7/2/2014 ● Cultura
C'era una volta
Caro Paolo, dovrei volertene - si fa per dire - già per il solo avermi
trascinato in argomentazioni afferenti quella che, tra le questioni da un
milione di dollari, è senz'altro la più complessa. La pavidità e' indotta dal
rischio d'apparire, agli occhi del potenziale lettore, presuntuoso
nell'affrontare tale tema; inoltre, in sintonia con la riflessione offerta dal
prof. Pretore, reputo più consona una discussione old style, magari davanti a
quel boccale di birra che hai paventato come alternativa nel tuo primo
intervento. Prima, però, di fornirti puntuali chiarimenti sulle precise
perplessità da te formulate nel blog, provo ad illustrare la mia visione
generale sul tema "religione", operando un'ardita sintesi - progetto di cui
prevedo il naufragio ... un traffico di vorreidire affolla la mia mente - sul
più interessante tra i fenomeni culturali d'una data società.
E già, ché chi - come appunto il fedele - vive il fenomeno dall'interno, tende a
dimenticare che l'imprescindibile punto di partenza per affrontare la questione
é collocarla nell'esatta posizione: fenomeno culturale. Operazione, questa, che
non svilisce affatto l'importanza che essa ricopre e che personalmente, in un
mio precedente scritto su questo blog, avevo già evidenziato. In quel caso
riflettevo sul sentimento di appartenenza e sul ruolo ricoperto in tal senso
dalla religione, verso cui l'uomo solitamente opera una scelta non consapevole:
anche tu sarai diventato cattolico perché in tenera età hai cavalcato quel fine
strumento che la tua cultura di appartenenza ha elaborato per approcciare
l'imponderabile, per far luce sulle arcane questioni ... "chi siamo", "qual è il
senso della nostra vita". In seguito, nella maturità, l'uomo ha l'occasione di
rendersi conto che le religioni sono come diverse lingue che, opportunamente
tradotte, forniscono una medesima risposta (Panikkar: "le religioni sono
sentieri che conducono verso l'unica cima" ... lui, che tra le tante cose era
anche un sacerdote cattolico), e scoprire così che tutto l'entusiasmo e' riposto
nel viaggio, essendo la meta, oltre che impraticabile, superflua da raggiungere.
Comprendo che agli occhi di un fedele questo approccio possa apparire una
reductio, eppure paradossalmente è avvicinandosi ad essa quale fenomeno
culturale che la religione offre il meglio di se'. Sempre in tale ottica, e'
interpretando la Bibbia con gli strumenti dell'esegesi letteraria che il Libro
sprigiona contenuti che il canonico sguardo teologico, forse perché reso angusto
dalla necessità di una rigida interpretazione in coerenza, non coglie. Pur senza
scendere in dettagli, basti la sola credenza che la religione d'appartenenza
sia, tra le tante, la sola ad individuare il Divino - tutte le altre essendo
lontane dal percorso che conduce alla Verità - per ingenerare la convinzione che
un siffatto interlocutore sia in realtà un narratore di favole.
A ben vedere, tuttavia, son proprio queste a contenere lo stesso magico
meccanismo che, a mio avviso, e' dato riscontrare nei testi sacri: pur narrando
di accadimenti inverosimili, il bambino sta al gioco, ci crede. Quanto riportato
nella Bibbia non è affatto oro colato, e' divina nelle aspettative e sin troppo
umana nelle sue contraddizioni, letterali ed interpretative. Quella che
conosciamo e' solo una delle Bibbie possibili a cui si è giunti dopo che
all'originale in ebraico - una sfilza ininterrotta di consonanti - vennero
aggiunte le vocali ed effettuata la partizione del testo, senza contare le
successive stratificazioni corrispondenti a più di un intervento umano. Ma la
vera questione, per quanto mi riguarda, e' la seguente: essa rappresenta la
fonte di quella religione di cui la mia etnia s'è dotata ... risponde alle mie
esigenze circa l'approccio all'imponderabile? Bene, allora ci voglio credere.
Dio esiste? Domanda ingenua ... proprio perché forse non esiste occorre crederci
(se si fosse certi della Sua esistenza l'umanità non ne avrebbe così tanto
bisogno e, soprattutto, divenuta depositaria dei misteri della vita, la razza
umana si estinguerebbe causa noia). Dunque, come nelle favole - e nei miti greci
o nella Divina Commedia - per credere a quanto ivi narrato non v'è bisogno di
convincere gli altri che la volpe parla, che Achille è davvero invulnerabile e
che Dante intrattiene conversazioni in latino volgare con Omero ... mi piace/ho
bisogno di crederci e ci crederò. Chi, al contrario, ha bisogno di essere
persuaso che il testo della Bibbia sia stato dettato da Dio agli uomini e da
questi fedelmente riportato, dell'esclusività del proprio Dio, nonché di
persuadere gli altri di tali circostanze, e' cittadino di una umanità dedita
alla superstizione.
