6/7/2013 ● Solitudini d'autore
La Luce
Lumen fidei - La luce della fede (LF) - è la prima enciclica firmata da Papa
Francesco. Suddivisa in quattro capitoli, più un’introduzione e una conclusione,
la Lettera – spiega lo stesso Pontefice – si aggiunge alle Encicliche di
Benedetto XVI sulla carità e sulla speranza e assume il “prezioso lavoro”
compiuto dal Papa emerito, che aveva già “quasi completato” l’enciclica sulla
fede. A questa “prima stesura” ora il Santo Padre Francesco aggiunge “ulteriori
contributi”.
L’introduzione (n. 1-7) della LF illustra le motivazioni poste alla base
del documento: innanzitutto, recuperare il carattere di luce proprio della fede,
capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo, di aiutarlo a distinguere il
bene dal male, in particolare in un’epoca, come quella moderna, in cui il
credere si oppone al cercare e la fede è vista come un’illusione, un salto nel
vuoto che impedisce la libertà dell’uomo. In secondo luogo, la LF – proprio
nell’Anno della fede, a 50 anni dal Concilio Vaticano II, un “Concilio sulla
fede” – vuole rinvigorire la percezione dell’ampiezza degli orizzonti che la
fede apre per confessarla in unità e integrità. La fede, infatti, non è un
presupposto scontato, ma un dono di Dio che va nutrito e rafforzato. “Chi crede,
vede”, scrive il Papa, perché la luce della fede viene da Dio ed è capace di
illuminare tutta l’esistenza dell’uomo: procede dal passato, dalla memoria della
vita di Gesù, ma viene anche dal futuro perché ci schiude grandi orizzonti.
Il primo capitolo (n. 8-22): Abbiamo creduto all’amore (1 Gv 4, 16).
Facendo riferimento alla figura biblica di Abramo, in questo capitolo la fede
viene spiegata come “ascolto” della Parola di Dio, “chiamata” ad uscire dal
proprio io isolato per aprirsi ad una vita nuova e “promessa” del futuro, che
rende possibile la continuità del nostro cammino nel tempo, legandosi così
strettamente alla speranza. La fede è connotata anche dalla “paternità”, perché
il Dio che ci chiama non è un Dio estraneo, ma è Dio Padre, la sorgente di bontà
che è all’origine di tutto e che sostiene tutto. Nella storia di Israele,
all’opposto della fede c’è l’idolatria, che disperde l’uomo nella molteplicità
dei suoi desideri e lo “disintegra nei mille istanti della sua storia”,
negandogli di attendere il tempo della promessa. Al contrario, la fede è
affidamento all’amore misericordioso di Dio, che sempre accoglie e perdona, che
raddrizza “le storture della nostra storia”; è disponibilità a lasciarsi
trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio, “è un dono gratuito di Dio
che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi a Lui per vedere il
luminoso cammino dell’incontro fra Dio e gli uomini, la storia della salvezza”
(n.14). E qui sta il “paradosso” della fede: il continuo volgersi al Signore
rende stabile l’uomo, allontanandolo dagli idoli. La LF si sofferma, poi, sulla
figura di Gesù, mediatore che ci apre ad una verità più grande di noi,
manifestazione di quell’amore di Dio che è il fondamento della fede: “nella
contemplazione della morte di Gesù, infatti, la fede si rafforza”, perché Egli
vi rivela il suo amore incrollabile per l’uomo. In quanto risorto, inoltre,
Cristo è “testimone affidabile”, “degno di fede”, attraverso il quale Dio opera
veramente nella storia e ne determina il destino finale. Ma c’è “un aspetto
decisivo” della fede in Gesù: “la partecipazione al suo modo di vedere”. La
fede, infatti, non solo guarda a Gesù, ma guarda anche dal punto di vista di
Gesù, con i suoi occhi. Usando un’analogia, il Papa spiega che come nella vita
quotidiana ci affidiamo a “persone che conoscono le cose meglio di noi” –
l’architetto, il farmacista, l’avvocato – così per la fede necessitiamo di
qualcuno che sia affidabile ed esperto “nelle cose di Dio” e Gesù è “colui che
ci spiega Dio”. Per questo, crediamo a Gesù quando accettiamo la sua Parola, e
