6/9/2013 ● Cultura
Guglionesi tra Cultura e culturame
Entro nel dibattito aperto da Luigi Sorella, Mario Vaccaro ed altri sulla
cultura (mi preme, in questo ambito tentare di caratterizzare quella locale)
con un po' di ritardo, vuoi perché mi aspettavo ulteriori interventi che
arricchissero la complessa e articolata tematica , vuoi perché volgevano a
conclusione le manifestazioni culturali e non , e ciò mi offriva la possibilità
di essere più esaustivo . Peraltro, avrei anche voluto attenermi a
focalizzazioni locali in merito che fossero anche traccia e direttrice su cui
innestare qualche riflessione;vedo che non ve ne sono stati. Provo quindi a
circoscrivere il concetto di cultura evitando le accezioni minimalistiche che
soffrono la facile tendenza alla parzialità poiché la definiscono in negativo ;
ad esempio: devastare l'arredo urbano, imbrattare luoghi pubblici,pisciare nei
posti più o meno ameni di Castellara, sottrarre oggetti e tele di interesse
artistico o archeologico. Ma la mia delimitazione è altrettanto distante dalle
tendenze accademiche che la vogliono "alta" ed elitaria, possibilmente cerebrale
,magari pomposamente derivata e confortata da una formazione universitaria.
Riporto invece il concetto di quello che , a mio parere,dovrebbe intendersi per
cultura nella pratica quotidiana del vivere il nostro territorio (dopo aver ”
filtrato” le molte accezioni possibili ). Così la propongo come :”
l'appropriarsi degli strumenti conoscitivi di qualsiasi tipo e provenienza che”i
saperi” del luogo , nei tempi storici , hanno accumulato e trasmesso attraverso
l'avvicendarsi delle generazioni, per integrarli con quanto d’altro, di meglio e
di nuovo proviene da altri ambienti a cui a rete siamo interconnessi che
nell’insieme fanno” Mondo”. Seguendo tale caratterizzazione operativa , centrata
sull’esserci nel posto in cui si vive abitualmente , confortati dalla materiale
“ probabile-certezza” , giorno dopo giorno, di poter ancora continuare a
guardare il nostro” paese-paesaggio” ,avvolgerlo e percepirlo con i nostri
sensi, così come ad oggi abbiamo fatto fin quasi dalla nascita e, godendo di
quell’incantevole sinestetica aura dei nostri luoghi irripetibile altrove ,
potremo rafforzare la coscienza di viverlo appieno. Viverlo, il nostro ambiente,
provando la confortante sensazione dell’ esserci, qui ed adesso , respirando
l’aria pregna degli umori della nostra buona terra intiepidita ad est
dall’azione calmierante del vicino mare, resa frizzante ad ovest dal freddo
spolvero dei monti lontani . Mirando e rimirando da Castellara o dalle finestre
di casa nostra ( non di windows) l’area vasta intorno : un riposante scorcio del
territorio che appartiene al Comune e, molto di più : “dall’Appennino alle
Diomedee…”avremo anche la tonificante certezza di sentirlo nostro,di
sperimentare, spesso, con nostalgica tenerezza, anche l’ appagante senso di
appartenenza al luogo in cui siamo nati ( io , come tanti “ d’antan” sono nato
in casa ), unitamente alla sensazione di controllarlo e trasformarlo attraverso
le attività che ciascuno di noi ha bisogno di intraprendere per procurarsi il
proprio e spesso anche l’altrui sostentamento. Mi soffermo su questi due ultimi
aspetti : il controllo e la trasformazione del territorio, poiché hanno avuto in
passato ( e dovrebbero a ragione averne di più oggi ) una forte implicazione
nella caratterizzazione della cultura dei luoghi . Inizio la mia riflessione a
partire dal controllo del territorio che non dobbiamo intendere , (purtroppo
viene spontaneo) solo come attività repressiva ( che pure deve esserci)
demandata agli organi istituzionali presenti nella nostra comunità : Vigili
Urbani, la Stazione dei Carabinieri, l’Amministrazione Locale a ciò deputati ;
bensì, dobbiamo intendere il suo controllo come un impegno volto alla
salvaguardia e alla conservazione della memoria del territorio . Allora il
territorio si fa” conoscenza “e genera quella gratificante sicurezza che nel
tempo deve diventare la cultura” identitaria dell’appartenenza” che, ci
auguriamo , a partire dalle persone che abitano Guglionesi possa estendersi,
rafforzandosi, alle loro famiglie ; augurandoci, infine ,che attraverso risorse
economiche dedicate possa permeare tutte le organizzazioni sociali di
consolidata rappresentatività (o di nuova istituzione) che ad oggi strutturano e
danno continuità alla vita sociale del nostro paese. Pertanto,solo richiamando
il principio di responsabilità verso se stessi e verso gli altri si può sperare
che la qualità della vita sul territorio possa, ad un tempo, essere
favorevolmente condizionata dalla qualità dei comportamenti e delle azioni
collettive che ciascuno esterna, tenendo bene a mente che il grado del “vivere
bene ( e felicemente) il territorio “ dipende da quanta cultura civica le
persone, le famiglie e le istituzioni quali la Scuola , la Chiesa ( attraverso
la sua millenaria tradizione morale) sono riusciti ad inculcare attraverso la
loro azione educativa , di catechesi per la formazione di una” coscienza
collettiva di popolo “( e non di una collezione separata di individui) nella
nostra generazione e in quelle che attendono il futuro prossimo venturo.
