23/9/2013 ● Cultura
Progresso e il divino decesso
Ho trovato seducenti - intellettualmente … ovvio – tre tematiche di recente
esposte nel blog. Oltre al virtuale tavolo di discussione, spero ancora aperto,
sul tema “cultura”, Di Narzo ha evidenziato la palese eresia di taluni
comportamenti dell’attuale sinistra rispetto alla “Parola di Marx”. Per entrambe
mi adopererò sulla tastiera, così come mi accingo a fare per l’argomento tirato
in ballo da Raspa, ovvero il progresso … implicazioni altre incluse.
Sebbene un luogo comune la dipinga quale inutile e ostica, la filosofia – a cui
dovrò ora attingere a piene mani – tale non è affatto … quantomeno non sempre.
Ricorro ad essa per beneficiare di quel vero e proprio prodigio a cui solo la
cultura può consentire di accedere: in quell’oceano di parole, alimentato da
molti secoli di studi compiuti in campo filosofico e letterario, è possibile
rinvenire quella molteplicità di universi la cui esistenza la fisica teorica ha
matematicamente dimostrato. Chi volesse comprendere il presente –
l’interpretazione del mondo è facoltà prerogativa, dunque talento da non
sprecare, della sola razza umana – non ha che da cercare lumi tra gli scritti di
chi ha prestato il proprio intelletto a tale campo d’indagine.
La chiave interpretativa per scoprire a quale risultato si giunga accostando il
concetto di progresso alla società contemporanea è, in chiave metaforica,
contenuta nella frase che è un vero e proprio must tra gli imbrattamuri: “Dio è
morto”. Essa fornisce l’accesso alla disquisizione con cui Nietzsche, in
anticipo d’un secolo e mezzo quasi, giunge a formulare una diagnosi della nostra
società: nichilismo … malattia pressoché incurabile.
Orbene, cosa lega il decesso della divinità della civiltà occidentale col
concetto di progresso? Tanto per iniziare, sulla relativa concezione v’è
letteralmente apposta la Sua firma. Qual è la fonte della cultura alla quale
ancora ci abbeveriamo? E’ arcinoto che sia il mondo greco la principale
sorgente, ma successivamente confluì un affluente che influenzò parecchio la
cultura formatasi sulla matrice della Grecia del periodo classico: dopo aver
laicamente consentito la pratica di qualsiasi culto, i Romani – Costantino ne fu
la longa manu - intuirono che il Cattolicesimo si prestava, adeguatamente
strumentalizzato dal potere, ad essere un efficace meccanismo per il controllo
delle masse. Adottata quale religione “di stato”, la sua dottrina andò ad
innestarsi sulla preesistente cultura. E su un aspetto fu a dir poco
rivoluzionaria: gli uomini, che si autodefinivano mortali in contrapposizione
alle divinità del Pantheon, scoprirono d’essere immortali, chè tale era il dono
che recava con sé la nuova religione. Dunque è la Chiesa cattolica a
propagandare una visione ottimistica del futuro – dal Paradiso perduto alla sua
promessa riconquista – potendo il destino dell’umanità essere graficamente
rappresentata da una parabola evolutiva … il progresso, per l’appunto.
Per farsi un’idea di quanto tale concezione lineare d’un progresso inarrestabile
abbia pervaso la nostra cultura, basti pensare ad alcuni importanti esempi. La
scienza – che siamo idealmente usi collocare in antitesi rispetto alla religione
– segue il medesimo paradigma: da un passato d’ignoranza si procede verso un
crescente grado di conoscenza. Addirittura l’”eretico” Marx utilizzò lo stesso
schema: il passato è la schiavitù del proletariato e il presente è la relativa
acquisita consapevolezza che condurrà in futuro alla rivoluzione e alla
dittatura della classe operaia. Freud a sua volta considerava l’infanzia quale
nascita della nevrosi e, in seguito alla diagnosi formulata nel presente, il
futuro diventava occasione di guarigione. Noi occidentali siamo dunque
intimamente convinti che il progresso sia inarrestabile … ma è davvero così?
