BLOG FONDATO NEL GIUGNO DEL 2000
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Un viaggio nella cultura non ha alcuna meta: la Bellezza genera sensibilità alla consapevolezza.

Luigi Sorella (blogger).
Nato nel 1968.

Operatore con esperienze professionali (web designer, copywriter, direttore di collana editoriale, videomaker, fotografia digitale professionale, graphic developer), dal 2000 è attivo nel campo dell'innovazione, nella comunicazione, nell'informazione e nella divulgazione (impaginazioni d'arte per libri, cataloghi, opuscoli, allestimenti, grafiche etc.) delle soluzioni digitali, della rete, della stampa, della progettazione multimediale, della programmazione, della gestione web e della video-fotografia. Svolge la sua attività professionale presso la ditta ARS idea studio di Guglionesi.

Come operatore con esperienza professionale e qualificata per la progettazione e la gestione informatica su piattaforme digtiali è in possesso delle certificazioni European Informatics Passport.

Il 10 giugno del 2000 fonda il blog FUORI PORTA WEB, tra i primi blog fondati in Italia (circa 3.200.000 visualizzazioni/letture, cfr link).
Le divulgazioni del blog, a carattere culturale nonché editoriale, sono state riprese e citate da pubblicazioni internazionali.

Ha pubblicato libri di varia saggistica divulgativa, collaborando a numerose iniziative culturali.

"E Luigi svela, così, l'irresistibile follia interiore per l'alma terra dei padri sacra e santa." Vincenzo Di Sabato

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19/4/2013 ● Cultura

Tra le fonti storiche dell'abbazia benedettina delle isole Tremiti


  Erica Morlacchetti ● 2468


L’abbazia benedettina delle isole Tremiti compare per la prima nelle fonti storiche nel 1005 e scompare nel 1237. Durante questo lungo periodo, i monaci seppero guadagnarsi una stima ed un apprezzamento notevoli tra le popolazioni della costa adriatica dall’Abruzzo meridionale (l’attuale provincia di Chieti) fino a tutta la Capitanata e al Gargano, comprese le zone molisane. Ciò, come era uso del tempo, fece sì che nelle loro mani si concentrasse un sempre maggiore potere economico e politico. Padroni di un cospicuo patrimonio, i monaci, e quindi in prima linea gli abati, divennero presto protagonisti dei giochi politici di un’area non solo vasta ma anche strategica, perché collocata a confine tra possedimenti longobardi - i Longobardi erano una popolazione barbarica di origini scandinave stanziatasi in Pannonia, l’attuale Ungheria, che nel 568/69 occupò la quasi totalità dell’Italia centrale e settentrionale e che nel Mezzogiorno diede vita al longevo Ducato, poi Principato, di Benevento - e quelli bizantini - che altri non erano che gli eredi di quell’Impero Romano d’Oriente scampato alle invasioni barbariche che si era andato sempre più orientalizzando. Ma prima di ripercorrere le principali vicende del cenobio, occorre ricordare come esso era sorto sul piccolo arcipelago pugliese. Le fonti principali per ricostruire le vicende del monastero consistono negli atti notarili con cui le donne e gli uomini del tempo donavano e in qualche caso vendevano beni di varia natura alla badia. Ebbene, tra quelle carte, nessuna racconta il momento della fondazione dell’abbazia, né spiega chi fu l’inspiratore o il patrocinatore dell’iniziativa, né quale fu il luogo dove i primi religiosi si instaurarono o il tipo di regola monastica che seguivano.

Varie sono state le ipotesi avanzate dagli studiosi, tanto che si potrebbe parlare, a riguardo della fondazione, di una specie di “questione tremitese”. Al momento attuale, in seguito anche ad importanti ritrovamenti archeologici avvenuti negli anni Novanta del Novecento sull’isola di S. Nicola, sembrerebbe che una prima comunità cristiana si fosse stabilita presso i ruderi di un tempio pagano e che seguisse un monachesimo di tipo eremitico, di stampo più orientale che occidentale. Durante l’alto medioevo poi, secondo una fonte cassinese nel IX secolo, si sarebbero stabiliti sulle isole anche alcuni monaci benedettini provenienti da Montecassino. Agli inizi dell’anno mille queste due piccole comunità religiose avrebbero dato vita ad un’unica congregazione che seguiva la regola di san Benedetto. In realtà si tratta di ipotesi e non possiamo conoscere in maniera certa come si siano svolti gli eventi. Ciò che sappiamo di certo dai documenti notarili relativi al monastero è che nel 1005 era presente sull’arcipelago una comunità benedettina con a capo l’abate Roccio intitolata a S. Giacomo, a cui anni dopo si unì l’intitolazione a S. Maria.