Pertanto, riprendendo il concetto iniziale di Cultura si può affermare che è
cultura tutto il” sapere guglionesano” teorico ed esperienziale che ricordiamo a
memoria ,che le famiglie, perché parte del loro ruolo genitoriale e le
istituzioni locali, perché rientrante nel loro compito, hanno saputo accumulare
e trasmettere a quanti oggi vivono sul nostro territorio . Ma la cultura non è
un armamentario , la cassetta degli attrezzi per il mantenimento dello” status
quo” volto a riprodurre in continuità con il passato l’esistente ; non è un
sapere statico, bensì una strumentazione che deve anche trasformare l’ambiente
di vita attraverso il lavoro umano .Pertanto , nel ricercare le antiche
determinanti culturali che hanno accompagnato la storia del nostro paese sin
dalle origini si possono individuare fondamentalmente tre forti matrici
culturali portanti. La prima riguarda la traccia urbanistica ,ancor oggi
sussistente, che ha strutturato Guglionesi ; la seconda è rappresentata dal
territorio circostante il borgo che ha supportato l’economia locale
prevalentemente attraverso l’ agricoltura , l’allevamento , la pastorizia e le
attività di trasformazione locali ad esse complementari ; la terza matrice che
ha formalmente organizzato la cultura guglionesana nel tempo storico è stata
espressa soprattutto dagli ordini religiosi coevi con il delimitarsi del borgo
antico all’interno di mura “certe” , anche perché storicamente il clero ha
significativamente contribuito all’amministrazione del territorio insieme a :
mastrogiurati, sindaci,notai… ugualmente incaricati dell’amministrazione, per
conto delle diverse signorie, dell’ambito territoriale su cui ricadeva
Guglionesi . Partendo dalla prima traccia culturale, quella urbanistica , che è
stata , ed ancora oggi rappresenta, la struttura materiale che ha insediato e
accumulato le nostre generazioni passate nello stesso luogo c’è da ricordare che
,specie in passato, la scelta di un insediamento urbano era quasi sempre legato
a valutazioni strategiche di controllo del territorio . Anche con questo
presupposto venne fondata Guglionesi, arroccata sulla parte alta della collina
che accoglieva in epoca medioevale quasi tutto l’insediamento umano .
