8/3/2008 ● Cultura
I “fatti” in una Comunità non sono prerogativa della politica
Aver aperto un blog circa otto anni fa (a proposito del “fare”) mi suggerisce di fornire ai lettori alcune mie considerazioni sulla
questione “fare politica”. Con l’apertura di un dibattito “virtuale” sul tema
“fare politica”, sollecitato dai contributi testuali dei lettori di Fpw, da
alcuni politici locali, da vari amici ad argomentare sulla populistica sintesi
che invita ai “fatti e non alle parole”, ritengo la questione interessante dal
punto di vista dialettico (a proposito di “parole”) e degno di opportuno
contributo intellettuale.
In un periodo come questo, “fatto” di bilanci (politici), “...ho fatto questo,
ho fatto quest’altro, ...si è deciso questo e si è deciso quest’altro...”, è
evidente che, quasi spontaneamente, si chiedono “fatti” a tutti. Anche a chi ha
avuto modo, intenzioni e convinzioni di “non fare politica”.
Dando tale contenuto e tale peso ai “fatti”, a mio avviso, la mostra
retrospettiva sui “fatti e non parole” è una scelta autonoma di chi intende
spiegare i propri “fatti”. Servono a poco il plauso degli altri e l’autocelebrazione
per “avere fatto”. È un impegno assunto ed esercitato nella Comunità “per fare”,
e dovrebbe prescindere dai meriti.
E veniamo alla questione meritocratica, al criterio che distribuisce
“certificazioni” di qualità del “fare” in una Comunità.
I “fatti”, in una piccola Comunità come la nostra (in fondo viviamo in un paese
di circa 5.000 anime), non sono esclusivi dell’impegno in politica, dunque una
prerogativa del “fare politica”. Nella nostra realtà l’impegno nel “fare per la
Comunità” si sceglie per vocazione, per passione, per competenza. Quindi, oltre
che nella politica, la scelta del “fare” si orienta in vari ambiti: nello sport,
creando e gestendo un movimento; nel sociale, agendo in prima persona sulle
questioni del degrado e del disagio; nella cultura, studiando e valorizzando la
nostra identità e il nostro patrimonio; nell’animazione, promuovendo attività
ricreative e turistiche per la nostra realtà (citiamo il grande impegno dei
Comitati festività in questi giorni); nella tutela, sostenendo la difesa
dell’ambiente, del volontariato; nella valorizzazione locale, coinvolgendo i
giovani o gli anziani in progetti innovativi ed aggreganti.
È imbarazzante, invece, quando si è costretti all’impegno “morale” in politica
per contrastare pregiudizi e censure del “fare una certa politica”. A Guglionesi
l’ “attivismo del fare” c’è. È vivo. Cresce con e tra i giovani, nonostante sia
poca o niente la riconoscenza di una certa “visione politicante”. Ma è pur vero
che nella nostra piccola Comunità persiste l’ “attivismo del non far fare agli
altri”, in diversi degli ambiti citati. Nel “fare una certa politica” e nell’
“attivismo del non far fare agli altri” la coerenza rare volte resta un’eredità
culturale, un impegno concreto verso la Comunità, prima, durante e dopo
l’incarico (oserei scrivere il “privilegio”) municipale.
L’impegno incondizionato nel “fare per la Comunità” non ha bisogno di bilanci e
di “meriti”. Si va avanti nella coerenza personale e nell’onestà intellettuale.
I giudizi “meritologico” e metodologico lasciamoli alla Storia dei “fatti”, anzi
ai “fatti” della Storia. Ricorreva l’anno 1890 quando Sindaco di Guglionesi era
Luigi Sorella (1887-1890) e a Napoli venne dato alle stampe il libro di Angelo
Maria Rocchia (Cronistoria di Guglionesi e…) [cfr. libro di “Sant’Adamo di
Guglionesi”, pag. 239]. La memoria dei “fatti” ha consegnato all’odierna
Comunità un testo di Cronistoria ancora molto sfogliato, molto criticato, molto
discusso, molto ricercato, ma del “Sindaco anno 1890” e della sua
Amministrazione non vi è sedimento di ricordi. Nei “fatti” della Storia vi è
pure la pagina indelebile dell'impegno in politica di un amministratore locale
(circa un ventennio fa), allorché destinò le indennità maturate per il suo
mandato istituzionale al restauro storico dei portici di Piazza XXIV Maggio a
Guglionesi.
Infine una considerazione sui ruoli e sui tempi istituzionali del “fare”.
L’essenza della “trasparenza amministrava” è voluta dal Legislatore (cioè il
Popolo italiano), il quale “sospende pro tempore”, dopo i due mandati
consecutivi, l’impegno personale di un Sindaco. Esiliarsi intellettualmente, con
senso di responsabilità, per rispettare nella sua totale determinazione tale
principio democratico è una grande prova di esplicazione dei valori umani e
dell’educazione civica. Se il “suggerimento” normativo fosse accolto,
serenamente, con onestà intellettuale e con coscienza politica, magari anche da
chi ha condiviso ed esaurito il doppio mandato in simbiosi con il Sindaco
indicato dal Legislatore, il futuro e lo sviluppo sociale di una piccola
Comunità sarebbe prospero di cultura dei “fatti”. Gli stessi Statuti e Codici
etici rielaborati dai recenti partiti o cartelli partitici contemplano
l’efficacia della “trasparenza amministrativa” attraverso una momentanea
sospensiva dei ruoli istituzionali, di origine politica, oltre un certo periodo.
L’anti-politica è una manifestazione della politica, non è una scelta del “non fare politica”.