16/5/2013 ● Cultura
Realtà, verità e finzione
Siamo portati, d’acchitto, a credere che realtà e verità siano concetti che
vadano a braccetto tra loro. Da sempre, invece, la vita in società – in
particolar modo quella contemporanea, in cui la parvenza, l’abito di un
fatto/comportamento, assume un valore di gran lunga maggiore rispetto al
contenuto – è un continuo altalenarsi tra i due antitetismi (tali solo nel
nostro intelletto, esistendo la finzione solo come scoperta che la realtà non è
sempre come ce la rappresentiamo).
Un autore in particolare ha vagliato questo tema più volte nelle sue opere, e in
maniera magistrale: Luigi Pirandello. E in tutti i suoi aspetti, giacchè su più
versanti la realtà sfugge di mano al nostro intelletto. L’inafferrabilità si
ravvisa già al solo confronto tra la valutazione soggettiva di se stessi e
quella del mondo esterno: per quanti sforzi si facciano al fine di farle
combaciare, l’idea che si ha di se stessi non coincide mai con quella che
oggettivamente gli altri si fanno di te … un tantino frustrante, vero?
Ciò è tuttavia anche conseguenza d’un ulteriore aspetto della scollatura che
viene a crearsi, nella vita sociale, tra realtà e verità. Nel “Berretto a
sonagli” (messo in scena anche da De Filippo, che diede risalto maggiore alla
figura del protagonista) Ciampa, fatto cornuto dal proprio principale, spiega
alla moglie del fedigrafo che siamo usi comportarci come pupi in società,
potendo indossare più maschere a seconda dell’esigenza (“persona” deriva
dall’etrusco: in tale idioma indicava la maschera del personaggio teatrale).
Normalmente carichiamo il nostro cervello, a mò di orologio, mediante la corda
civile: è quella che ci consente, quando ad esempio incontriamo il potente …
persona magari spregevole … di fargli gli ossequi e tributargli la nostra stima.
C’è poi quella “seria”, con cui si dà la corda al cervello prima di dire – a
qualcuno che chiameremo in disparte - la propria verità, fargli un cd.
discorsetto; la “pazza”, invece, la si usa per spiattellare la verità in faccia
a tutti … perché, diciamocelo francamente, a permettersi questo lusso nella
nostra società sono solo i pazzi.
Uscendo dall’ambito di questa sorta di “filosofia esistenziale”, a me interessa
ancor più mettere in evidenza la discrasia che tra i due concetti sussiste a
livello d’informazione. Per non dilungarmi – ergo appesantire il discorso –
procedo subito con un esempio che mi è caro, essendo relativo ad una vicenda
che, da guglionesano, mi ha sempre interessato molto. Di nuovo un grande
letterato siciliano, Leonardo Sciascia (ringrazio l’amico Cantalupo per avermi
prestato il libro), ne “L’affaire Moro” ci fornisce un esempio di come
rappresentazione della realtà e verità possano non coincidere, senza per questo
ricorrere alla bugia. L’informazione sa come porgere una notizia, mediante l’uso
sapiente di parole e/o immagini o l’omissione di esse (il termine
“disinformazione” indica appunto la volontà di fuorviarci manipolando
l’informazione). Per descrivere la vicenda dell’infruttuosità della ricerca di
Moro, si potrebbe scegliere la locuzione “non è stato trovato”. Questa frase
descrive sì la realtà (che si potrebbe definire “cruda” nel senso di asciutta;
nel detto “se ne dicono di cotte e di crude” si svela la seguente pratica: le
notizie vengono “cucinate”, elaborate), ma non ci informa della verità, ovvero:
“non l’hanno voluto trovare”.
Perché questo saggio “fai da te” sull’endiadi realtà-verità? Solo per
ridimensionare il nostro ego. Chi avesse un’alta considerazione di sé è giusto
che sappia – qualora non se ne fosse reso conto da solo – che oltre al sistema
economico/politico anche quello dell’informazione (il più delle volte al
servizio del sistema) ci prende per il culo, oltre ad amici-parenti-conoscenti.
Insomma il nostro culo è –metaforicamente, s’intende – oggetto d’attenzioni da
ogni dove provenienti. Ovviamente – e il lettore arguto sa dove sarei andato a
parare – è la cultura che ci permette di prendere coscienza di ciò e
disattendere gli altrui insani propositi. Una precisazione è d’uopo farla, non
vorrei essere frainteso su questo punto: per cultura non intendo quella
sbandierata dalla sinistra radical-chic, da evve moscia e dentino fuori. E’ a
quella antropologicamente intesa che mi riferisco, dunque non alla produzione di
manufatti artistici/culturali e alla relativa conoscenza “specialistica”: la
cultura che è importante frequentare non è quella “alta”, ma quella che serve
all’uomo d’un dato tempo per vivere con consapevolezza la propria esistenza, con
pienezza di mezzi e opportunità. Per incontrare questa non occorre per forza –
sebbene aiuti – ingerire grosse quantità d’arte/cultura, occorrendo unicamente
sviluppare la propria capacità critica per riuscire ad individuare le giuste
domande da porgere a se stessi.