Nell’attuale società l’individuo vive realmente in condizioni migliori rispetto
al passato o – per dirla con una frase fatta – si stava meglio quando si stava
peggio?
Eccoci dunque giunti alla morte di Dio e, in corrispondenza a tale simbolico
evento, all’alba d’un mondo qualitativamente deteriore. Nelle società del
passato – nel teologico mondo medievale in particolar modo – Dio rappresentava
il fulcro attorno al quale le stesse ruotavano: se si provasse a privarle del
concetto di Dio perderebbero ogni senso, diventerebbero incomprensibili ed
incomunicabili. Si può invece prescindere da tale concetto se si intendesse fare
un affresco della società moderna … è “denaro” la parola magica che oggi dà
senso al tutto e senza la quale essa crollerebbe come un castello di carte.
Dunque Dio non ha più la capacità di “creare mondi”, è la tecnica la divinità a
cui oggi siamo informati … e, morto Dio, collassa l’ottimismo nel futuro: viene
a mancarci lo scopo, manca la risposta al perché delle nostre azioni, ovvero il
futuro non retroagisce per motivare le azioni del presente.
Quando una società cede il passo ad una nuova, i vecchi valori tramontano per
essere sostituiti da altri: stavolta la nostra società non ne ha generato
affatto … ecco dunque il nichilismo. Ciò accade in quanto l’obiettivo che si
prepone la moderna società tecnologica non è il miglioramento qualitativo, il
progresso, ma quantitativo, ovvero lo sviluppo. La tecnica, infatti, è
autoreferenziale, nutre se stessa al di fuori d’ogni logica umana, il suo unico
scopo è il miglioramento dell’efficacia produttiva. Un esempio lampante si è
avuto in occasione della proliferazione nucleare degli anni ’80: che senso aveva
produrre ulteriori testate atomiche quando la centesima parte di quelle già
esistenti sarebbero bastate a far esplodere l’intero pianeta? Questo dunque il
fine della tecnica, autoalimentarsi servendosi dell’uomo anziché porsi al suo
servizio: Nietzsche descriveva l’intera vicenda in termini di “collasso dei
valori antropologici”.
E’ pertanto l’uomo – che, Kant diceva, dovrebbe essere un fine – ad essere
odiernamente solo un mezzo al servizio della tecnica: Marx aveva ragione, altro
che lavoro quale mezzo di affermazione della dignità umana, esso è considerato
un mero costo di produzione, alla stregua delle materie prime. Dunque la storia
termina qui: non avendo più come scopo il miglioramento della condizione umana
essa non ha più come soggetto l’uomo, è la tecnica ad assurgere al ruolo di
autentica protagonista. In questi decenni stiamo inoltre assistendo al
fallimento della democrazia: la tecnica ci costringe a decidere su questioni
incomprensibili (ex: il nucleare, gli organismi geneticamente modificati, ecc.),
che richiedono conoscenze specialistiche, dunque le relative opinioni sono
frutto di suggestioni, influenzate dalla retorica e non risultato conseguito
dalla ragione.
Da ultimo e per completezza d’informazione, va evidenziato che il filosofo
tedesco ha ipotizzato l’esistenza d’una possibile via d’uscita … cercatelo,
interrogatelo, di certo ve la indicherà.
P.S.: In questi anni siamo indotti alla preoccupazione da una crisi dovuta ad un
PIL che non cresce: non c’è sviluppo, ovvero la produzione non aumenta poiché
non siamo nelle condizioni di poter consumare una quantità crescente di
prodotti. Non riuscire ad arredare la nostra esistenza con un numero di
cose\oggetti sempre maggiore sembra frustrarci, e se il PIL non riparte quel
meccanismo resta inceppato: il capitalismo postula un’accelerazione continua
della produzione e, in corrispondenza, livelli progressivamente maggiori di
consumo … non è questa un’utopia al cui confronto la rivoluzione marxista
impallidisce? In un celebre discorso nel ’68 Robert Kennedy – poco dopo fu
ucciso - dopo aver elencato una lunga serie di cose che questo indicatore del
benessere non prende in considerazione, concluse dicendo: “il PIL misura tutto,
eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”.