19/4/2013 ● Cultura
Tra le fonti storiche dell'abbazia benedettina delle isole Tremiti
L’abbazia benedettina delle isole Tremiti compare per la prima nelle fonti
storiche nel 1005 e scompare nel 1237. Durante questo lungo periodo, i monaci
seppero guadagnarsi una stima ed un apprezzamento notevoli tra le popolazioni
della costa adriatica dall’Abruzzo meridionale (l’attuale provincia di Chieti)
fino a tutta la Capitanata e al Gargano, comprese le zone molisane. Ciò, come
era uso del tempo, fece sì che nelle loro mani si concentrasse un sempre
maggiore potere economico e politico. Padroni di un cospicuo patrimonio, i
monaci, e quindi in prima linea gli abati, divennero presto protagonisti dei
giochi politici di un’area non solo vasta ma anche strategica, perché collocata
a confine tra possedimenti longobardi - i Longobardi erano una popolazione
barbarica di origini scandinave stanziatasi in Pannonia, l’attuale Ungheria, che
nel 568/69 occupò la quasi totalità dell’Italia centrale e settentrionale e che
nel Mezzogiorno diede vita al longevo Ducato, poi Principato, di Benevento - e
quelli bizantini - che altri non erano che gli eredi di quell’Impero Romano
d’Oriente scampato alle invasioni barbariche che si era andato sempre più
orientalizzando. Ma prima di ripercorrere le principali vicende del cenobio,
occorre ricordare come esso era sorto sul piccolo arcipelago pugliese. Le fonti
principali per ricostruire le vicende del monastero consistono negli atti
notarili con cui le donne e gli uomini del tempo donavano e in qualche caso
vendevano beni di varia natura alla badia. Ebbene, tra quelle carte, nessuna
racconta il momento della fondazione dell’abbazia, né spiega chi fu
l’inspiratore o il patrocinatore dell’iniziativa, né quale fu il luogo dove i
primi religiosi si instaurarono o il tipo di regola monastica che seguivano.