Contestualmente, nella scelta fondativa non secondari sono stati favorenti
fattori economici , importanti nel garantire la sopravvivenza della popolazione
residente .Di fatto non si dà insediamento umano se nella mente dei fondatori
non c’è un un’idea forte a cui possa far seguito un processo lungimirante di
medio ,lungo termine di organizzazione e trasformazione del territorio. La
storia guglionesana del dispiegarsi della cultura urbanistica nell’area del
borgo antico la possiamo”leggere”nel modo in cui si è costruito nel tempo ;
nell’organizzazione dei tre assi viari con il loro trasversale dedalo di viuzze
,che spesso si aprono nelle piazzette;strade naturalmente confluenti all’imbocco
di fuoriporta. Ed è proprio questa configurazione strutturale della “pianta” di
Guglionesi, che per averla noi percorsa più volte nel nostro tempo vita
,rappresenta , come una quercia antichissima ,le nostre consolidate radici
culturali . La nostra cultura materiale è scritta nelle facciate delle case che
“affacciano” sulle stesse strade : una volta, tuguri in legno , ( di cui
testimoniano le “ruv” spartifuoco o le coperture a tetto con i coppi poggianti
su un tavolato di legno sorretto da spesse travi di cerro , che diffuse, ancora
oggi permangono nel borgo antico…); poi, abitazioni monofamiliari modeste, case
signorili, case con qualche pretenzioso vezzo architettonico ; case che nella
maggior parte delle famiglie condividevano gli ammezzati con gli animali da
tiro, con i maiali , con il pollame… Ancora oggi c’e viva testimonianza di
questa utilitaristica convivenza tra uomo e animali addomesticati testimoniata
dalle residuali mangiatoie,” pagliere”,e soprattutto dagli anelli fissati al
muro ,vicino alle entrate delle abitazioni per lo stazionamento esterno di
cavalli, asini e muli ( oggi è spesso fonte di litigiosità l’eguale pretesa di
parcheggiare gli attuali” cavalli meccanici :horse power “, ovvero le auto di
proprietà, proprio davanti alla propria casa di proprietà!) Ancora oggi, se pure
ristrutturate, quelle case, conservando grosso modo gli stessi volumi abitativi
del passato, per tanti che da generazioni abitano gli stessi ambienti del centro
storico, quei “vani” rappresentano la continuità delle loro generazioni che lì
sono vissuti, che in quelle stanze li hanno messi al mondo, in quelle stanze
sono morti . Ma l’abitare un luogo, specie in passato , prevedeva anche lo
svolgimento sul posto di lavori artigianali utili per l’attività economica
preminente: l’agricoltura . Pertanto il borgo, vedeva la presenza di officine
per la lavorazione del ferro, del legno , della calce ; di negozi e drogherie,
taverne ,“cantnol” e locali per qualsiasi altro tipo di smercio che potesse
essere funzionale alla più o meno autarchica vita di paese. E’ Cultura il lavoro
che nel nostro territorio specie in passato è stato prevalentemente lavoro
agricolo , le cui pratiche colturali, i cui tempi stagionali si discutevano in
quelle tribù conviviali che erano le famiglie patriarcali di Guglionesi .La
“cultura delle colture” ha pervaso fortemente i primi apprendimenti di chiunque
fosse figlio di contadini poiché alla conoscenza degli attrezzi agricoli, al
porre in atto le buone pratiche di conduzione dei campi, era legato anche il
loro futuro sostentamento. Era la cultura contadina un sapere orale elaborato e
rielaborato a tavola , d’inverno magari sotto il camino, durante le
apparentemente oziose passeggiate tirate a lungo, altalenanti tra Castellara e
Lungomare . Discussioni su indirizzi colturali, tecniche ed espedienti da
mettere in pratica il giorno dopo nei campi di proprietà. E’ cultura l’arte
quasi scomparsa della lavorazione e della forgiatura a caldo del ferro che ,come
in un presepe, trovava la sua rappresentazione vivente nella successione di
botteghe che si snodavano lungo “ i frrar” di cui , ultimi dinastici
rappresentanti ”a mantice” sono stati , i Terzano .Testimone attuale
rappresentativo della lavorazione semì -artigianale “a freddo” del ferro , dei
cui prodotti finiti con creativa inventiva dissemina i più svariati ambienti
pubblici e privati è: “u stantator”. E’ cultura il lavoro nero che le donne (
altro che il velatamente sessista “riprendiamoci le femmine!”) hanno profuso