Ecco qua … pensa pensa, scrivi scrivi, non stavo dimenticando d’assestare la
consueta stoccata alla nostra religione? Anche su questo tema la Chiesa
rappresenta un bersaglio facile per l’essere la sedicente referente terrena
prescelta per plasmare a proprio piacimento quell’inganno dei sensi e,
soprattutto, dell’intelletto, qual è la finzione: sono professionisti della
materia, potendo vantare una bimillenaria esperienza. Senza addentrarci nel
dedalo composto dai numerosi rivoli in cui la religione prorompe per spiegare a
propria convenienza – e a dispetto della scienza (e dello stesso Tommaso
d’Aquino, santo e dottore della Chiesa) – quando ad esempio la vita possa
definirsi tale e riformulare la realtà appropriandosi di invenzioni altrui (ad
esempio la pietas di Virgilio divenuta cristiana; in realtà tutto il
Cristianesimo è un copia/incolla dalla religione egizia), voglio soffermarmi su
un tema che è attuale al periodo dell’anno che stiamo attraversando.
Non so quanti si rendano conto del fatto che festeggiare i Santi sia pratica
lontana anni luce dall’ortodossia cattolica, per una questione di fede e anche
storica. A commento di quanto sto per dire sarei portato a definire la fede
quale cieca … in realtà distoglie lo sguardo su ciò che è in dissonanza ma
conveniente in vista della predicazione del culto e della conversione di nuovi
fedeli.
Riguardo al discorso della fede i Santi (come il celibato dei preti e tante
altre convenienti innovazioni non menzionate nel “Libro”) nulla hanno da
spartire con essa; in aggiunta alla Trinità non c’è spazio per una devozione che
altrimenti monoteista più non sarebbe: la loro adorazione è di fattura pagana e
la Chiesa, che dall’Impero Romano aveva attinto la lezione dell’inclusività del
diverso, nel suo percorso di affermazione come religione vincente ha pensato
bene di assecondare quelle che rappresenterebbero, nella dottrina cristiana,
mere superstizioni (a Cuba, con l’invenzione della Santéria, sono riusciti ad
inglobare una religione animista – dunque politeista – associando un Santo a
ciascuno dei loro Dei).
In questo quadro l’adorazione di San Nicola, un turco le cui spoglie vennero
trafugate nel 1087 da baresi e veneziani nel suo luogo di nascita (Myra),
rappresenta l’esempio più eclatante della vista selettiva della fede … ché solo
la fortuna è cieca per davvero. San Nicola (la cui santità attingerebbe al fatto
d’aver procurato la dote per le tre figlie d’un uomo che stava per avviarle alla
prostituzione – miracolo che potrebbe compiere anche Berlu – da qui le tre
palle) è il santo più adorato al mondo, essendo di riferimento non solo al mondo
ortodosso e ad altre confessioni cristiane, ma celebre anche fuori dal confine
della cristianità (si veda il mito di Santa Klaus alias Babbo Natale); è Patrono
di tantissime città, di cui molte molisane … come il grigio, sta bene su tutto.
Ovviamente attribuisco il dovuto rispetto a chi ne pratica il culto, così come
non lo nego a chi voglia impiccarsi, ma se mi sono preso tanta briga è per un
prurito che, come tale, va assecondato. Una grattata mi basta, ed è la seguente:
con tutta la tradizione di Santi che vantiamo in Italia – e con uno in
particolare, San Francesco, che dopo Gesù è la figura più autentica del
Cristianesimo e al quale io stesso non potrei non essere devoto – c’era bisogno
di adorare con tanta devozione un Santo che i baresi “si sono frecato”? Il Palio
che celebriamo a Guglionesi – che si potrebbe dire “che ca##o c’entra con le
nostre tradizioni” – accusa la stessa assenza di radici del Santo di
riferimento.
Suppongo che a più di qualcuno non piaceranno queste considerazioni: se volete
mandarmi a quel paese, fatemi prima scrivere quel che penso di ecologisti e
animalisti così vi potrete unire in coro.
PS: Mentre scrivo in qualità di appartenente all’”Ordine dei pazzi”, leggo della
faccenda copia/incolla: vorrei far solo notare che il sottoscritto vi aveva
ragguagliato su quanto tenessero in considerazione il programma elettorale … che
sia opera di bricolage oppure commissionato ad uno specialista è solo un
dettaglio. Ah, e rappresenta solo uno dei tanti aspetti in cui
realtà-verità-finzione si intrecciano in maniera inestricabile.