crediamo in Gesù quando Lo accogliamo nella nostra vita e ci affidiamo a Lui. La
sua incarnazione, infatti, fa sì che la fede non ci separi dalla realtà, ma ci
aiuti a coglierne il significato più profondo. Grazie alla fede, l’uomo si
salva, perché si apre a un Amore che lo precede e lo trasforma dall’interno. E
questa è l’azione propria dello Spirito Santo: “Il cristiano può avere gli occhi
di Gesù, i suoi sentimenti, la sua disposizione filiale, perché viene reso
partecipe del suo Amore, che è lo Spirito” (n. 21). Fuori dalla presenza dello
Spirito, è impossibile confessare il Signore. Perciò “l’esistenza credente
diventa esistenza ecclesiale”, perché la fede si confessa all’interno del corpo
della Chiesa, come “comunione concreta dei credenti”. I cristiani sono “uno”
senza perdere la loro individualità e nel servizio agli altri ognuno guadagna il
proprio essere. Perciò “la fede non è un fatto privato, una concezione
individualistica, un’opinione soggettiva”, ma nasce dall’ascolto ed è destinata
a pronunciarsi e a diventare annuncio.
Il secondo capitolo (n. 23-36): Se non crederete, non comprenderete (Is
7,9). Il Papa dimostra lo stretto legame tra fede e verità, la verità affidabile
di Dio, la sua presenza fedele nella storia. “La fede senza verità non salva –
scrive il Papa – Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di
felicità”. Ed oggi, data “la crisi di verità in cui viviamo”, è più che mai
necessario richiamare questo legame, perché la cultura contemporanea tende ad
accettare solo la verità della tecnologia, ciò che l’uomo riesce a costruire e
misurare con la scienza e che è “vero perché funziona”, oppure le verità del
singolo valide solo per l’individuo e non a servizio del bene comune. Oggi si
guarda con sospetto alla “verità grande, la verità che spiega l’insieme della
vita personale e sociale”, perché la si associa erroneamente alle verità pretese
dai totalitarismi del XX secolo. Ciò comporta però il “grande oblio del mondo
contemporaneo” che - a vantaggio del relativismo e temendo il fanatismo -
dimentica la domanda sulla verità, sull’origine di tutto, la domanda su Dio. La
LF sottolinea, poi, il legame tra fede e amore, inteso non come “un sentimento
che va e viene”, ma come il grande amore di Dio che ci trasforma interiormente e
ci dona occhi nuovi per vedere la realtà. Se, quindi, la fede è legata alla
verità e all’amore, allora “amore e verità non si possono separare”, perché solo
l’amore vero supera la prova del tempo e diventa fonte di conoscenza. E poiché
la conoscenza della fede nasce dall’amore fedele di Dio, “verità e fedeltà vanno
insieme”. La verità che ci dischiude la fede è una verità incentrata
sull’incontro con Cristo incarnato, il quale, venendo tra noi, ci ha toccato e
donato la sua grazia, trasformando il nostro cuore. A questo punto, il Papa apre
un’ampia riflessione sul “dialogo tra fede e ragione”, sulla verità nel mondo di
oggi, in cui essa viene spesso ridotta ad “autenticità soggettiva”, perché la
verità comune fa paura, viene identificata con l’imposizione intransigente dei
totalitarismi. Invece, se la verità è quella dell’amore di Dio, allora non si
impone con la violenza, non schiaccia il singolo. Per questo, la fede non è
intransigente, il credente non è arrogante. Al contrario, la verità rende umili
e porta alla convivenza ed al rispetto dell’altro. Ne deriva che la fede porta
al dialogo in tutti i campi: in quello della scienza, perché risveglia il senso
critico e allarga gli orizzonti della ragione, invitando a guardare con
meraviglia il Creato; nel confronto interreligioso, in cui il cristianesimo
offre il proprio contributo; nel dialogo con i non credenti che non cessano di
cercare, i quali “cercano di agire come se Dio esistesse”, perché “Dio è
luminoso e può essere trovato anche da coloro che lo cercano con cuore sincero”.
