24/5/2013 ● Cultura
La rana e lo scorpione... ci siete o ci fate?
Questo è l’interrogativo esistenziale che vorrei porre agli interlocutori di
cui ho appena letto le … amenità, definiamole così … in modo politically correct,
come non si sono dimostrati essere i dileggiatori del prof. Pretore (un
consiglio: a voler fare gli stronzi fino in fondo, oltre ad affermare di non
conoscere la persona nei cui confronti ci si è comunque presi la briga di
rispondere, la storpiatura del nome può essere utile ad amplificare l’effetto,
come insegnava il grande Totò … che so, Del Giudice).
Devo ammettere che lo scritto di Marcantonio è un’esibizione di coraggio
intellettuale – un tentativo di difesa dell’indifendibile – a cui tuttavia fa
ombra l’impressione che si ricava dall’analisi del testo: propongo “Prese per il
culo” quale verace denominazione di un’eventuale rubrica che il Direttore
intendesse inaugurare per raccogliere scritti di tale tenore … la butto lì!
Il motivo che mi spinge a scrivere pezzi come questo, a parte il non aver da
fare un beneamato, non ha a che fare strettamente con la politica. Quel che
m’interessa maggiormente è l’approccio – pronti … via col parolone
–epistemologico … è il processo di conoscenza, in questo caso delle intime
pieghe dell’animo umano, che mi seduce.
L’amletico dilemma – esserci o farci – è la forma giocosa che ho scelto per
evidenziare la vera questione da sviscerare. Perché il “nuovo che avanza”
risponde ad una critica dileggiando – niente di nuovo - l’avversario? E, quando
beccati con le dita nel vasetto della marmellata, perché negare l’evidenza?
Detto per inciso, trovo affascinante questa categoria di giustificazioni
dovendosi per esse attingere al proprio patrimonio di creatività, al fine di
architettare una risposta da cui profluvi un quantomeno vago sentore di
sensatezza: nel caso della marmellata, che so … “stavo cercando le chiavi
dell’auto” è risposta a cui accordare fiducia sulla fiducia, come premio alla
creatività.
Forse è la “sociologia della politica” il campo d’indagine dei comportamenti
messi in campo dagli attori della 2° repubblica. La deriva morale a cui abbiamo
assistito nel corso di questa – un ventennio che verrà tristemente ricordato,
sebbene non di pari antonomasia dell’altro – è circostanza che ha destato
meraviglia solo in qualche sprovveduto, che si sarà chiesto: “se la fine della
1° repubblica è stata sancita da una condanna morale (chè di condanne vere e
proprie ben poche sono state sentenziate), la 2° non avrebbe dovuto, della
relativa questione, fare la propria bandiera? C’è un romanzo, reso celebre anche
dal film di Visconti, che contiene una frase divenuta famosa … e a ragione,
rappresentando una formula valida per ogni epoca della storia sociale umana. Il
Principe di Salina – il “Gattopardo” – chiede a Manfredi/Alain Delon perché
vuole partire per schierarsi con i garibaldini, ovvero con coloro che propongono
una rivoluzione sociale contro i privilegi dell’aristocrazia. Facendogli
intendere che il suo contegno solo in apparenza va contro i propri interessi,
egli risponde: “occorre cambiare tutto affinché nulla cambi”. In sole sei parole
è racchiusa la verità su tutte le rivoluzioni scivolate addosso ad una storia
dell’umanità che nei millenni è rimasta immutata. Come diceva Accattone … “damo
soddisfazione ar popolo” … e si continua come prima. Questa è la rivoluzione dei
“volti nuovi”?
Ma cosa rende i politici, beccati a “smarmellare”, tanto spregiudicati da
continuare a farlo senza remore? Questa loro certezza d’impunità, che riguardi
il contegno amministrativo o la censurabile cultura politica messa in campo, da
dove deriva?
Marcantonio asserisce che copiare un programma politico – relegando l’importanza
dello stesso a quella d’una mera formalità – è meno grave del copiare una tesi.
Chi, come lui, la tesi l’ha effettivamente svolta, sa che nella pratica è un
copia-incolla dai libri in bibliografia, consuetudine verso cui i prof non
s’indignano: tra il copiarla direttamente da un collega e il fare di persona
l’operazione di bricolage corre, intellettualmente, una differenza di poco
conto. Che il programma elettorale non debba per forza essere originale
significa sostenere che il nostro paese merita di indossare un vestito
confezionato per altri, senza neppure che lo si adatti alla propria misura …
manco a spenderci un’oretta per rielaborare le frasi e dargli l’apparenza
dell’essere farina del proprio sacco (e sul programma del 2003 stenderei un velo
pietoso)?
