4/6/2013 ● Cultura
La politica: impegno o in pegno?
La politica, nella sintesi che ho tentato di operare mediante l’utilizzo di
questa sorta di formula amletica, è una scelta di vita che - nei panni di colui
che l’intraprende - può essere motivata, quanto a bontà di ispirazione, da
intenti di matrice diametralmente opposta.
Ciascuno di noi avrà più volte inteso parlare del “fare politica” in termini
simil-religiosi. Il carattere “mistico” emerge dai riferimenti a percorsi
personali intrapresi al fine di perseguire scopi che trascendono qualsiasi
risvolto di carattere materiale. In palese analogia con la fede religiosa,
taluni parlano del loro impegno politico in termini di vocazione (che l’uso
dell’anglesismo “mission” vada inteso quale evocazione della trascendenza dei
loro scopi?): resta però il mistero su chi sia l’autore della chiamata.
E davvero c’entra la fede – buona o “mala” – quale elemento sulla cui base
operare la netta separazione, semplicistica e convenzionale nella formula da me
proposta, tra i due differenti modi del politico di “spendere” il consenso
ricevuto dagli elettori: dalla buona fede assoluta di colui che si mette a
nostro servizio in risposta ad una chiamata ad opera di non precisate entità
superiori (si va dal richiamo ad un generico senso del dovere a riferimenti
circa un preteso assolvimento di virtù civiche) si passa direttamente
all’estremo polo negativo, rappresentato da coloro che non usano il consenso
ricevuto come spinta motivazionale per adempiere il loro ministero
nell’interesse degli elettori, spendendolo invece come garanzia per esercitare a
fini personali una fetta di potere proporzionale all’entità del consenso stesso.
Questa visione – ripeto – è senz’altro d’impronta manichea. E tuttavia, se nella
realtà non vi sono “unti dal Signore” né politici in cui la malafede è assoluta,
affermare che vi sia una predominanza dei caratteri che contraddistinguono tale
seconda tipologia non è da qualunquisti, significa solo essere realisti.
Nella visione di de Coubertin c’è, a parer mio, un sostrato di realtà con
infarcitura di retorica. Ma a voler utilizzare tutta la retorica di ‘sto mondo,
in politica è importante solo vincere perché vincere fa importanti: al di là
delle dichiarazioni di prammatica, spesso le opposizioni – con l’alibi
dell’impossibilità di poter incidere in concreto nell’amministrazione – si
dimenticano di aver comunque ricevuto tanti attestati di fiducia … e i loro
elettori sembrano aver perso una scommessa. E’ quel che avviene in particolar
modo nelle comunali. In queste recenti, poi, c’è l’ulteriore peculiarità
dell’aver addossato la responsabilità per la sconfitta interamente sul capo del
candidato sindaco. Se ciò risponde ad un giusto criterio di gerarchia delle
responsabilità – oltre ai particolari aspetti d’una candidatura da alcuni
ritenuta “forzata” – ho l’impressione che si stia calcando un po’ troppo la mano
su Bellocchio. La componente passionale della politica toglie lucidità, quindi
serenità di giudizio quando ci si avventura nelle relative analisi (col senno di
poi credo d’avere forse io stesso esagerato nei toni): in questo momento i “te
l’avevo detto”, pur necessari ad una genuina ricostruzione dei fatti, potrebbero
risultare un’inutile accentuazione, togliendo serenità ad un clima che –
stabiliti i rispettivi ruoli di vincitori e vinti – si spera torni al più presto
consono a quello di un dopoguerra, un clima da “ricostruzione”.
Tornando al tema principale, noi cittadini dovremmo attivarci per evitare
potenziali manipolazioni del nostro consenso da parte di politici in malafede,
soprattutto quando l’istituzione è distante e il contatto con gli amministratori
è virtuale (riducendosi al teatrino della politica-spettacolo di cui Vespa è
supremo officiatore). Spesso siamo talmente concentrati sull’obiettivo -
criticare la politica e i suoi attori - da perdere di vista che siamo stati
relegati al ruolo di spettatori passivi anche a causa del nostro contegno. Se
indirizzassimo il nostro sguardo in modo tale da abbracciare il fenomeno della
politica nella sua interezza - riuscissimo insomma a conseguire la cd. “visione
d’insieme” - ci accorgeremmo della nostra latitanza, dell’assenza di coloro che
dovrebbero essere i veri protagonisti.