“Chi si mette in cammino per praticare il bene – sottolinea il Papa – si
avvicina già a Dio”. Infine, la LF parla della teologia ed afferma che essa è
impossibile senza la fede, poiché Dio non ne è un semplice “oggetto”, ma è
Soggetto che si fa conoscere. La teologia è partecipazione alla conoscenza che
Dio ha di se stesso; ne consegue che essa deve porsi al servizio della fede dei
cristiani e che il Magistero ecclesiale non è un limite alla libertà teologica,
bensì un suo elemento costitutivo perché esso assicura il contatto con la fonte
originaria, con la Parola di Cristo.
Il terzo capitolo (n. 37- 49): Vi trasmetto quello che ho ricevuto (1 Cor
15,3). Tutto il capitolo è incentrato sull’importanza dell’evangelizzazione: chi
si è aperto all’amore di Dio, non può tenere questo dono per sé, scrive il Papa.
La luce di Gesù brilla sul volto dei cristiani e così si diffonde, si trasmette
nella forma del contatto, come una fiamma che si accende dall’altra, e passa di
generazione in generazione, attraverso la catena ininterrotta dei testimoni
della fede. Ciò comporta il legame tra fede e memoria perché l’amore di Dio
mantiene uniti tutti i tempi e ci rende contemporanei a Gesù. Inoltre, diventa
“impossibile credere da soli”, perché la fede non è “un’opzione individuale”, ma
apre l’io al “noi” ed avviene sempre “all’interno della comunione della Chiesa”.
Per questo, “chi crede non è mai solo”: perché scopre che gli spazi del suo ‘io’
si allargano e generano nuove relazioni che arricchiscono la vita. C’è, però,
“un mezzo speciale” con cui la fede può trasmettersi: sono i Sacramenti, in cui
si comunica “una memoria incarnata”. Il Papa cita innanzitutto il Battesimo –
sia dei bambini sia degli adulti, nella forma del catecumenato - che ci ricorda
che la fede non è opera dell’individuo isolato, un atto che si può compiere da
soli, bensì deve essere ricevuta, in comunione ecclesiale. “Nessuno battezza se
stesso”, spiega la LF. Inoltre, poiché il bambino battezzando non può confessare
la fede da solo, ma deve essere sostenuto dai genitori e dai padrini, ne deriva
“l’importanza della sinergia tra la Chiesa e la famiglia nella trasmissione
della fede”. In secondo luogo, l’Enciclica cita l’Eucaristia, “nutrimento
prezioso della fede”, “atto di memoria, attualizzazione del mistero” e che
“conduce dal mondo visibile verso l’invisibile”, insegnandoci a vedere la
profondità del reale. Il Papa ricorda poi la confessione della fede, il Credo,
in cui il credente non solo confessa la fede, ma si vede coinvolto nella verità
che confessa; la preghiera, il Padre Nostro, con cui il cristiano incomincia a
vedere con gli occhi di Cristo; il Decalogo, inteso non come “un insieme di
precetti negativi”, ma come “insieme di indicazioni concrete” per entrare in
dialogo con Dio, “lasciandosi abbracciare dalla sua misericordia”, “cammino
della gratitudine” verso la pienezza della comunione con Dio. Infine, il Papa
sottolinea che la fede è una perché uno è “il Dio conosciuto e confessato”,
perché si rivolge all’unico Signore, ci dona “l’unità di visione”, ed “è
condivisa da tutta la Chiesa, che è un solo corpo e un solo Spirito”. Dato,
dunque, che la fede è una sola, allora deve essere confessata in tutta la sua
purezza e integrità: “l’unità della fede è l’unità della Chiesa”; togliere
qualcosa alla fede è togliere qualcosa alla verità della comunione. Inoltre,
poiché l’unità della fede è quella di un organismo vivente, essa può assimilare
in sé tutto ciò che trova, dimostrando di essere universale, cattolica, capace
di illuminare e portare alla sua migliore espressione tutto il cosmo e tutta la
storia. Tale unità è garantita dalla successione apostolica.