nella panificazione in casa ; nella lavorazione a caldo, nell’imbottigliamento e
la sterilizzazione dell’”estratto” di pomodoro; nell’insaccare, sempre in casa,
la carne di maiale , dopo la macellazione , che talvolta, crudele, avveniva
nelle pertinenze dell’abitazione, spesso in campagna , poco distante dal posto
in cui l’animale era stato allevato .Processi delle preparazioni alimentari che
solo cinquant’anni fa erano ampiamente diffusi in gran parte delle famiglie
guglionesane. Una cultura famigliare , gelosamente custodita, affidata
all’interno della famiglia , nell’esecutività fine, a chi, per esperienza,
meglio sapeva attendere al compito . Un fare domestico oggi perduto, sottratto
al controllo vigile e interessato di coloro che dei prodotti lavorati ne erano
anche consumatori ;cumulato e riassorbito nei processi di lavorazione
artigianali-semindustriali o industriali standardizzati ; oggi, esternalizzati
dalla finanza privata ,sono diventati segmenti di produzione residuali nelle
famiglie, lasciati agli ultimi attardati testimoni dei saperi delle genuinità di
quelle che un tempo erano le principali “filiere alimentari “ familiari
.L’elenco di ciò che per noi guglionesani è stata una marcata cultura ambientale
potrebbe continuare a lungo, me ne astengo per brevità . Nei tempi storici che
hanno guidato i tempi biologici delle persone, proprio al fine di veicolare i
diversi aspetti culturali della comunità , accumularli e trasmetterli, si è
strutturato quel fondante, pervasivo e potente motore comunicativo’ che è il
nostro dialetto “gujnscian”, l’idioma che ha permesso di rendere intelligibile e
materialmente praticabili le nostre, a volte complesse,lavorazioni applicate
alle materie prime locali . E’ il dialetto , insieme alla struttura urbanistica
ed al lavoro umano dei guglionesani fatto sull’ambiente la terza fondante nostra
matrice culturale . In passato , e in parte continua ancora oggi il dialetto ad
essere, quel fondante e pervasivo denominatore comune : un forte collante
comunitario che ha consentito la più ampia comunicazione sociale orizzontale
possibile , favorendo, spesso con il solo fiato della voce ,la conservazione del
nostro patrimonio culturale locale . Una cultura orale in parte non
riproducibile con uniforme espressività in segni, la cui sterminata ricchezza di
sfumature è stata sintetizzata e grammatizzata nella lingua nazionale : il
nostro italiano-guglionesano”, inevitabilmente infarcito di forzature
dialettali. Il dialetto ,nelle famiglie che non l’hanno smesso, rappresenta l
‘ideale denominatore comune laico che caratterizza l’identità del luogo; un
idioma che per i guglionesani è stata la prima lingua , quella della”
iniziazione , della scuola “genitoriale ; solo dopo questo” imprinting” forte è
venuto” l’asilo dalle suore”o la “scuola materna”; infine , a seguire,la
formalizzazione alfanumerica della scolarizzazione di Stato e, con
l’alfabetizzazione, la solidificazione permanente, scritta delle parole.
Conserviamo,( e menomale!) rispetto alla Babele dei dialetti di Termoli il
nostro guglionesano che dovrebbe avere una forte valenza identitaria e di
coesione sociale ; rappresenta di fatto il dialetto lo strumento linguistico che
fa di individui, nuclei familiari, raggruppamenti potenzialmente isolati un
popolo. Un’altra forte matrice identitaria , coeva con le più antiche dimore di
Guglionesi è la Chiesa , anzi sono le tante chiese che nei secoli attraverso il
continuo succedersi nelle strutture di chierici, monaci e monache ha garantito
l’unione spirituale della comunità .La cultura laica non è sufficiente, in
genere, ad esaurire l’istintivo bisogno di superare la propria finitudine, ma
viene (in genere) calmierata attraverso la fede nel sovrannaturale, così come
con riferimenti spirituali diversi, dai tempi dei tempi, è accaduto nelle
diverse geografie del mondo . La Chiesa è stata nella nostra comunità una
sintesi ottimale di imponenti, intimidenti strutture architettoniche,
perfettamente funzionali a catechizzanti liturgie volte ad educare il popolo
alla nostra tradizione cristiana. Tempi della fede scanditi dall ‘unico
calendario osservato da tutti, credenti e non : il “calendario giuliano” .
