29/5/2013 ● Cultura
Il Re è nudo
L’espressione, divenuta famosa, è tratta da una fiaba di Andersen che famosa
lo è un po’ meno.
- Brevemente - narra d’un imperatore la cui proverbiale vanità è da tutto il
popolo conosciuta. E’ un vizio che esterna in particolar modo mediante
l’abbigliamento, su cui è “fissato”. Qualche imbroglione pensa bene di trarne
profitto, spargendo in giro la voce di essere in grado di tessere indumenti così
leggeri da apparire invisibili soltanto a chi è indegno. L’imperatore
commissiona uno di questi vestiti dal particolare tessuto e, non appena
consegnatogli, chiede ai suoi cortigiani di fornirgli un parere. Costoro, non
vedendo alcunché e tuttavia preoccupati d’esser tacciati quali indegni, tessono
le loro lodi del meraviglioso tessuto. Ovviamente lo stesso imperatore non vede
nulla e dissimula il suo apprezzamento. Alla prima occasione indosserà il
vestito, ricevendo gli applausi della folla; solo un bimbo, facendo sfoggio
della sua innocenza, griderà: “Il re è nudo!” … ma la sfilata prosegue come se
nulla fosse accaduto.
In questi ultimi tempi m’è parso più volte d’udire questa frase, pronunciata
dalla redazione o da singoli redattori del blog … ignorati come il bambino. Le
votazioni, invece, hanno fornito un crudele ritratto d’un imperatore in mutande.
Credetemi, non è nella mia indole assestare calci a chi, inciampando, s’è
ritrovato riverso a terra … d’altronde nella favola sono cortigiani e lacché a
fare una figura barbina.
Neppure è mia intenzione avventurarmi in un’analisi politica del voto, tanto più
che l’istantanea scattata da questa redazione ha ritratto la politica locale in
una posa genuina, che molto ci rivela su espressioni e tendenze non espresse
verbalmente, ma presenti nella sottotraccia d’un mondo ancora abitato da alieni,
incapaci di comunicare con noi poveri mortali.
Nel diario della politica guglionesana la foto scattata è rubricata al 27 maggio
… una pagina già sfogliata.
Nella dimensione di noi mortali è un evento già trascorso, in quella in cui “si
puote ciò che si vuole” è considerato un avvenimento da mettere alle proprie
spalle?
Il dilemma, sarò più chiaro, concerne l’eventuale occasione d’interloquire tra
persone civili, in possesso di quelle virtù che la qualificazione data ad
entrambe le liste suggerirebbe quali civiche: il mondo politico la vuole
cogliere?
Dopo aver tracciato già una volta un parallelismo tra sport e politica, vorrei
tracciare nuovamente un confronto tra due mondi che molti aspetti hanno … ehm,
dovrebbero avere in comune (l’agonismo, l’essere gioco di squadra, l’osservanza
di relative regole scritte e non, ecc …).
Nel linguaggio calcistico si ricorre spesso all’uso di metafore – coniate da
innovatori come Brera, Viola, intellettuali prestati alla cronaca sportiva –
quale ad esempio “aprire le ostilità”: è quel che fa un attaccante che,
coadiuvato dalla squadra, imbastisce un’azione pericolosa per gli avversari.
Dunque è un’azione propositiva. Nella politica ad una tale locuzione, anziché
valore di metafora, non potrebbe che assegnarsi un significato letterale.
Non è forse questo il tenore d’una ordinaria campagna elettorale?
Un termine che dovrebbe evocare il clima d’una festa … la festa della politica,
come avviene per la scampagnata, anch’essa periodica e a partecipazione popolare
… ma l’aria non è affatto simile, non è un invito ad unirci ma a dividerci,
nessuno che t’inviti al proprio barbecue per addentare una coscia d’agnello.
La coincidenza dei termini, stavolta letterale, è invece un richiamo a quelle
militari … la campagna d’Africa, di Russia … ché anche in politica di guerra
pare trattarsi.
Un’analogia che prosegue con il ricorso a ricette simili, una su tutte: la
propaganda. Avete presente? Quel piano di comunicazione che prevede l’utilizzo
smodato d’un particolare ingrediente, la retorica. D’una potenza tale che anche
la logica, e con essa la scienza tutta, deve cederle il passo. E’ quella che in
guerra – che non è altro che l’arte della politica applicata in situazioni
estreme – consente ad un picchetto militare di presentarsi a casa d’una donna
per dirle “gioisca, signora, suo figlio è morto per la patria”, oppure di
demonizzare il nemico fino a disumanizzarlo e cavare dall’impaccio delle pastoie
della morale il soldato a cui si comanda d’uccidere un proprio simile … pardon,
dissimile. La propaganda, grazie alla retorica, consente di dissimulare la
realtà al punto di rendere credibile il volo del proverbiale elefante.
Con le dovute distanze – sebbene anche nell’ordinario conflitto politico si è
giunti addirittura a definire antropofagi gli avversari, riferendo di una loro
spiccata predilezione verso la carne dei bambini – sono gli stessi tasti su cui
insiste una certa propaganda politica, quella becera che dipinge l’avversario
come incapace laddove non giunga a definirlo disonesto.
Ho preso la curva larga per arrivare a dire nientepopodimenoche: terminata la
campagna politica, in cui qualcuno ha condotto le ostilità con spirito
nient’affatto sportivo – all’insegna del seiunladro o seipiùladrotu – credo che
sia giunto il momento di consentire al cittadino di assistere a contraddittori
che vertano su un autentico spirito agonistico.
Insomma – userò il dialetto a mò di stampella – perché non dare un taglio con i
soliti confronti al ribasso … alla “chi so’ ghe e chi si tu”, e scegliere un
terreno di scontro/incontro in cui omaggiare chi “l tè chiù long”?
Finita la gita in campagna, fuoriporta – in cui qualcuno ha creduto di poter
ricorrere impunemente all’arte della dissimulazione – possiamo noi cittadini
assistere ad un lavoro propositivo da parte dell’opposizione?
Dopo la recente prova di forza dell’antipolitica, è stato registrato un netto
calo delle percentuali di votanti in tutto il Paese … non avete il sospetto che
i cittadini si siano un po’ rotti le palle del tradizionale modo di fare
politica?
L’ elettorato, a dispetto dei coach dei partiti, ha dimostrato che non occorre
l’imposizione delle relative quote per tributare il giusto valore e – aggiungo
io – il riconoscimento dell’estetica de “la vie en rose”: le quattro donne
presiederanno in consiglio anche quali rappresentanti del buon senso d’un
elettorato che – in Italia accade spesso – ha dato prova d’essere migliore di
tanti suoi sedicenti rappresentanti.
A voler offendere questi ultimi, tacciandoli quali imbonitori, si cade a volte
in equivoco.
L’imbonitore, o ciarlatano, carpisce la buona fede altrui tentando di vendere un
prodotto che descrive quale miracoloso. Si limita a fare false promesse,
inventando qualità che il prodotto che commercializza non possiede … tuttavia
non arriva a screditare il prodotto della concorrenza.
Io, che pur pessimista non ho mai smesso di credere nell’uomo, penso che questi
politici potrebbero regalarci positive sorprese se solo smettessero di reputarci
degli idioti. Ultimamente da parte di noi elettori sono giunti dei chiari
segnali, sta a loro recepirli e mettere a frutto quelle capacità di cui
senz’altro sono in possesso: come gli allenatori delle squadre con una rosa
importante, vorremmo essere messi in difficoltà nell’effettuare la scelta di chi
è il migliore, anziché far giocare i soliti perché i soli capaci … se non è
chiedere troppo.