2/2/2014 ● Politica
La colpevole assenza dei partiti
La gravi crisi che investe la regione Molise, sino a minarne la sopravvivenza in termini istituzionali e di coesione sociale, testimonia in maniera evidente la «grande assenza» dei partiti ridotti a momentanei contenitori elettorali, che appena dopo il verdetto delle urne cedono le proprie funzioni costituzionali agli eletti. Anche il richiamo all’esercizio delle funzioni senza vincolo di mandato dei parlamentari esprime la libertà di non votare come loro prescritto dal partito con cui sono stati eletti, così da essere sottratti alla rappresentanza di eventuali interessi particolari, essendo loro dovere rappresentare la nazione nel suo insieme. Sull’importanza dei partiti non si discute poiché nessun grande paese è libero senza di essi e poiché “creano l’ordine dal caos di una moltitudine di elettori” (Bryce 1921). Tuttavia da molti anni l’evoluzione dei partiti politici, della loro struttura organizzativa e del loro funzionamento, ha destato non solo interesse ma anche forti preoccupazioni. In questa sede non si intende fare alcun check-up ai partiti regionali, ma solo stimolarne la riappropriazione di ruoli non delegabili a chicchessia, evitando eccessive enfatizzazioni dello status dell’eletto a danno del concetto tradizionale di rappresentanza. L’istituzione sostanzialmente rappresentativa contempla l’equilibrio tra l’autonomia del rappresentante nell’esercizio delle funzioni che gli sono proprie e il controllo democratico da parte dei cittadini. In tal modo gli eletti perdono il dato essenziale della rappresentanza e si comportano sì da risultare più sensibili agli interessi più prossimi. Alla debolezza dei partiti fa da contraltare la diffusa tendenza alla “dittatura dell’eletto”, di quanti in nome della stabilità degli esecutivi hanno sacrificato la rappresentanza del popolo nelle istituzioni: in tal modo il popolo sovrano può venire “incantato” da qualche pifferaio urlante o suadente e corruttore, e può seguirlo fino all’abisso o alla servitù volontaria, come negli esempi provenienti da qualche nobile e illustre interprete nazionale e persino locale. A tutto ciò concorre anche l’eccessiva personalizzazione e mediatizzazione della politica, grazie anche a una legislazione che favorisce tali fenomeni in virtù dell'assegnazione di compiti eccessivi ai vertici politici dei vari esecutivi, umiliando in tal guisa i poteri di controllo e di bilanciamento delle rispettive assemblee elettive. Entrando nel concreto, si pensi al dibattito regionale sui costi della politica in cui, fatta eccezione della chiara posizione dei grillini, nessun partito ha indicato una sua netta posizione sulla materia, lasciando ai consiglieri diretti interessati la difficile e scomoda scelta, sfidando persino la matematica ridotta a opinione. Durante la campagna elettorale regionale qualche politico di spessore (in tutti i sensi) ebbe a proclamare la drastica riduzione del 50% delle indennità ai consiglieri; eletto in maggioranza, avrebbe dovuto al limite servirsi di una calcolatrice per ottenere la cifra esatta della sua promessa elettorale, ahimè, rimasta solo tale. Ma l’esempio più parossistico è legato alla vicenda della sanità regionale. Si tratta di un aspetto che riguarda circa l’80% del bilancio regionale in termini finanziari e che obbliga i cittadini molisani a pagare gabelle da anni per colpe non proprie: dai partiti nessuna proposta concreta, mentre dai vari consiglieri regionali solo interessate difese campanilistiche che sottendono al mero soddisfacimento del proprio limitato bacino elettorale. Per chi come me ha vissuto altre stagioni politiche, il ricordo va all’allora Assessore alla sanità della giunta Veneziale che elaborò un Piano Sanitario Regionale che non risentiva affatto di queste logiche campanilistiche e che fu dimissionato per quella proposta che, se attuata, non avrebbe portato la sanità molisana allo sfascio attuale. Oggi abbiamo bisogno di politici che guardino al futuro, non interessati solo a coprire le crepe di un edificio dissestato alle fondamenta. Ma il richiamo ai partiti è legato anche alla presenza di alcuni tratti essenziali e ineludibili nella loro funzione: le regole che ne disciplinano la vita interna e la rappresentanza democratica, il programma che ne connota l’azione e l’offerta politica agli elettori e, infine, la disponibilità al conflitto per creare quel terreno fertile per favorire il dialogo e il confronto, scongiurando quel deleterio pensiero unico che costringe colui che dissente ad abbandonare il partito. Oggi la nascita democratica di tanti movimenti spontanei che fanno proprie le esigenze diffuse di cui non si fanno carico i partiti, che dimostrano di non saper cogliere le istanze dei tanti cittadini delusi, deve essere letta come uno sprone affinché i partiti tornino a esercitare il loro ruolo alimentando la “buona” politica.