Proprio attraverso la sua revisione operata dalla chiesa si è arrivati al
“calendario gregoriano” , che si è rivelato una felice sintesi del calendario
solare astronomico, che ne struttura la periodizzazione e le vite dei santi, dei
martiri , le festività “terribili” che ne umanizzano i giorni. Un tempo la
Chiesa imprimeva e ritmava l’ecumenico respiro profondo della comunità
guglionesana riunita nelle chiese e, l’orologio collegato al campanile si sono
anche qui rivelati una duale ,ottima, sintesi tra sacro e profano . Scandendo ,
l’orologio, con i suoi rintocchi il tempo del territorio secolarizzava le
attività dei suoi abitanti ; suonando a distesa le campane richiamava nelle
chiese i fedeli a continuare il loro cammino di fede . E’ stato in passato
l’azione della Chiesa per la nostra comunità una catechesi totale che ha
parimenti espresso una indirizzante politica culturale che si esplicitava
nella”dottrina”, dando una orientante dirittura morale ed etica alla comunità
partecipante . Una cultura veicolata soprattutto dalla liturgia , che ,fino
all’epoca della riforma , il prete officiava per giunta in latino : una lingua
sconosciuta ai più che diventava una cantilenante poesia interiore da recitare a
memoria , che attraverso il suo significato nascosto impegnava la maggior parte
(in passato,) dei fedeli analfabeti nell’invenzione di misteriose
significazioni. Una liturgia che tuttavia aveva il suo cuore moraleggiante
nell’omelia , spesso una esegesi dei Testamenti da cui trarre imbonenti , spesso
colpevolizzanti, regole morali di vita comunitaria . Di fatto la Chiesa , più di
altre istituzioni da tempi remoti ha lasciato tracce documentali e materiali
certe del nostro passato. . Queste , fin qui delineate , che grosso modo
possiamo, a ragione, ritenere essere le nostre antiche radici culturali, con una
sorprendente progressiva e spiazzante accelerazione, dovuta alla tumultuosa
crescita economica , supportata da un concomitante sviluppo
scientifico-tecnologico; aspetti destabilizzanti per l’antica rassicurante
cultura dei luoghi comportanti sostanziali mutamenti socioculturali che hanno
riorganizzato il vecchio ordine sociale, ma non sono stati in grado, anche per
via della disorientante complessità del nuovo di ricostituirne in continuità uno
nuovo credibile e duraturo. Pertanto, ad iniziare dall’immediato dopoguerra e
soprattutto negli ultimi decenni la manifesta, l’obsoleta ,non più praticabile
cultura del nostro passato, gradualmente, è stata sostituita da un diffuso
“culturame “. Il termine , diversamente da come appare ad una prima lettura ha
solo in coda ( cultura-me) un ‘accezione negativa, un po’ dispregiativa; di
fatto rappresenta un superamento e un significativo riorientamento delle nostre
lontane radici culturali. Infatti ,riprendendo, per complementarietà la matrice
urbanistica che ha dato fondamento materiale al nostro paese si può facilmente
notare come l’altra (ad oggi ,duplicata o forse triplicata …)Guglionesi,
scivolata per prossimità sulla sella o a valle della collina, rappresenti con i
suoi nuovi quartieri , con i suoi palazzoni seriali la nuova cultura abitativa
che identifica e caratterizza dal punto di vista generazionale la nuova
popolazione guglionesana, inevitabilmente commista con la residuale fascia di
popolazione anziana che quella cultura indelebile e per intero porta ancora
scritta nella sua memoria biologica . La Guglionesi di nuova urbanizzazione è un
confuso affastellarsi di costruzioni in cui è difficile rintracciare un’idea
guida unitaria che negli aspetti viari , nelle piazze, (mancanti) , negli spazi
verdi ( nulla di eguagliabile a Castellara”) raccordi con felice sintesi
l’antico con il nuovo. Nel nuovo può esserci scienza e tecnica costruttiva ,
maggiore sicurezza e attenzione all’igiene; manca , di certo, il disinteressato
respiro lungo di un progetto complessivo che vada oltre le generazioni di
tecnici , costruttori e abitanti di oggi ; che possa essere una traccia di
lettura, domani ,del com’eravamo oggi, ed è per questo che la crescita
urbanistica tumultuosa e scomposta di Guglionesi non può dirsi cultura, bensì
culturame.E, venendo ad una seconda complementare matrice culturale
rappresentato dal lavoro svolto dai guglionesani residenti all’interno del
perimetro urbano ,come pure nelle campagne ,dobbiamo prendere atto come lo
stesso sia stato fortemente esternalizzato , trasferito e organizzato e
riorganizzato ex novo nelle fabbriche del nucleo industriale o altrove . E’ il
progresso , è il mercato, è la nuova cultura industriale un necessario segno dei
tempi che viviamo. Resta in paese , a conservare in parte lavorazioni locali
,qualche laboratorio artigianale; troppo poco rispetto alle rosee previsioni di
solo pochi decenni fa che prevedevano l’incremento di poli artigianali mai
decollati. L’altra matrice portante della nostra”guglionesanità”: il dialetto,
che dovrebbe essere il serbatoio più vasto su cui innestare l’Italiano, invece
di essere una marcia in più, per tanti ,rappresenta una retromarcia poiché non
essendo ( noi ) stati in grado di far crescere economicamente il territorio
sviluppando in senso industriale ciò che sapevamo fare meglio, specie in
agricoltura. Questa constatazione ,unitamente a tante altre elencabili hanno
portato all’attuale diaspora dei guglionesani che non trovano lavoro in paese.