Ma quella della componente genetica della passione politica … forse ereditaria,
per giustificare il “nepotismo preventivo” (un’idea moderna, quella d’un
genitore/zio che arriva alla conclusione: “perché candidarmi io e poi trovare la
sistemazione per? … che faccia tutto da solo”) è, oltre che creativa, una
giustificazione che, grazie alla veste pseudo-scientifica, dà l’impressione
d’essere inoppugnabile. Non escludo che un bel giorno, leggendo il giornale,
scoprirò che qualche team di scienziati – quelli autori di improbabili ricerche
per rispondere a quesiti del seguente tenore “fare tante scorregge allunga la
vita?” – annunci la scoperta del gene della passione politica. Fino ad allora
resto della convinzione che i genitori trasmettono il mestiere, ovvero
insegnamenti circa l’esercizio dello stesso, la passione restando qualcosa di
individuale, che attiene alla sfera personale, dunque non trasmissibile nè
replicabile/clonabile.
Ma se le passioni, che attengono all’animo umano, non si ereditano,
qualcos’altro genetico lo è per davvero. Al riguardo mi sovviene una storiella
ascoltata in più film anglosassoni – tra cui “La moglie del soldato” – che
esprime bene ciò che intendo dire.
Una rana, che si accinge a passare da una sponda all’altra di un fiume, è
avvicinata da uno scorpione che le chiede un passaggio. Quella gli risponde che
mai lo farà, temendo il veleno del suo pungiglione; ma lo scorpione imbastisce
un ragionamento ineccepibile: “perché mai dovrei farlo, se ti pungo io affogo!”.
Convinta dalla logica conclusione, la rana si carica in groppa lo scorpione e
inizia la traversata. Mentre sono in acqua, la rana avverte un forte dolore e
capisce che il suo ospite le ha iniettato il veleno e gli fa: “perché lo hai
fatto? … moriremo entrambi”, e quello “lo so, hai ragione, ma non posso farci
nulla, è nella mia natura!”.
Nella natura di qualche politico, che è data dal background culturale di
appartenenza, prenderci per il culo … si può fare. Dileggiare chi ti critica è
di cattivo gusto … ma in politica si può fare. Certo, non è roba da vantarsi, ma
le cattive abitudini sono le più facili a tramandarsi.
Dunque non ci fanno, ci sono.
E ascoltare le giovani leve usare la stessa tecnica del dileggio dell’avversario
utilizzata dai “padri spirituali” è un dato sconfortante. Se il prof rispondesse
al loro scritto commentando “dalle tante letture effettuate nella mia vita ho
appreso dell’uso creativo della punteggiatura, ma il vostro stile è
originalissimo; se dovessi io battezzarlo, questo lavoro di équipe, lo definirei
quale lo stile delle virgolemesseacazzodicane”, credo che si offenderebbero – e
a ragione - per l’aver mosso una critica superficiale, non attinente ai
contenuti. E’ esattamente quello che è stato fatto nei suoi confronti, asserendo
che le sue critiche sono motivate dal non aver trovato chi lo candidasse …
ragazzi, o avete la palla di vetro (che vi permette di conoscere il suo interno
psichico e rilevare le intime implicazioni d’un orgoglio ferito) o non avete
argomenti, una delle due.
365 gg all’anno di impegno politico, tempo dedicato allo studio e, collaborando
in 5, concepire un testo in cui vengono formulati solo insulti … clap! clap! Per
individuare tra loro il futuro assessore alla cultura ci sarà solo l’imbarazzo
della scelta.
Inoltre rispondono ad un’accusa che non è stata mossa nei loro confronti: se i
volti nuovi della sinistra si riducono ai “consanguinei”, la colpa è di chi li
ha preceduti, di chi ha voluto una sinistra dinastica (purtroppo un malcostume
vuole che “le colpe dei padri ricadano …”).
Ma sarebbe fin troppo facile far scontare le colpe solo ad alcuni. Purtroppo, e
credo che il prof. Pretore volesse evidenziare anche questo, ognuno si becca la
classe politica che si merita: dunque giudicare incapaci/impreparati/disonesti i
propri eventuali futuri amministratori, e non essere in grado di proporre valide
alternative, è in fondo ammettere di essere tali noi stessi … incapaci e, per
giunta, senza quel coraggio di cui sono sedicenti possessori … di che cosa, devo
purtroppo ammettere, non mi è ancora chiaro.
In fondo egli ci invita ad indignarci … ed è su questa nostra incapacità che
tanti politici confidano, su di essa costruiscono le loro fortune.
PS: Posso suggerire al prof una risposta da dare a tali provocazioni: un celebre
brocardo latino recita “de minimis non curat praetor”, ovvero “il pretore non si
occupa delle quisquiglie”.
Vi invito, qualora vogliate, ad utilizzare la creatività di cui avete fatto
abbondante mostra, per “riconvertire” a costo zero una struttura rimasta
inutilizzata. Del palazzetto, che analogamente al cinema-teatro ha calamitato le
solite critiche qualunquistiche della popolazione (come se il povero
amministratore, dopo averle fatte costruire, si doveva preoccupare pure delle
spese di gestione … della serie “e che faccio tutto io?”) – se vincete le
elezioni – perché non farne una installazione artistica? Sebbene sia la risorsa
umana più abbondante in circolazione, non c’è nessuno che abbia mai pensato di
erigere un monumento alla stupidità, dedicarle un tributo artistico …
ecchecazzo! Eppure dopo la moda e i prodotti enogastronomici, la politica ci ha
reso famosi nel mondo per quella italiana, è un prodotto D.O.C.G.