa, per la prima volta, a Macerata nelle Marche nel 1556. A causa di una
commedia giudicata sconveniente, che si voleva mettere in scena nel carnevale di
quella città, due missionari gesuiti pensarono bene di opporvi l’esposizione del
SS. Sacramento secondo la forma del Quarant’Ore, dandogli il carattere di
espiazione e di penitenza. Questa iniziativa ebbe la meglio sulla commedia, e da
allora tale uso rituale si diffuse.
Altro momento dell’anno dedicato alla celebrazione delle Quarant’Ore è l’inizio
della Settimana Santa, legato tradizionalmente al precetto pasquale annuale, la
cui collocazione temporale si ispira alla forma tradizionale più antica,
sostenuta e diffusa dai Cappuccini. La prima memoria storica di un’adorazione,
espressamente dedicata in questo senso, risale al tempo di Alessandro III
(1159–1181) e viene raccontata da un cronista di Zara. Il Pontefice, recatosi a
Venezia nella Quaresima dell’anno 1177 ad un convegno con l’imperatore
Barbarossa, ricevette la visita dell’Arcivescovo di quella città, accompagnato
da alcuni fedeli i quali gli chiesero di voler arricchire di indulgenze il
devoto esercizio che essi intendevano compiere pregando per quaranta ore davanti
al SS.
Il Pontefice acconsentì alla richiesta permettendo che in tale circostanza il
SS.mo Sacramento venisse esposto alla vista del popolo contro la consuetudine
universale mantenuta fino ad allora, per la quale la sacra Ostia, anche nelle
adorazioni solenni, non veniva mai esposta alla vista dei fedeli: consuetudine
di cui rimane la testimonianza nella esposizione solenne del Giovedì Santo,
comunemente chiamata “Il Sepolcro”. Le Quarant’Ore nel senso attuale risalgono,
quindi, al secolo XVI. La pratica viene approvata con un Breve pontificio solo
nel 1537, periodo in cui incombeva la minaccia turca e la diffusione dell’eresia
protestante. Introdotta a Milano da G.B. Bellotti (1572), ebbe il primo
ordinamento da S. Carlo Borromeo (1576). Ma a Roma, già nel 1550, San Filippo
Neri organizza un’esposizione delle Quarant’Ore la prima domenica di ogni mese
nella chiesa di San Salvatore in Campo e in alcune Confraternite quali, Santa
Caterina da Siena, Orazione e Morte, Trinità dei Pellegrini e Pietà dei
Carcerati.
Diverse erano le forme di rappresentare l’esposizione, mentre a Roma i
Cappuccini usavano celebrarla nel corso della Settimana Santa e nel periodo
dell’Avvento, attraverso una scenografia povera costituita da croci e corone di
spine che richiamavano la Passione di Gesù, i Gesuiti organizzavano l’evento
nelle grandi occasioni quali i Giubilei, l’elezione del Papa e soprattutto negli
ultimi giorni del carnevale in cui esibivano sfarzose “macchine”. Clemente VIII
(1592) con la Bolla Graves et diuturnae istituì canonicamente il “turno
incessante” delle Quarant’Ore, cioè una preghiera continua, recitata a rotazione
nel corso di tutto l’anno. Pratica adottata in seguito nelle principali città e
diocesi di tutto il mondo.
Il fine del Pontefice, come quello del primo istitutore, era quello di rendere
propizia la Misericordia divina a tutti i fedeli e tener lontani dai cristiani
ogni sorta di male, con il trionfo della Chiesa e la conversione dei peccatori.
La pratica assunse la forma definitiva con Clemente XII (1731) attraverso l’Instructio
Clementina. L’esposizione solenne dell’Ostia consacrata all’adorazione dei
fedeli, quale atto di devozione al SS. Sacramento, si svolgeva per un periodo di
quaranta ore distribuite in diversi momenti dell’arco di tre giorni. Il
significato della cerimonia si richiama al biblico numero quaranta ed è
occasione di preghiera e di intercessione per pubbliche necessità.