Purtroppo, il dialetto in altri ambienti siamo stati costretti a smetterlo ;
anzi, per molti, immigrati guglionesani, talvolta si è fatta fatica per ridurre
al minimo l’inflessione che influenzain altri ambienti l’italiano corrente.
Pertanto , giocoforza,il nostro guglionesano, purtroppo, si avvia a diventare
una lingua morta da smettere. E’ culturame la ricca successione delle diverse
sagre paesane estive ,con ormai consolidato lancio fuori stagione di lasagne e”scruppelle”:
da quelle di lista di” Guglionesi nel cuore” a quella dei Dem, l’una governante
l’altra all’opposizione ; da quella del consumo pubblico del vitello arrosto,
alla notte bianca. Non abbiamo registrato nelle prime due alcuna impronta
politica che desse conto ,nella prima ,dell’azione amministrativa svolta nei
primi cento giorni , nella seconda ,dell’azione oppositiva messa in campo nello
stesso periodo. Salsicciotti, arrosticini , pizze , birre , vino e cocomeri a
go-go… per la gioia delle casse degli organizzatori. Per non parlare del
sacrificio di un animale di grossa taglia qual è un vitello (altamente
diseducativo per i bambini che si accompagnavano alle famigliole) subito esposto
nella pubblica piazza al fuoco lento dell’arrostimento, della rosolatura
e,finalmente… dell’atteso consumo , anche qui innaffiato da pinte di birra e
vino con l’intento di trasformarlo all’incasso nel” vitello d’oro” di biblica
memoria puntando sull’ingorda estemporaneità del popolo banchettante. E’
culturame la notte bianca che espande soprattutto la già attiva costellazione di
esercizi pubblici: bar, rosticcerie…sulle limitrofe strade cittadine
riversandovi : bevande, birra e altre gradazioni alcoliche mixate ad un
ottundente musica invogliante all’ulteriore consumo, finché lo stordimento e lo
sfinimento non mette a letto all’alba centinaia di giovani insonni sonnamboli ,
ritti a stento nel tirare l’alba. E’ culturame la patetica discussione aperta
sulla mancata partecipazione dell’opposizione ai festeggiamenti patronali e
sulla sostenuta partecipazione dei rappresentanti dell’attuale Amministrazione.
Mi vien da dire sconsolato :” S. Adamo, gigante., pensaci tu !”...che da secoli
sei stato eletto a padre protettore di questa rissosa comunità ; pensaci tu a
conciliare le opposte fazioni politiche che riescono a far diventar diatriba
Politica anche uno dei simboli di devozione ancora unitari. Forse che gli
elettori della lista di centro-sinistra ,(grandi assentii eletti e candidati ),
non hanno partecipato, come quelli di centro destra alle liturgie, processioni
ed altre manifestazioni in onore del santo patrono? O ,è solo la stizza per la
mancata accensione del cero votivo e la bardatura tricolore da parte del mancato
sindaco ad aver fatto disertare le manifestazioni in onore di S. Adamo? E, anche
qui sul culturame si potrebbe continuare con tanti altri esempi, ma voglio
chiudere in positivo ricordando anche manifestazioni culturali lodevoli quali
:il Concerto dell’ Assunta, tenutosi in S, Maria Maggiore , il concerto in
piazza di Cinzia Gizz i, la rassegna di film proiettati nottetempo nella
suggestiva piazzetta S, Chiara . Le tracce, come si può evincere da questo mio
lungo scritto ci sono ancora tutte per recuperare e rendere funzionale alla
nostra comunità una cultura che stiamo perdendo e per reinventarne una nuova a
passo con i tempi che possa realmente pacificare Guglionesi, perchè possa
tornare a sentirsi “UN POPOLO”.
Arcangelo Pretore
5 settembre 2013