Varie sono state le ipotesi avanzate dagli studiosi, tanto che si potrebbe
parlare, a riguardo della fondazione, di una specie di “questione tremitese”. Al
momento attuale, in seguito anche ad importanti ritrovamenti archeologici
avvenuti negli anni Novanta del Novecento sull’isola di S. Nicola, sembrerebbe
che una prima comunità cristiana si fosse stabilita presso i ruderi di un tempio
pagano e che seguisse un monachesimo di tipo eremitico, di stampo più orientale
che occidentale. Durante l’alto medioevo poi, secondo una fonte cassinese nel IX
secolo, si sarebbero stabiliti sulle isole anche alcuni monaci benedettini
provenienti da Montecassino. Agli inizi dell’anno mille queste due piccole
comunità religiose avrebbero dato vita ad un’unica congregazione che seguiva la
regola di san Benedetto. In realtà si tratta di ipotesi e non possiamo conoscere
in maniera certa come si siano svolti gli eventi. Ciò che sappiamo di certo dai
documenti notarili relativi al monastero è che nel 1005 era presente
sull’arcipelago una comunità benedettina con a capo l’abate Roccio intitolata a
S. Giacomo, a cui anni dopo si unì l’intitolazione a S. Maria.
In questi primi decenni dell’XI secolo i religiosi tremitesi si diedero molto da
fare e riuscirono a conquistarsi la stima e l’apprezzamento della popolazione
ricevendo in donazione numerosi beni. Questi erano localizzati nella parte più
meridionale dell’attuale provincia di Chieti, tra i fiumi Sangro e Sinello in
particolare, nei “circondari” (allora detti comitati) di Termoli e Larino, in
tutta la vallata del fiume Fortore, dove fiorivano allora importanti città,
nonché lungo tutto il promontorio garganico, sia sul versante settentrionale che
su quello meridionale, fino addirittura ad arrivare a Barletta e a Trani. I beni
che venivano donati erano appunto di varia natura: in primo luogo, ovviamente,
la terra, su cui erano pure impiantati vigne e frutteti. Per far comprendere
quanto potesse essere esteso il patrimonio della badia, basti ricordare che nel
giugno del 1041 un certo Adalberto, ricco possidente abruzzese, dona, con un
solo atto ed in un solo giorno, circa 8.000 moggi di terreno, che equivarrebbero
a quasi 3.000 ettari di oggi. In questi atti, poi, si parla di porti, mulini,
saline, boschi e castelli, in grado di far guadagnare grosse rendite
all’abbazia. Dai porti si esigevano i dazi sia per l’entrata che per l’uscita
delle merci, mentre dai mulini ad acqua costruiti sui fiumi - i corsi d’acqua
avevano allora un regime idrico molto più abbondante di oggi - si ricavava una
percentuale sulla macinazione dei cereali, e grazie a queste macchine si
compivano anche alcune fasi della lavorazione della lana e del lino. Dalle
saline, invece, si estraeva il sale, fondamentale per la conservazione dei cibi
in un’epoca priva di frigoriferi; e dai boschi si ricavava il legname,
utilizzato per il riscaldamento, la cottura dei cibi e le attività
manifatturiere e siderurgiche, ed un tributo, detto ghiandatico, pagato dagli
allevatori per farci pascolare i maiali. Infine i castelli permettevano di
esercitare un certo controllo sia sugli abitanti che vi vivevano all’interno o
nei suoi pressi che sulle vie di comunicazione. Il medioevo, difatti,
contrariamente a quanto spesso indicato nei libri di Storia, non è stata
un’epoca statica, bensì una molto operosa. L’abbazia, poi, non si limitava a
possedere i beni che le venivano offerti; essa si adoperò per la costruzione o
ristrutturazione di porti, per l’edificazione di nuovi mulini e soprattutto per
la fortificazione di villaggi che diventavano appunto castelli. Si può ben
immaginare quale impatto avessero le attività del monastero sul territorio. Dopo
secoli di difficoltà, di attacchi saraceni e ungari e di scorribande di pirati
dal mare, che a partire dall’ultimo periodo imperiale romano avevano enormemente
depauperato questi territori rendendoli quasi spopolati, i primi secoli dopo il
Mille furono di vera e propria rinascita, e l’abbazia tremitese diede un grosso
contributo alle nostre zone, venendo “ripagata” dalla popolazione, per la sua
operosità, con ulteriori donazioni. Inoltre il monastero delle Tremiti si
ritrovò in possesso di città, di villaggi e soprattutto di chiese. Queste ultime
possedevano, a loro volta, dei patrimoni non soltanto consistenti in terre e
quant’altro, ma anche in ornamenti ecclesiastici, oggetti sacri, addirittura in
attrezzi agricoli del tempo e soprattutto in libri. In un inventario della fine
del XII secolo, ma i libri erano certamente giunti prima, che elenca le opere
presenti nella biblioteca tremitese, vengono annoverati testi omerici e di altri
autori classici come Cicerone, Sallustio, Ovidio e Terenzio, testi patristici
come quelli di sant’Agostino e sant’Ambrogio, altri di autori del primo medioevo
che ebbero grande fortuna come Gregorio Magno, Isidoro di Siviglia e il
venerabile Beda, ovviamente libri biblici e poi testi di Medicina,
Giurisprudenza e Musica. Questo grosso e variegato patrimonio, in continuo
aumento nella prima metà dell’XI secolo, permise ai monaci tremitesi di
costruire a novo fundamine, cioè da nuove fondamenta, la chiesa intorno alla
quale essi si raccoglievano. Nel febbraio del 1045, l’allora abate Alberico ed i
suoi confratelli chiamano il vescovo di Dragonara (città oggi scomparsa che si
trovava a sud del Fortore, nei pressi dell’attuale S. Paolo Civitate in
provincia di Foggia) e gli fanno consacrare la nuova basilica. La chiesa di S.