La simbologia del numero quaranta, nella tradizione delle Sacre Scritture,
rappresenta un periodo di purificazione ed espiazione per condurre i fedeli al
traguardo della salvezza. Quaranta è il numero della tribolazione e della prova,
della penitenza e del digiuno, della preghiera e della punizione; quaranta
giorni e quaranta notti durò il Diluvio Universale e Mosè sostò quaranta giorni
sul Monte Sinai in attesa ricevere la Legge (Esodo 24,38); il cammino nel
deserto del profeta Elia (1 Re 19,8) e il periodo della penitenza nella città di
Ninive (Gio, 3) durarono quaranta giorni; il viaggio nel deserto degli Ebrei
durò quaranta anni; il periodo del digiuno di Nostro Signore Gesù, dopo il
Battesimo, durò quaranta giorni ed in seguito anche la Quaresima (tempo di
Passione) della Chiesa; l’apparizione di Cristo ai suoi discepoli avvenne
quaranta giorni dopo la Resurrezione; il corpo di Nostro Signore rimase nel
Sepolcro per quaranta ore.
“Tra le manifestazioni del culto eucaristico – scrive E. Picucci su
L’Osservatore Romano – restano ancora attuali le Quarantore, una volta così
diffuse e così solenni da costituire un tempo di rinnovamento spirituale e
sociale, di preghiera e di penitenza, di comunione tra il clero e il popolo, tra
ricchi e poveri, tra superiori e sudditi. La storia dice che, durante i giorni
della solenne esposizione, le città cambiavano fisionomia: i negozi chiudevano;
i lavori dei campi erano sospesi; le barriere sociali cadevano e la fede
rifioriva nel cuore della gente che imparava a pregare e a meditare.
L’adorazione coinvolgeva tutte le categorie di persone che, giorno e notte, si
avvicendavano in preghiera, spesso in modo inventivo e spontaneo, per quarantore
davanti a Gesù Eucaristia”. Per tre giorni si stabiliva quasi una “tregua
divina” affinché i violenti diventassero mansueti, i ladri restituissero il
maltolto, i falsari diventassero onesti, i nemici si riconciliassero, la
gioventù si innamorasse di Dio e i sacerdoti non si allontanassero dall’altare e
dai confessionali.
“E questo perché le Quarantore pian piano acquistarono lo stile, l’importanza e
l’efficacia di una vera missione popolare, affidata a predicatori che le
ritenevano un ottimo mezzo per preparare la predicazione più impegnativa, quella
quaresimale, immancabile in tutte le chiese”. Un tempo di grazia che rinnovò la
vita cristiana prima delle grandi rivoluzioni politiche, industriali e sociali
con gli inevitabili cambiamenti. “Le città divennero più grandi e meno
accoglienti; più industriali e meno religiose; più ricche materialmente e più
povere di rapporti umani e di amicizia cristiana; più intellettuali, ma
religiosamente meno preparate.
La ragione, sublimata oltre misura, cominciò a dubitare della fede e a
criticarla, tanto che si affievolì, facendo calare molte pratiche religiose,
comprese le Quarantore, che incisero sempre meno nella vita individuale e
sociale. Resta comunque il fatto che, per oltre due secoli, questa devozione è
stata al centro del culto eucaristico e un argine potente ed eccezionale per
fronteggiare tempi di calamità, di divisioni e di lotte”. A chi si deve questo
movimento così benefico? “Gli storici dicono che le radici dell’adorazione
affondano nella consuetudine cristiana del digiuno e dell’astinenza praticati
negli ultimi giorni della Settimana Santa, con l’adorazione della Croce e poi
del Crocifisso da parte del Vescovo, del clero e dei fedeli: pratiche a cui si
aggiunsero pian piano veglie di preghiera che iniziavano la sera del Giovedì
Santo e si concludevano a mezzogiorno del sabato, nel triste pensiero del
Sepolcro in cui Gesù, secondo il computo fatto da S. Agostino, rimase
Quarantore.
Il passaggio da questa forma liturgico-devozionale locale e particolare alla
nota e classica forma dell’adorazione che lentamente assunse un carattere più
popolare e universale con l’ininterrotta esposizione per Quarantore del
Sacramento, avvenne a Milano nel decennio 1527-1537. Il cambiamento fu possibile
innanzitutto per la religiosa disponibilità dei milanesi e poi per lo zelo di
uomini che portarono contributi che si fusero e si arricchirono a vicenda, fino
ad assumere la fisionomia che, salvo alcune particolarità, dura fino ad oggi.