Questo sentimento di rifiuto della politica è sì causato dal deprecabile
contegno dei suoi attori principali, ma in questa sorta di letargo siamo caduti
scientemente … è la reazione che la società civile ha scelto di porre in essere
per esternare il proprio dissenso: l’indifferenza. In questi anni abbiamo
assistito allo sfascio del mondo politico e, quale manifestazione di dissenso,
non abbiamo saputo far altro che chiuderci a riccio … risultato: stesso PdR e
governo PD-PDL.
Questo significa che la cultura politica di questo Paese (impariamo a
riconoscere le vere cause dei mali che ne costituiscono solo i relativi effetti)
non è al livello della democrazia che vorremmo: un popolo sovrano deve avere le
qualità per meritare tale regale condizione.
Innanzitutto occorre comprendere che la politica non tollera la contumacia:
mondo civile e mondo politico sono strettamente imparentati (nutrire dissapori
può portare a decisioni estreme, ma il vincolo di sangue rimane), sono vasi
comunicanti. Essere cittadino è status con implicazioni politiche: è impossibile
non avere opinioni su qualcuno tra i tanti aspetti della propria esistenza che
subiscono l’influenza del mondo politico.
Legge elettorale, forma di governo, istituti di democrazia diretta … argomenti
importanti, da coltivare, ma sono un falso problema. Anche trascurando le
opportunità che senz’altro deriverebbero da buone regole stabilite per essi, c’è
una componente della democrazia a cui fornire la necessaria forza per risultare
determinante nelle scelte operate dagli amministratori, per formare il cd.
indirizzo politico: l’opinione pubblica.
Latitare, mostrarci indifferenti, è atteggiamento sterile. Il nostro disimpegno
dal ruolo di cittadini, nella veste implicita di soggetti politici, la nostra
passività, è contegno di cui si nutre la politica malsana, su di essa prospera
alimentando le opportunità di parassitaggio.
Il Paradiso in Terra che la cattiva politica sogna è un Paese che regala la più
ampia discrezionalità d’azione, la quasi totale assenza di vincoli per poter
fare impunemente quel cazzo che gli pare. Ciò significa consentire che
l’opinione pubblica – ovvero il pensiero, il giudizio del popolo sovrano su una
data questione – sia edificata ad hoc da giornalisti, opinionisti al soldo del
potere … il ritratto del nostro Paese insomma.
Rispondere alla cattiva politica fregandosene significa contribuire ad
alimentarla.
Coltivare (ndr: è la radice di cultura) un forte impegno civile/sociale si
traduce nell’assegnare precisi paletti entro cui ridurre lo spazio di manovra
della politica attiva. La società civile deve formulare a voce alta quel che
desidera, affinchè le relative istanze vengano recepite nell’indirizzo politico
del governo.
E questa, beninteso, è una critica che parte proprio dall’osservazione di me
stesso, di quel che in questi anni avrei potuto fare e non ho fatto,
dire/denunciare e non ho detto.
D’altronde c’è voluto un giovanotto francese di 96 anni, Stéphane Hessel (morto
a febbraio), con un suo pamphlet divenuto famoso, per denunciare il nostro
immobilismo e esortarci a manifestare attivamente la nostra indignazione … “Indignez-vous!”.
Egli ha vissuto sulla sua pelle le nefaste conseguenze di regimi politici
edificati da mostri che la nostra indifferenza ha partorito: allora Italia e
Germania preferirono una soluzione comoda per reagire a malumore e
insoddisfazione serpeggianti, e scelsero di cavarsi dall’impaccio mettendosi
nelle mani dei salvatori della patria, restando a guardare dalla finestra.
Io voglio pensare – si fa per scherzare - che la nostra scelta di stare a
guardare sia frutto della pura curiosità intellettuale: è da quando la politica
ha imboccato la via della decadenza che continuiamo a ripeterci – alla
Totò/Pasquale – “chissà questi dove vogliono arrivare?”.
Il nonnetto francese – che nient’affatto gli andava di scherzare – ci invitava a
riempire le piazze per far sentire il peso di milioni di cervelli … pensanti.