11/12/2013 ● Cultura
Il comunismo è morto, la Chiesa... come sta sciupata!
Caro Paolo, ricambio da subito il tuo saluto, sinceramente, travalicando il
confine del puro e semplice galateo. Non sono stato repentino nel rispondere,
assalito da dubbi insorti per il sottile imbarazzo che provo nel trattare una
materia che – sapendoti credente … e in buona fede – diventa ancor più delicata
se evocata in tua presenza. La metafora sportiva a seguire è di ben poco pregio,
eppur mi serve. Se è vero che uno scontro fisico attuato all’insegna della
sportività non costituisce violenza, ora anche il nostro confronto dialettico –
nel caso assuma toni aspri – mi auguro tu lo consideri leale: valga questa
banalità quale preventiva richiesta di biasimarmi per l’abrasività del mio modo
d’esprimermi. Entrando nel merito della tua richiesta di chiarimenti, è il caso
forse di precisare quale pulsione assecondo all’atto di scrivere: sulla tastiera
neppure per semplice diletto agisco da giornalista o da scrittore. Sono invece
un lettore, e in tale veste m’interesso alla scrittura come fatto estetico …
dunque se è vero che rendo partecipi gli altri del dono che a tutti è stato
concesso, il proprio originale ed esclusivo punto di vista, lo abbiglio
assecondando i gusti d’un unico destinatario: me stesso. Pubblicarlo poi nel
blog significa metterlo a disposizione della personale chiave di lettura di
ciascuno, affinché tragga le conclusioni che vuole e crede … le sue, e se è
affascinato/sedotto dalle mie … tanto piacere.
Conclusa la dovuta premessa di carattere generale, passo ai tuoi dubbi,
iniziando dal titolo del tuo scritto, in cui mostri interesse su cosa il
comunismo intenda per pace. Entro nel personaggio e mi armo subito d’un piglio
polemico: conosco una sola istituzione che attua una sorta di “semantica
creativa”, assegnando ad alcune parole (ex: vita, virtù) significati diversi da
quelli – e in barba alla natura convenzionale – comunemente intesi. Sebbene
ritenga fuorviante tale questione, preciso comunque che mi riferivo
all’originaria definizione, nata per contrapposizione a “bellum”, chè le
successive accezioni in positivo non m’interessano. Ed è anche per dotare la mia
opinione d’un maggiore contegno che ho cavalcato quella autorevole di PPP:
quella della pace è solo un’implicazione secondaria dell’applicazione della
dottrina marxista, poiché all’assenza delle differenze socio-economiche – e
trasformati tutti in passeri - corrisponderà una drastica riduzione della
conflittualità sociale. Ed è d’altronde opinione condivisa che “le
disuguaglianze economiche, sociali e culturali troppo grandi tra popolo e popolo
provocano tensioni e disordine e mettono in pericolo la pace”: no, non è un
estratto dal “Manifesto”, ma dall’enciclica “Pacem in terris” del Papa Buono,
all’epoca già Infallibile.
Il prosieguo della tua considerazione – questo il motivo dell’ampia premessa –
mi dà l’idea che per alcune porzioni di realtà utilizziamo differenti categorie
interpretative. E così, nell’universo parallelo in cui vivo io la pace non può
svanire da un momento all’altro, dacché già sono in corso vari conflitti. In uno
di essi l’Italia è addirittura parte in causa, a meno di voler dare retta a quel
sottoprodotto della colonizzazione made in USA che ci vedrebbe recitare il ruolo
di “portatori di pace” o “esportatori di democrazia”: nel mio dizionario sono
eufemismi, contrassegnati da un filo di tragica ed involontaria ironia. Anche
“speranza” e “Provvidenza” sono espressioni d’una retorica che non m’appartiene.
Sulla prima è già capitato in questo blog di esprimermi, in quel senso
ottimamente reso da un adagio popolare: credo si sia proprio disperati se, al di
là d’ogni fondata aspettativa, per un auspicato evento si fa affidamento su
inverosimili nessi di causalità … non è un caso che il noto luogo comune la
definisca “l’ultima a morire”, invocando essa dopo il decesso d’ogni altra
verosimile aspettativa. La seconda, oltre a rappresentare l’ideale corollario
della prima, appartiene ad un’interessante categoria, quella delle innovazioni
dottrinali cattoliche. Come l’Immacolata Concezione, la S.S. Trinità,
l’Infallibilità papale (fonte ulteriore di possibili innovazioni) e tante altre,
anch’essa è concetto estrapolato dalla Sacra Bibbia grazie ad un’interpretazione
… estensiva (?). La Divina Provvidenza, tuttavia, presenta limiti interpretativi
evidenti anche ad un non teologo: come si concilia col libero arbitrio (circa le
modalità in cui opera il destino, si può essere deterministi o fatalisti, non un
mix d’entrambe le cose)? Hai alluso a mie non ben precisate imprecisioni (la
lascio, ho un debole per le cacofonie) sulla Chiesa, ma il seguente ragionamento
mi pare non faccia una grinza: pur ammettendo la coesistenza teorica di due
concetti incompatibili, non credi che il buon Dio si serva di questa Sua Facoltà
per tessere trame di ben pregiata fattura, intervenendo nel destino dell’umanità
inteso in una dimensione spirituale e globale, anziché per l’appagamento della
speranza d’un singolo?