In questi primi decenni dell’XI secolo i religiosi tremitesi si diedero molto da fare e riuscirono a conquistarsi la stima e l’apprezzamento della popolazione ricevendo in donazione numerosi beni. Questi erano localizzati nella parte più meridionale dell’attuale provincia di Chieti, tra i fiumi Sangro e Sinello in particolare, nei “circondari” (allora detti comitati) di Termoli e Larino, in tutta la vallata del fiume Fortore, dove fiorivano allora importanti città, nonché lungo tutto il promontorio garganico, sia sul versante settentrionale che su quello meridionale, fino addirittura ad arrivare a Barletta e a Trani. I beni che venivano donati erano appunto di varia natura: in primo luogo, ovviamente, la terra, su cui erano pure impiantati vigne e frutteti. Per far comprendere quanto potesse essere esteso il patrimonio della badia, basti ricordare che nel giugno del 1041 un certo Adalberto, ricco possidente abruzzese, dona, con un solo atto ed in un solo giorno, circa 8.000 moggi di terreno, che equivarrebbero a quasi 3.000 ettari di oggi. In questi atti, poi, si parla di porti, mulini, saline, boschi e castelli, in grado di far guadagnare grosse rendite all’abbazia. Dai porti si esigevano i dazi sia per l’entrata che per l’uscita delle merci, mentre dai mulini ad acqua costruiti sui fiumi - i corsi d’acqua avevano allora un regime idrico molto più abbondante di oggi - si ricavava una percentuale sulla macinazione dei cereali, e grazie a queste macchine si compivano anche alcune fasi della lavorazione della lana e del lino. Dalle saline, invece, si estraeva il sale, fondamentale per la conservazione dei cibi in un’epoca priva di frigoriferi; e dai boschi si ricavava il legname, utilizzato per il riscaldamento, la cottura dei cibi e le attività manifatturiere e siderurgiche, ed un tributo, detto ghiandatico, pagato dagli allevatori per farci pascolare i maiali. Infine i castelli permettevano di esercitare un certo controllo sia sugli abitanti che vi vivevano all’interno o nei suoi pressi che sulle vie di comunicazione. Il medioevo, difatti, contrariamente a quanto spesso indicato nei libri di Storia, non è stata un’epoca statica, bensì una molto operosa. L’abbazia, poi, non si limitava a possedere i beni che le venivano offerti; essa si adoperò per la costruzione o ristrutturazione di porti, per l’edificazione di nuovi mulini e soprattutto per la fortificazione di villaggi che diventavano appunto castelli. Si può ben immaginare quale impatto avessero le attività del monastero sul territorio. Dopo secoli di difficoltà, di attacchi saraceni e ungari e di scorribande di pirati dal mare, che a partire dall’ultimo periodo imperiale romano avevano enormemente depauperato questi territori rendendoli quasi spopolati, i primi secoli dopo il Mille furono di vera e propria rinascita, e l’abbazia tremitese diede un grosso contributo alle nostre zone, venendo “ripagata” dalla popolazione, per la sua operosità, con ulteriori donazioni. Inoltre il monastero delle Tremiti si ritrovò in possesso di città, di villaggi e soprattutto di chiese. Queste ultime possedevano, a loro volta, dei patrimoni non soltanto consistenti in terre e quant’altro, ma anche in ornamenti ecclesiastici, oggetti sacri, addirittura in attrezzi agricoli del tempo e soprattutto in libri. In un inventario della fine del XII secolo, ma i libri erano certamente giunti prima, che elenca le opere presenti nella biblioteca tremitese, vengono annoverati testi omerici e di altri autori classici come Cicerone, Sallustio, Ovidio e Terenzio, testi patristici come quelli di sant’Agostino e sant’Ambrogio, altri di autori del primo medioevo che ebbero grande fortuna come Gregorio Magno, Isidoro di Siviglia e il venerabile Beda, ovviamente libri biblici e poi testi di Medicina, Giurisprudenza e Musica. Questo grosso e variegato patrimonio, in continuo aumento nella prima metà dell’XI secolo, permise ai monaci tremitesi di costruire a novo fundamine, cioè da nuove fondamenta, la chiesa intorno alla quale essi si raccoglievano. Nel febbraio del 1045, l’allora abate Alberico ed i suoi confratelli chiamano il vescovo di Dragonara (città oggi scomparsa che si trovava a sud del Fortore, nei pressi dell’attuale S. Paolo Civitate in provincia di Foggia) e gli fanno consacrare la nuova basilica. La chiesa di S. Maria a mare, ancora oggi visitabile sull’isola di S. Nicola, mantiene lo stesso assetto di allora: l’impianto a tre navate e soprattutto il bellissimo mosaico pavimentale. Su questo capolavoro degli inizi dell’XI secolo gli studiosi di Storia dell’Arte hanno aperto un altro dibattito, chiedendosi se si tratti di un manufatto opera di professionisti orientali o piuttosto un prodotto della tradizione artigianale pugliese. Proprio la bellezza di questo mosaico ci fa comprendere quanto il monastero tremitese si fosse affermato e arricchito in quegli anni.

