30/5/2013 ● Caro Direttore
I nomi delle cose
Caro direttore,
dopo quella che m’ero ripromesso sarebbe stata la mia ultima incursione
nell’agone politico, rispondo all’appello del dovere una risposta all’articolo
del Di Tomaso.
Il dovere concerne il fare chiarezza circa i posti che assegniamo alle cose che,
come tessere d’un puzzle, s’incastrano per comporre l’ordinaria realtà.
Non è forse quella l’operazione che si compie quando si scrive? Noi redattori
non facciamo altro che proporre un nostro modo d’interpretare la realtà, di
definirla assegnando un ordine a ciascun frammento della stessa.
Può risultare un compito difficile, soprattutto quando – come nella favola ieri
citata – intervengono forze esterne a impedirci di far combaciare realtà e
verità.
Sebbene siano i veri scrittori – quelli bravi, molto bravi – a possedere il dono
di “dare i nomi alle cose”, noi dilettanti perseguiamo lo stesso scopo, con
modestia e alterna fortuna.
Le considerazioni del Di Tomaso – arrivo al punto – mettono seriamente in
discussione un ordine da me assegnato a certe cose: mi sento come chi apre la
credenza e non trova lo zucchero al suo posto.
Se mia madre mi comandasse di prenderle un po’ di ”Unione democratica”, non
andrei a cercarla nel ripiano ove riponiamo le cose riguardanti il “cambiamento”
(in realtà a questo non dedichiamo un intero ripiano, non sapremmo cosa
metterci), ma in quello dove stipiamo quel che riguarda lo “status quo”
(talmente pieno da aver dovuto creare delle sottocategorie, politica, religione,
società civile ecc…).
Questo saper riporre le cose è facoltà richiestaci, da ultimo, dalla stessa
immondizia.
Essa reclama a gran voce d’esser collocata nel giusto posto perché, a differenza
della propria abitazione dove ognuno segue un criterio personale, oltrepassata
la soglia di casa occorre soddisfare criteri comuni.
In questo blog – dunque non sul suo diario personale – Di Tomaso propone una sua
visione molto differente da quella fornita dalla maggior parte dei redattori,
che hanno censurato l’immobilismo di una sinistra abitata da “organismi
geneticamente politicizzati”.
Come si dice, il mondo è bello perché è vario, e che ognuno lo osservi
indossando le lenti che più gli aggradano. Ma l’allusione ad un voto
condizionato dall’antipatia … con un sotteso riferimento ad un sentimento
irrazionale, che nutriremmo a pelle … non so se Di Tomaso si renda conto, è il
ritratto d’un povero Bellocchio vittima dei pregiudizi dei guglionesani. Gli
amministratori che indebitano il Comune, investendo per una futura raccolta di
frutti che mai avverrà, sarebbero le vittime di noi elettori che di quei debiti
dovremo farci carico: questa non è la consueta evoluzione d’una semplice
frittata girata … lui le fa fare un triplo salto mortale. Di solito ad una certa
distanza le cose si osservano meglio … ma non mi fido del giudizio di chi
spaccia per novità il sindaco di due degli ultimi tre lustri.
La critica gattopardesca passi: l’immobilismo atavico è un tratto peculiare
d’una cultura meridionale che ci appartiene (e non è fattore emerso negli ultimi
cinque anni come il nostro contraddittoriamente asserisce).
Riguardo l’”antipatia viscerale” che nutriremmo nei confronti di Bellocchio e
della famiglia allargata … tradotto brutalmente, caro Direttore, Di Tomaso ci
sta dando dei “coglioni”.
PS: Parla di “porta apertissima a chi voleva partecipare”: Di Tomaso dove fa
residenza, nell’Iperuranio? Il centro ha preso le distanze da loro, Rifondazione
idem: hanno perso a causa del loro atteggiamento di chiusura, non perché hanno
lasciato la porta aperta e gli scemi degli elettori non se ne sono accorti.