Il protagonista delle Quarantore fu il sacerdote ravennate Antonio Bellotti che
nel 1527 (l’anno del disastroso Sacco di Roma) obbligò i devoti della scuola da
lui fondata nella chiesa del Santo Sepolcro, a celebrare ogni anno le Quarantore
non solo durante il triduo della Settimana Santa, ma anche a Pentecoste,
all’Assunta e a Natale”. Iniziativa che si estese anche ad altre chiese milanesi
dopo la sua morte (1528) e che il frate domenicano spagnolo Tommaso Nieto
associò alle processioni che egli indisse nel 1529 per scongiurare la guerra e
la peste che minacciavano la città.
“A questo punto entra in scena Fra Buono da Cremona, un eremita amico dei
barnabiti e soprattutto di S. Antonio Maria Zaccaria, loro fondatore. Nel 1534
egli chiese al duca di Milano Francesco II Sforza e al Vicario Generale Ghillino
Ghillini, Vescovo di Comacchio, l’autorizzazione a poter esporre il Santissimo
sopra l’altare per un’adorazione di quaranta ore ininterrotte. Pare, comunque,
che la sua attività si confonda e confluisca nelle iniziative dell’amico S.
Antonio Maria Zaccaria, dei suoi barnabiti e del cappuccino p. Giuseppe
Piantanida da Ferno. Una cronaca del tempo racconta che nel 1537 alcuni homeni –
i primi barnabiti e il loro fondatore – proposero di allestire un altare
nell’abside del Duomo per esporvi «el Corpus Domini de continuo», idea
caldeggiata dal predicatore quaresimalista e vivamente raccomandata al popolo”.
La proposta fu accolta e le Quarantore si fecero a turno in tutte le chiese
della città, cominciando da quella di Porta Orientale e terminando con quella di
Porta Vercellina. “È certo che gli homeni di cui parla il cronista sono i
barnabiti; certo anche, grazie a un’accurata indagine del gesuita Angelo De
Santi, che il predicatore fosse davvero p. Giuseppe, per cui sembra giusto
affermare con p. De Santi che «le circostanze storiche sembrano affratellare il
santo fondatore dei barnabiti, i suoi religiosi compagni, l’eremita fra Buono e
p. Giuseppe da Ferno…Tutti ebbero una parte veramente precipua nell’introduzione
del turno incessante delle Quarantore a Milano nel 1537: lo Zaccaria come primo
ispiratore; i suoi religiosi e fra Buono come esecutori attivi della rotazione
delle chiese per il pio esercizio; p. Giuseppe come instancabile propagatore».
Accertato questo, c’è da ammettere che le Quarantore sarebbero rimaste nei
piccoli orizzonti cittadini se zelanti confratelli di p. Giuseppe non ne
avessero fatto un evento prima italiano e poi europeo, divulgandole nelle loro
predicazioni quaresimali, come riconosce lo stesso p. De Santi. «A p. Giuseppe
da Ferno – egli scrisse – va data la gloria incontrastata di essere stato il
primo a spargere per le città d’Italia la pia devozione, cominciando quell’anno
stesso a Pavia; ed ai suoi compagni e discepoli e a tutto l’ordine dei
Cappuccini deve riconoscersi il vanto d’esser stati, dopo di lui, i più
ferventi, i più efficaci e i più fortunati promotori delle Quarantore».
A loro, nella seconda metà del sec. XVI, si unirono i Gesuiti, cioè un altro
istituto che si dedicava alla predicazione: i Barnabiti, votati all’educazione
della gioventù, non potevano impegnarsi come un Ordine che faceva della
predicazione itinerante un aspetto qualificante dei suo stile di vita”. Le prime
regioni in cui si organizzarono le Quarantore furono l’Emilia (1546 a Bologna),
le Marche (1542 a Recanati) e il Lazio (1548 a Roma). “Tra i diffusori si
distinsero p. Francesco da Soriano nel Cimino (VT) che migliorò l’organizzazione
e il cerimoniale e le diffuse in mezza Italia, rappacificando la gente, divisa
da lotte fratricide; P Fulvio Androsio; p. Giovanni Battista d’Este († 1644) e
p. Mattia Bellintani da Salò († 1611) che le introdusse in Francia e in Boemia,
mentre p. Giuseppe de Rocabertí da Barcellona († 1584) le introdusse in Spagna.