Rischio di apparire come un paladino della ragione, ma è tutt'altra la mia
convinzione. So che la ragione, il sapere, possono solo indicarci la strada, il
cui tratto finale e' possibile colmare unicamente grazie alla fede: mi è sempre
piaciuto pensare che la vicenda dell'obbligo apparentemente insensato che Dio ha
posto nell'Eden circa il frutto dell'albero della conoscenza rappresenti
un'allegoria celante proprio tale messaggio ... il sapere non serve per giungere
a Lui. Riguardo al percorso che conduce alla Verità, sottoscrivo in pieno il
pensiero espresso da Papa Wojtila nell'enciclica "Fides et ratio", che citerò
soprattutto per la splendida metafora ivi utilizzata: "la fede e la ragione sono
come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione
della verità". Sebbene l'Amore di Dio giunga all'intelletto mediante la
Rivelazione, l'uomo deve conoscere quest'ultima, e "il processo della conoscenza
della Rivelazione passa dalla ragione, non v'è altra via".
L'essoterismo, dunque il percorso indicato dalle religioni, rappresenta il
tentativo di rendere accessibili a tutti quelle verità che tali sarebbero solo
per una ristretta cerchia di iniziati all'esoterismo. La funzione di miti e
leggende, come delle allegorie celate nelle vicende bibliche o nelle parabole
del Cristo, e' di "spiegare col cucchiaino" concetti ostici e che comunque mai
si diffonderebbero tra la gente comune se non si attingesse alla popolarità che
naturalmente riscuote il racconto, la narrazione, con il corredo di archetipi
che rappresentano per l'intelletto chiavi di accesso a verità immediatamente
riconoscibili. Nonostante l'utilizzo del cucchiaino, questi concetti vanno
comunque assimilati ... "In principio era il Verbo ecc.", l'incipit del vangelo
mistico, può essere compreso appieno senza spiegare cosa si intenda per Verbo?
Per comprendere questa definizione di Dio e tanti altri concetti espressi nel
libro sacro, non a caso insegnamenti mai impartitimi nel catechismo o nell'ora
di religione, occorre padroneggiare qualche rudimento di filosofia. E' invece
curioso come spesso ai fedeli, che hanno un approccio quotidiano con l'argomento
che per eccellenza richiede uno sforzo intellettivo non comune, capiti di
incorrere in quella pigrizia mentale indotta dai tanti ipse dixit espressi dalla
nostra religione, dogmi formulati in numero tale da risultare sconosciuti agli
stessi sacerdoti: imboccando tale strada la stessa Chiesa ha edificato ed
alimentato nei secoli una dottrina inaccessibile ai più. E gli stessi fedeli
nelle questioni religiose intervengono spesso citando formule stereotipate,
quasi recitassero dei mantra: mai nel dubbio, intravedono nella precoce - banale
dirlo - morte d'un bambino la volontà di Dio di richiamare a se' un angelo ...
accade una disgrazia? ... evidentemente lo sfortunato ha le spalle larghe e può
sopportare questa sorta di banco di prova (un tempo sarebbe stato interpretato
come un segno della collera divina) ... come la patafisica, la superstizione
elabora soluzioni immaginarie.
Tornando alla questione della religione come "servizio" che deve rispondere alle
esigenze d'una data società, gli affanni della Chiesa riguardo alla coerenza
della dottrina, le sue preoccupazioni temporali e la fissa dei fedeli più
ortodossi circa il senso della vita e altre menate varie, hanno un senso per un
popolo che forse ha bisogno di altro? L'odierna attività pastorale e' in
sintonia con i desideri spirituali del gregge? Data la recente disaffezione,
qualcosa di sicuro non va. Sbaglierò, ma soprattutto in questi tempi bui - in
cui la disonestà e' un modello vincente e futuro-ottimismo sono parole desuete -
la Chiesa dovrebbe testimoniare della gioiosita' del vivere probamente, parlare
della promessa del Paradiso (critica mossa da Celentano nel Festival e che è
stata buttata in vacca dai giornali cattolici indignati per altri motivi),
ovvero il finale del racconto biblico, proprio quello che fa acquisire un senso
al tutto.