Maria a mare, ancora oggi visitabile sull’isola di S. Nicola, mantiene lo stesso
assetto di allora: l’impianto a tre navate e soprattutto il bellissimo mosaico
pavimentale. Su questo capolavoro degli inizi dell’XI secolo gli studiosi di
Storia dell’Arte hanno aperto un altro dibattito, chiedendosi se si tratti di un
manufatto opera di professionisti orientali o piuttosto un prodotto della
tradizione artigianale pugliese. Proprio la bellezza di questo mosaico ci fa
comprendere quanto il monastero tremitese si fosse affermato e arricchito in
quegli anni.
L’influenza dei Tremitesi non si limitava al solo aspetto economico. L’abbazia
svolse un’importante opera pastorale sul territorio, garantendo, con una fitta
rete di chiese e piccoli monasteri, una stabile cura d’anime. In più, con la
presenza di alcuni monaci in loco detti “preposti”, era anche facilitato il
contatto umano con la popolazione: da vari atti viene fuori come questi preposti
stringessero legami di amicizia con i possidenti locali e come usassero
frequentare con assiduità le loro case. L’importanza di Tremiti come luogo
spirituale andava però ben aldilà dei territori di sua diretta dipendenza e
attività, compresi appunto tra l’Abruzzo meridionale e la Capitanata. In un
privilegio di papa Gregorio VII del 1073 veniva infatti detto che la famosa vita
religiosa delle Tremiti riecheggiava presso la Sede Apostolica ed in tutte le
parti della Puglia, ed anche il vescovo Eimerado di Dragonara, che aveva
consacrato la nuova basilica nel febbraio 1045, aveva talmente apprezzato la
compagnia dei monaci tremitesi da augurarsi di poter terminare sulle isole i
suoi giorni. Nel 1023, poi, il monaco tremitese Pietro, originario di Ragusa
(odierna Dubrovnik, in Croazia), si reca nella sua città natale per una visita e
lì, al momento della ripartenza, accoglie la richiesta di molti suoi
concittadini di dar vita ad una comunità religiosa, figlia quindi di quella
tremitese, sull’isola di Lacroma. Infine, negli anni ’50 dell’XI secolo, il
monastero tremitese, la cui fama si era appunto notevolmente diffusa, riceve
personaggi di primo piano della Chiesa del tempo. Nel 1054 vi si stabilisce per
un periodo Federico di Lorena, divenuto poco dopo abate di Montecassino e nel
1057 papa con il nome di Stefano IX, mentre, tra fine del 1052 e l’inizio del
1053, esso aveva ospitato il nobile monaco beneventano Desiderio, che nel 1058
diventerà abate di Montecassino e nel 1086 papa con il nome di Vittore III.
Proprio quest’ultima permanenza fu forse all’origine di un avvenimento che
risultò nevralgico per la storia tremitese e in cui uno dei protagonisti fu
proprio Adamo o, come era detto nelle fonti del tempo che lo ricordano, Adam.
In questa sede si parlerà, quindi, dell’Adam abate, dell’uomo in carne ed ossa
vissuto oramai quasi mille anni fa. Dalle fonti in nostro possesso non si
conosce la data o il luogo di nascita di Adam, né quale fosse la sua famiglia
d’origine. Egli non ha composto opere - oppure, anche se le compose, queste non
ci sono giunte – ed è ricordato soltanto nelle fonti del monastero delle Tremiti
e in un breve passo delle Cronache di Montecassino. La prima comparsa di Adam
(vi era già stato un abate con questo nome nel 1016) risale all’aprile 1051,
quando egli, in qualità di preposto del monastero tremitese, raccoglie in
donazione dai coniugi Gusberto e Biliarda il castello di Veterana, collocato a
circa 1 km da Guglionesi sul versante del fiume Biferno. (...)
