10/8/2013 ● Cultura
Luoghi comuni
Nel mio personale mo(n)do di vedere le cose, mi piace immaginare il cd.
“luogo comune” quale quel sito virtuale in cui gli interlocutori, che lo evocano
nel corso d’un dialogo, s’incontrano … una sorta di terreno comune, un’oasi
nella quale sostare nell’ambito d’un confronto dialettico in itinere.
Sebbene invisi agli amanti della retorica “in purezza”, i luoghi comuni
assolvono ad un’insostituibile funzione a cui spesso gli oratori attingono, per
mettere a proprio agio gli uditori e accattivarsene le simpatie (non è a tale
scopo che B. racconta le sue orrende barzellette?).
Quand’anche gli interlocutori si sfidassero in un dialogo a singolar tenzone,
basterebbe pronunciare un fatidico “non esistono più le mezze stagioni” per
ritrovarsi proiettati in un ambiente simile al dopolavoro, a sgranocchiare
tarallucci davanti ad un buon bicchiere di vino.
Un momento d’aggregazione dialettica … già, povera aggregazione, sempre più di
rado la si vede in giro.
Alle spalle dell’appena citato principe dei luoghi comuni, a seguire in
graduatoria c’è – tra i tanti - un gettonatissimo “non ci sono più valori”: in
questo posto, tuttavia, non mi trovo a mio agio.
D’altronde chissà quante volte ho visto ‘sti valori esibiti da mio padre – che,
tanto per dirne una, tributata l’onorificenza a firma di Pertini, mai ha
sfoggiato e apposto il “cav” davanti al suo nome (che presagisse l’investitura
dei vari Perna e B.?): possibile che siano evaporati in così breve tempo?
Sinceramente non credo possano sparire cose di cui conserviamo memoria d’uomo.
Penso invece che nel nostro confuso mondo – una società con poche idee e per
niente chiare – anche i valori siano confusi nel mucchio, tra tanti
pseudo-valori o comunque roba di secondaria importanza.
Il mio parere, insomma, è che la relativa scala sia sballata e a quei valori una
volta ritenuti fondanti una società non venga tributata l’emerita priorità.
Negli sketch di Crozza/Briatore ricorre un tormentone che sul tema la dice
lunga: dopo aver appurato che un concorrente del suo reality ha condotto la sera
prima la nonna in ospedale, il manager bresciano lo rimprovera poiché nella
scala dei valori la nonna in ospedale sta al 160° posto, tra il marsupio Gucci e
lo stappare un Krug con la sciabola (e se la nonna ha più di 90 anni si scala di
altri 20 posti).
Ad esempio la pietas, arcipelago di sentimenti presente nel nostro animo e di
cui Virgilio - i grandi poeti fanno anche questo - ci rivela l’esistenza, non
s’è dissolta.
La celebre casalinga di Vigevano la evoca quotidianamente, nel corso d’un rito
officiato alla consueta ora dalla Venier o dalla De Filippi, e versa la
lacrimuccia a (tele)comando dopo aver ascoltato le traversie della vita di un
perfetto sconosciuto, magari un figurante … questa sì che è modernità/comodità,
altro che Enea che porta il suo vecchio genitore Anchise in braccio … la signora
ce l’ha in ospizio (ops, casa di riposo) la madre, e per questa niente lacrime,
nessuna pietà.
Sentimenti da consumo, prodotti consoni all’agio e al benessere contemporanei:
la morte e la malattia infatti, con la loro imprevedibilità, sono il retaggio
d’un mondo primitivo … ma non siamo più dei bruti, dunque non si può
improvvisare, occorrendo invece un minimo di organizzazione.
Sempre in tema di esempi, reputo che anche animalisti/ecologisti non abbiano ben
chiare le priorità dei veri problemi da affrontare nell’epoca in cui stiamo
vivendo: da un lato vi sono ancora milioni di uomini che non godono di diritti
umani e/o civili o che comunque non vivono una vita dignitosa (anche nella
propria comunità), ma la moderna sensibilità esige che ci si premuri degli
animali; dall’altro pulci arroganti credono di poter dare consigli sullo stile
di vita al cane che li porta a spasso … un pianeta che ha 2 miliardi di anni un
bel giorno scorreggerà e ci farà fuori tutti, plastica compresa (anzi no, quella
rimarrà a testimonianza del nostro passaggio … chè le razze si estinguono, è un
fatto naturale, e il panda o il fratino e noi stessi dovremmo farcene una
ragione).
Ovviamente ai volontari – che dedicano tempo e impegno - tributo il massimo
rispetto, essendo il vero problema gli Al Gore e chiunque genera falsi
allarmismi (si vedano le ultime emergenze sanitarie pilotate ed infondate) e
stabilisce false priorità, sviando la nostra attenzione, che andrebbe invece
focalizzata sui deretani che meritano d’esser presi a calci: dal “dividi” il
potere si è evoluto verso un “distrai et impera”.
Eppure i valori da seguire, come i problemi da risolvere, sono grosso modo gli
stessi, da sempre. Così la nostra attenzione va rivolta nei confronti dei
consueti pericoli: occorre vigilare affinchè i primi non vengano calpestati e i
secondi risolti anziché aggravati. L’opera di vigilanza va paradossalmente
diretta verso coloro che dichiarano d’agire nel perseguimento di tali nostri
interessi.
A tal riguardo la vicenda della Lega è esemplare: denunciare il contegno della
politica e fare della “questione morale” un cavallo di battaglia per poi porre
in essere gli stessi deplorevoli comportamenti … sostituendo il poi con un prima
si ottiene una proposizione che mi regala l’impressione di respirare aria di
casa.
La mia consueta curva larga termina qui, di fronte all’eccidio dei volatili, che
nelle gabbie in realtà perdono gran parte di tale divino privilegio
dequalificandosi in generici pennuti: morti gli uccelli, w gli uccelli!
Il luogo in cui è avvenuto il “pasticciaccio brutto” lo chiamavamo il
“boschetto” … uso l’imperfetto perché un nome è l’attestato d’esistenza d’una
cosa. Quand’era in vita era un luogo comune – stavolta non figurato ma reale -
d’aggregazione, per gli innamorati che “non ci sono per nessuno” e per giovani
che officiavano un qualche rito – lecito - confrontandosi, conoscendosi meglio,
dunque arricchendosi.
Dopo un’opera di terrazzamento e appositamente panchinato, quel luogo era
diventato per molti un appuntamento quotidiano, un’oasi fisica e spirituale, poi
un bel … ops … brutto giorno, evaporò … anzi sublimò.
Quanti bei discorsi sono stati di recente proferiti sul territorio quale bene
comune, ma nessuno degli attuali paladini all’epoca levò parole di denuncia per
uno spazio verde che diventava meno verde e meno pubblico – aggravando una già
sussistente latitanza di giardini – che un’amministrazione ecchetelodicoafare e
nonimportaquale all’epoca destinò ad altro uso, nel perseguimento di chissà
quale interesse pubblico preponderante rispetto a quello precedentemente
asservito.
Che si volesse tener vivo il primato di paese delle 39 chiese documentato da
Rocchia (se non ricordo male), mutuando il contesto aggregativo? D’altronde su
un altro bar non si sputa mai.