Ecco dunque, Paolo, abitiamo due mondi diversi, che utilizzano un differente
linguaggio. Ma se preferisco continuare a vivere nel mio mondo, è pur vero che
il tuo lo comprendo, sebbene il tuo intelletto sia informato a quel particolare
registro a me estraneo che è la fede. Come riportato nell’articolo “La
liquefazione”, nella rubrica “Solitudini d’autore” (e grazie a molta letteratura
di qualità che molto ha educato il mio intelletto sulla religiosità – Borges su
tutti), penso anch’io alla fede come ad un atto razionale, avente ad oggetto la
verità. La propensione d’un uomo alla religiosità gli è data da quella superiore
facoltà, l’intelletto per l’appunto, con cui egli manifesta le sue attitudini ad
avvicinarsi al Divino: tramite la letteratura o l’arte in genere, oppure
semplicemente amando, l’uomo giunge ad “intuire” ciò a cui il percorso di fede
conduce con un maggior grado di coscienza e consapevolezza. Quanto l’intelletto
sia coinvolto in questo processo di Conoscenza del Verbo, della Verità, lo si
comprende già leggendo la Divina Commedia se non, canonicamente, il Vangelo
secondo Giovanni. Come vedi, pur non avendo – e crucciandomene – il dono della
fede, mi sforzo di comprenderlo. Spesso, tuttavia, non trovo un analogo
atteggiamento negli uomini di fede, alcuni dei quali mal tollerano chi “non è
dei loro” (come se la fede non fosse quella difficile conquista com’io credo che
sia, soprattutto in tempi d’imperante positivismo).
Quel che mi trova davvero contrariato è invece una tua considerazione che –
capirai ora il perché della banale metafora - sollevata nel corso d’un confronto
dialettico assume una valenza assimilabile ad un fallo antisportivo. Mi tocca
snocciolare un’ulteriore ovvietà: chi si fa portatore d’una differente opinione
ha, in dialettica, due strumenti praticabili, argomentare a favore della propria
e/o confutare l’altra … tertium non datur. Già in un mio precedente scritto
sulla politica locale il contraddittore liquidava il mio diritto alla critica
consegnandomi un pass per la categoria quellichelacolpaèsempredeglialtri. Tu
addirittura vincoli, pena il disfattismo, l’esercizio di tale diritto alla
proposizione d’una soluzione concreta al problema sollevato: se per affrontare
grandi problematiche già occorre una certa dose di coraggio intellettuale, con
la tua formula sarebbe impossibile instaurare un dialogo su certi temi. Credo vi
sia una punta d’invidia alla base della simpatia da me riposta per un
personaggio di “Pulp fiction”, che si presenta lapidariamente con un “sono il
sig. Wolf, risolvo problemi”: è dalle elementari che non ne risolvo, e si
trattava di robetta … contadini che continuavano imperterriti a rompere uova e
che occorreva aiutare nel quantificare il danno.
Sul tuo invito alla colletta alimentare nulla quaestio: riguardo a tale aspetto
il mio contegno segue quello del tanto da me bistrattato “uomo medio”, il cui
contegno segue unicamente il principio d’utilità e appartiene a quelle
maggioranze silenziose e colpevoli - in questo caso di egoismo e menefreghismo -
da cui l’Italia è presa in ostaggio. Non ho giustificazioni, dunque il seguente
appunto tale funzione non ha: sebbene lodevolissima, nel mio fantomatico
dizionario tale iniziativa appartiene però alla categoria “lascia il mondo così
com’è”. E’ vero che a volte i piccoli gesti possono cambiare il mondo, purtroppo
questa non è una di quelle. Per tagliare corto e per analogia, il compianto
Mattei che faceva partecipare agli utili i paesi produttori di petrolio –
anziché ottenere una concessione e “ritirare il piatto” – avrebbe con quel gesto
potuto cambiare il mondo … invece il mondo ha cambiato Mattei, in un corpo
“orizzontale, possibilmente freddo” (“Per qualche dollaro in più”, frase di
Volontè che in seguito interpreterà anche Mattei …).
PS: La critica alla Chiesa è, in quello scritto, incidentale e strumentale.
L’opportunità contraria è appunto quella di poter discutere di religione, anche
senza la patente della fede. Se avessi voluto davvero criticare la Chiesa, avrei
messo il dito su un’attività pastorale in cui il gregge è assente, sui pastori
che non evangelizzano, dunque non testimoniano della gioiosità della vita: dimmi
tu cosa è rimasto, nella pratica della vita intellettuale quotidiana, del
fervore mistico di Cristo o di S.Francesco. Il “peccato originale” che sconta il
cattolicesimo consiste nell’aver privato il fedele, nel processo di conoscenza
della Verità, di quell’efficacissimo strumento che la cultura madre greca aveva
battezzato, la dialettica. Cristo si fa interprete d’una religione che
finalmente pone l’individuo al centro dell’attenzione, poi l’Istituzione che fa
le Sue veci cosa professa? Elabora dogmi e consacra il clero come possessore
della Verità rivelata in terra (consegnandogli la proprietà intellettuale
dell’esercizio della professione di fede) … e non ha mai davvero avuto
l’intenzione di lasciare a Cesare il suo (nei fatti l’Unità d’Italia si compie
con la “breccia di Porta Pia”, con l’uso della forza per costringere alla resa
il Papa Re, ultimo monarca nostrano ad aver abbandonato la pratica della pena di
morte). Conseguenza di tale contegno? I fedeli di altre religioni professano da
“professionisti”, il 95% dei cattolici lo sono per statistica, entrano … pardon,
si fermano sulla soglia del cattolicesimo comportandosi da parvenus. Tutto
questo detto, su una religione che critico perché desidererei “migliore”: se mi
ponessero la famosa domanda della torre, invitandomi a buttar giù il più serio
ostacolo alla vita civile, riserverei la mia spinta allo stato democratico e non
alla Chiesa (dopo aver parlato male – ancora senza approfondire - di animalisti
e della Chiesa, la scalata verso la vetta dell’impopolarità non è terminata).