Ascolta questo spaccato di vita reale. Prima di Natale e' venuto a benedire la
casa il prete - un retaggio di pratiche di sapore pagano, invero, che apprezzo
pur lasciandomi interdetto - al quale mia madre ha chiesto delucidazioni
sull'effettiva esistenza del Paradiso. Premesso che i nostri due parroci
svolgono il loro ministero lodevolmente (passerò per uno stronzo insensibile ma
la differenza con chi li ha preceduti e' evidente), il pur preparatissimo prete
ha liquidato la questione rimandando alla generica esperienza dei santi nonché
al luogo comune del tunnel di luce. Ribadendo il fatto che il prete in questione
e', a mio giudizio, preparatissimo nel suo "mestiere", mi è sembrato spiazzato,
come se non s'aspettasse quella domanda che, in fondo, rappresenta proprio
quella debolezza umana che ci induce a cercare risposte nella religione: il
timore che nulla, o qualcosa di non paragonabile alla nostra già magra
esistenza, ci sia ad attenderci dopo la morte. L'istituzione e i praticanti
troppo spesso sembrano aver dimenticato che il vero protagonista della
religione, creatore e destinatario della stessa, e' l'uomo. Leggendo la Bibbia
ciò e' sin troppo evidente: nella Torah (i primi 5 libri) Dio fa comparsate, e
non fa neppure tutta 'sta gran figura, con la sua indole guerriera che trasmette
al suo popolo eletto, che cercherà senza gran successo di espandere il
territorio. Questo lontano parente del Dio di cui il Cristo ci parla e' il
protagonista della testimonianza di fede di ogni credente: accade così che il
tuo amico cambia in positivo grazie all'intervento divino, e quando si pecca la
colpa la condividiamo col Diavolo (e se il peccato, pur nella sua negatività, e'
rimediabile, peggio sarebbe non chiedere il perdono) ... il bene e il male sono
fonti esterne a cui ci abbeveriamo. Comodo pensarla così, che non siano due
forze al nostro interno, da imparare a governare. Anche un non credente può
migliorare, e anche quando utilizziamo la religione come guida il merito resta
principalmente dell'uomo, della sua dedizione. Il meccanismo del peccato e del
perdono recante il crisma sacerdotale può condurre a pericolose teorie, che
permettono a pezzi di merda come Riina e Andreotti di poter credere d'essere
buoni cristiani per il solo fatto di collezionare santini o presenziare
quotidianamente alla messa: non so per la dottrina, ma tra un ateo che vive
onestamente ed un fedele praticante che continua a vivere nel peccato nonostante
i reiterati pentimenti/perdoni e' il secondo che invierei all'Inferno (il
prototipo universalmente conosciuto e' quello dantesco che, paradossalmente, ne
ha fatto una rappresentazione metaforica che si è voluto invece interpretare
alla lettera).
Usiamo la religione per lo strumento che è: non come forma di potere ma, oltre a
strumento consolatorio che fornisca una risposta collettiva alla paura della
morte, come galateo per l'anima. Il suo scopo e' renderci migliori, educare
l'intelletto affinché l'uomo comprenda quale sia il giusto contegno da tenere:
anche il diritto penale ce lo indica, minacciando però una punizione, mentre la
religione c'insegna che occorre vivere onestamente perché è giusto farlo. Ti
dirò, consapevole di peccare di eresia, che una delle proposizioni bibliche più
famose assume per me un significato se debitamente invertita: e' l'uomo ad aver
concepito un Dio a sua immagine e somiglianza, poiché ogni etnia si dota di un
credo religioso che corrisponde al grado di sensibilità di cui quella data
cultura si mostra capace. Quel credo cattolico, che un popolo in cattività ha
creato a sua misura, in due millenni ha subito modifiche da un'istituzione che
lo ha plasmato assecondando le sue necessità: se lo abbia fatto onestamente e in
buona fede e' giudizio a cui si giunge grazie all'analisi storica, alla quale la
Chiesa non può sottrarsi per una autoconclamata divinità e per la moderna
proclamazione di infallibilità del suo Pastore.
Inefficace riguardo alla sintesi che m'ero proposto di operare, rimando ad un
secondo momento le riflessioni da te proposte su singoli argomenti.
Ciao Paolo.
P.S.: Non sono a priori contrario alle innovazioni dottrinali, spesso foriere di
un autentico progresso spirituale: penso al filone del neoplatonismo che reca in
se' la dote del concetto di anima, al culto mariano che mette una pezza al
maschilismo tradizionalista riconoscendo una certa qual dignità alla donna e -
con un'inversione a "U" torno al tema iniziale della discussione - al
superamento del concetto agostiniano di "guerra giusta" grazie ad un'enciclica
quasi imposta dal Papa buono (la nostra religione, su alcuni temi, si mostra una
fuoriserie ... la pace non credo sia il suo forte).