Il quarto capitolo (n. 50-60): Dio prepara per loro una città (Eb 11,16).
Questo capitolo spiega il legame tra la fede e il bene comune, che porta alla
formazione di un luogo in cui l’uomo può abitare insieme agli altri. La fede,
che nasce dall’amore di Dio, rende saldi i vincoli fra gli uomini e si pone al
servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace. Ecco perché essa
non allontana dal mondo e non è estranea all’impegno concreto dell’uomo
contemporaneo. Anzi: senza l’amore affidabile di Dio, l’unità tra gli uomini
sarebbe fondata solo sull’utilità, sull’interesse o sulla paura. La fede,
invece, coglie il fondamento ultimo dei rapporti umani, il loro destino
definitivo in Dio, e li pone a servizio del bene comune. La fede “è un bene per
tutti, un bene comune”; non serve a costruire unicamente l’aldilà, ma aiuta a
edificare le nostre società, così che camminino verso un futuro di speranza.
L’Enciclica si sofferma, poi, sugli ambiti illuminati dalla fede: innanzitutto,
la famiglia fondata sul matrimonio, inteso come unione stabile tra uomo e donna.
Essa nasce dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza
sessuale e, fondata sull’amore in Cristo, promette “un amore che sia per sempre”
e riconosce l’amore creatore che porta a generare figli. Poi, i giovani: qui il
Papa cita le Giornate Mondiali della Gioventù, in cui i giovani mostrano “la
gioia della fede” e l’impegno a viverla in modo saldo e generoso. “I giovani
hanno il desiderio di una vita grande – scrive il Pontefice –. L’incontro con
Cristo dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per
gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita”. E ancora, in tutti i
rapporti sociali: rendendoci figli di Dio, infatti, la fede dona un nuovo
significato alla fraternità universale tra gli uomini, che non è mera
uguaglianza, bensì esperienza della paternità di Dio, comprensione della dignità
unica della singola persona. Un ulteriore ambito è quello della natura: la fede
ci aiuta a rispettarla, a “trovare modelli di sviluppo che non si basino solo
sull’utilità o sul profitto, ma che considerino il creato come un dono”; ci
insegna ad individuare forme giuste di governo, in cui l’autorità viene da Dio
ed è a servizio del bene comune; ci offre la possibilità del perdono che porta a
superare i conflitti. “Quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i
fondamenti del vivere vengano meno”, scrive il Papa, e se togliamo la fede in
Dio dalle nostre città, perderemo la fiducia tra noi e saremo uniti solo dalla
paura. Per questo che non dobbiamo vergognarci di confessare pubblicamente Dio,
in quanto la fede illumina il vivere sociale. Altro ambito illuminato dalla fede
è quello della sofferenza e della morte: il cristiano sa che la sofferenza non
può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare affidamento alle
mani di Dio che mai ci abbandona e così essere “tappa di crescita della fede”.
All’uomo che soffre Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la
sua presenza che accompagna, che apre un varco di luce nelle tenebre. In questo
senso, la fede è congiunta alla speranza. E qui il Papa lancia un appello: “Non
facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni
e proposte immediate che ci bloccano nel cammino”.
Conclusione (n. 58-60): Beata colei che ha creduto (Lc 1,45). Alla fine
della LF, il Papa invita a guardare a Maria, “icona perfetta” della fede,
perché, in quanto Madre di Gesù, ha concepito “fede e gioia”. A Lei innalza la
sua preghiera il Pontefice affinché aiuti la fede dell’uomo, ci ricordi che chi
crede non è mai solo e ci insegni a guardare con gli occhi di Gesù.
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Ecco l'enciclica “Lumen fidei” «La fede illumina l'esistenza»