Il 23 agosto del 1059, infatti, Adam è a Melfi, in un concilio che avrebbe
cambiato le sorti del Mezzogiorno. Bisogna infatti ricordare che nella prima
metà dell’XI secolo e in quello precedente, l’Italia meridionale era stata
disputata tra i Longobardi ed i Bizantini. Il confine, nelle nostre zone,
correva lungo il Fortore, con i Longobardi a nord ed i Bizantini a sud del
fiume. Durante questa lotta, gli abati tremitesi avevano rivelato una notevole
abilità politica, destreggiandosi tra gli uni e gli altri senza appoggiare in
modo univoco nessuno dei due. Lo scontro continuo condusse nel Sud i Normanni,
una popolazione di origini vichinghe stanziatasi nel X secolo nel nord della
Francia e giunta sul suolo italico intorno all’anno mille come milizia
mercenaria al soldo dell’uno o dell’altro signore. Verso gli anni ’40 dell’XI
secolo, i Normanni avevano però rivelato, con estrema chiarezza, la propria
volontà di conquista territoriale del Mezzogiorno e non soltanto il desiderio di
bottino come era stato sino ad allora. Il Papato si era in un primo momento
opposto alle loro operazioni di conquista, ma nel 1053 l’esercito guidato dal
pontefice Leone IX era stato rovinosamente sconfitto presso Civitate. Nel 1059
la Chiesa, guidata da papa Niccolò II, dopo aver compreso di non poter
sconfiggere questi arditi cavalieri sul campo di battaglia, decise di cambiare
rotta e di allearsi con loro. Il pontefice, accompagnato dai maggiori
rappresentanti della Chiesa del tempo, ed i capi normanni si incontrarono in un
concilio che si tenne a Melfi dal 3 al 25 agosto del 1059.
(...) L’abate di Montecassino Desiderio, che era stato ospite del cenobio
tremitese tra la fine del 1052 e l’inizio del 1053, reclamava quindi la
dipendenza di Tremiti dalla sua abbazia. Desiderio affermava ciò in virtù di
quella presunta filiazione del monastero tremitese da Montecassino risalente al
IX secolo e rammentata solo dalle Cronache cassinesi stesse. Adam riuscì, come
ricorda appunto il suddetto passo, a dimostrare l’infondatezza delle pretese di
Desiderio e quindi a garantire l’indipendenza della propria badia. Il fatto che,
nella scrittura, venga fatto presente che l’abate portò fisicamente con sé i
privilegi, cioè i riconoscimenti ottenuti da papi e imperatori, dimostra che
Adam avesse già avuto sentore del proposito di Desiderio, probabilmente durante
un viaggio che quest’ultimo compì nel marzo 1058 alla volta di Costantinopoli e
lungo il quale, dopo l’imbarco sulle coste abruzzesi, è possibile che egli sia
fermato sull’arcipelago dove era appunto abate Adam. Dopo tale evento, il
cenobio tremitese continuò a vivere indipendente sotto la guida di Adam
(soltanto dal novembre 1064 all’agosto del 1065 compare un altro abate di nome
Urso).
(...) I successori di Adam, tra cui in particolar modo l’abate Ferro,
espressione di quel “partito” intenzionato a ribadire fino alla fine
l’indipendenza tremitese contro le pretese di Montecassino e di cui Adam era
stato il capostipite, seppero tenere testa con successo all’abate cassinese e
salvaguardare l’autonomia del proprio cenobio (...).
Nel periodo benedettino l’abbazia delle Tremiti era stata capace di diventare
una realtà di primo piano per l’epoca e di patrocinare importanti interventi di
recupero per il nostro territorio, martoriato da continui conflitti. In questo
panorama, il lungo abbaziato di Adam era stato quello in cui si raggiunse il
massimo splendore per Tremiti. Egli, grazie alla sua intraprendenza e tenacia,
dimostrate già da quando era preposto presso Guglionesi agli inizi degli anni
’50 dell’XI secolo, aveva gestito con grande attenzione il patrimonio monastico,
aveva curato i rapporti con le famiglie locali e dettato quella linea di
intransigenza nei confronti di Montecassino con cui Tremiti riuscì a
salvaguardare la propria indipendenza.
[Intervento di Erica Morlacchetti al convegno "Sui passi di S. Adamo, maestro di fede", Guglionesi, 17 aprile 2013]
Erica Morlacchetti, "L'abbazia benedettina delle isole Tremiti e i suoi documenti dall'XI al XIII secolo", "TracciAntica" di Palladino Editore, Campobasso, 2012.
Erica Morlacchetti