Altri religiosi le diffusero in Germania e nei Paesi Bassi, dove la gente le
chiamava le «perdonanze dei Cappuccini»; poi in Svizzera, in modo che in poco
più di un secolo si coprì tutta l’Europa, per passare l’oceano nella metà del
sec. XIX, allorché il Vescovo Newman le introdusse nella diocesi di
Philadelphia. Alla metà del ‘500 si inserirono nella predicazione delle
Quarantore i Gesuiti con una novità che fece epoca. “Nel 1556 a Macerata essi
contrapposero al carnevale profano un «carnevale santificato» con le Quarantore
che si svolsero in modo fastoso, attirando molta gente. Fu l’inizio di una nuova
impostazione che a Roma affascinò anche il Papa, immancabile nellìoratorio del
Caravita l’ultimo giorno del triduo.
Si trattava di Paolo III, colui che rilasciò il primo documento pontificio di
cui si è parlato. Successive approvazioni vennero da Giulio III; Pio IV; San Pio
V e Clemente VIII il quale, angustiato per le guerre di religione in Francia,
con una sofferta Enciclica Graves et diuturnae del 25 dicembre 1592, esortò il
popolo romano e il clero alla preghiera e volle che si celebrasse pubblicamente
in tutte le chiese della città «l’orazione perpetua sine intermissione» delle
Quarantore.
Altre approvazioni e direttive vennero da Paolo V, da Urbano VIII, da Benedetto
XIII, da Innocenzo XI e da altri Pontefici: si tratta di un coro di
approvazioni, di incoraggiamenti e di concessioni di indulgenze per una pratica
in cui la meditazione si alternava con la preghiera vocale, alimentando una
religiosità che rivitalizzò le confraternite, ne fece sorgere di nuove,
impegnate nell’insegnamento del catechismo, nella diffusione del culto
eucaristico, nel promuovere rappacificazioni generali che in genere avvenivano
in chiesa, «tra il pianto e la commozione di tutti»”. Si deve alle Quarantore la
nascita di alcune manifestazioni di fede e di arte che segnarono la storia
dell’umanità.
“Da loro nacquero, infatti, processioni significative; forme di penitenza
praticate per secoli; un’arte religiosa – il barocco – che iniziò a Roma con
Sisto V verso la fine del ‘500 e che divenne subito popolare perché interpretò
ed espresse una nuova sensibilità: esaltare il Cristo Eucaristico presente come
Re nella Chiesa. Esse favorirono anche una produzione letteraria religiosa che
ebbe nei Gesuiti la massima espressione, perché essi volevano che i testi
esprimessero una drammaticità e un movimento simili a quello che utilizzarono
nell’architettura delle loro chiese”. Oggi le Quarantore vengono collegate alla
Parola di Dio e alla Santa Messa, cioè stanno tornando a quell’esigenza di
interiorità, di spiritualità, di adorazione e di semplicità che sta all’origine
della stessa devozione.
“Il Vaticano II nell’Eucharisticum mysterium dettò alcune norme per questa
devozione, soprattutto nel senso che l’esposizione deve apparire in rapporto con
la Celebrazione Eucaristica che «racchiude in modo più perfetto quella comunione
intera alla quale l’esposizione vuole condurre i fedeli»”. Il beato Giovanni
Paolo II nella Lettera Dominicae Cenae del Giovedì Santo 1980 afferma:
«L’animazione e l’approfondimento del culto eucaristico sono prova di
quell’autentico rinnovamento che il Concilio si è posto come fine, e ne sono il
punto centrale…La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico.
Gesù ci aspetta in questo Sacramento d’amore. Non risparmiamo il nostro tempo
per andarlo a incontrare nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e
pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra
adorazione!».
[http://www.adorazioneeucaristica.it]