L’influenza dei Tremitesi non si limitava al solo aspetto economico. L’abbazia svolse un’importante opera pastorale sul territorio, garantendo, con una fitta rete di chiese e piccoli monasteri, una stabile cura d’anime. In più, con la presenza di alcuni monaci in loco detti “preposti”, era anche facilitato il contatto umano con la popolazione: da vari atti viene fuori come questi preposti stringessero legami di amicizia con i possidenti locali e come usassero frequentare con assiduità le loro case. L’importanza di Tremiti come luogo spirituale andava però ben aldilà dei territori di sua diretta dipendenza e attività, compresi appunto tra l’Abruzzo meridionale e la Capitanata. In un privilegio di papa Gregorio VII del 1073 veniva infatti detto che la famosa vita religiosa delle Tremiti riecheggiava presso la Sede Apostolica ed in tutte le parti della Puglia, ed anche il vescovo Eimerado di Dragonara, che aveva consacrato la nuova basilica nel febbraio 1045, aveva talmente apprezzato la compagnia dei monaci tremitesi da augurarsi di poter terminare sulle isole i suoi giorni. Nel 1023, poi, il monaco tremitese Pietro, originario di Ragusa (odierna Dubrovnik, in Croazia), si reca nella sua città natale per una visita e lì, al momento della ripartenza, accoglie la richiesta di molti suoi concittadini di dar vita ad una comunità religiosa, figlia quindi di quella tremitese, sull’isola di Lacroma. Infine, negli anni ’50 dell’XI secolo, il monastero tremitese, la cui fama si era appunto notevolmente diffusa, riceve personaggi di primo piano della Chiesa del tempo. Nel 1054 vi si stabilisce per un periodo Federico di Lorena, divenuto poco dopo abate di Montecassino e nel 1057 papa con il nome di Stefano IX, mentre, tra fine del 1052 e l’inizio del 1053, esso aveva ospitato il nobile monaco beneventano Desiderio, che nel 1058 diventerà abate di Montecassino e nel 1086 papa con il nome di Vittore III. Proprio quest’ultima permanenza fu forse all’origine di un avvenimento che risultò nevralgico per la storia tremitese e in cui uno dei protagonisti fu proprio Adamo o, come era detto nelle fonti del tempo che lo ricordano, Adam.

In questa sede si parlerà, quindi, dell’Adam abate, dell’uomo in carne ed ossa vissuto oramai quasi mille anni fa. Dalle fonti in nostro possesso non si conosce la data o il luogo di nascita di Adam, né quale fosse la sua famiglia d’origine. Egli non ha composto opere - oppure, anche se le compose, queste non ci sono giunte – ed è ricordato soltanto nelle fonti del monastero delle Tremiti e in un breve passo delle Cronache di Montecassino. La prima comparsa di Adam (vi era già stato un abate con questo nome nel 1016) risale all’aprile 1051, quando egli, in qualità di preposto del monastero tremitese, raccoglie in donazione dai coniugi Gusberto e Biliarda il castello di Veterana, collocato a circa 1 km da Guglionesi sul versante del fiume Biferno. (...)

Il 23 agosto del 1059, infatti, Adam è a Melfi, in un concilio che avrebbe cambiato le sorti del Mezzogiorno. Bisogna infatti ricordare che nella prima metà dell’XI secolo e in quello precedente, l’Italia meridionale era stata disputata tra i Longobardi ed i Bizantini. Il confine, nelle nostre zone, correva lungo il Fortore, con i Longobardi a nord ed i Bizantini a sud del fiume. Durante questa lotta, gli abati tremitesi avevano rivelato una notevole abilità politica, destreggiandosi tra gli uni e gli altri senza appoggiare in modo univoco nessuno dei due. Lo scontro continuo condusse nel Sud i Normanni, una popolazione di origini vichinghe stanziatasi nel X secolo nel nord della Francia e giunta sul suolo italico intorno all’anno mille come milizia mercenaria al soldo dell’uno o dell’altro signore. Verso gli anni ’40 dell’XI secolo, i Normanni avevano però rivelato, con estrema chiarezza, la propria volontà di conquista territoriale del Mezzogiorno e non soltanto il desiderio di bottino come era stato sino ad allora. Il Papato si era in un primo momento opposto alle loro operazioni di conquista, ma nel 1053 l’esercito guidato dal pontefice Leone IX era stato rovinosamente sconfitto presso Civitate. Nel 1059 la Chiesa, guidata da papa Niccolò II, dopo aver compreso di non poter sconfiggere questi arditi cavalieri sul campo di battaglia, decise di cambiare rotta e di allearsi con loro. Il pontefice, accompagnato dai maggiori rappresentanti della Chiesa del tempo, ed i capi normanni si incontrarono in un concilio che si tenne a Melfi dal 3 al 25 agosto del 1059.

(...) L’abate di Montecassino Desiderio, che era stato ospite del cenobio tremitese tra la fine del 1052 e l’inizio del 1053, reclamava quindi la dipendenza di Tremiti dalla sua abbazia. Desiderio affermava ciò in virtù di quella presunta filiazione del monastero tremitese da Montecassino risalente al IX secolo e rammentata solo dalle Cronache cassinesi stesse. Adam riuscì, come ricorda appunto il suddetto passo, a dimostrare l’infondatezza delle pretese di Desiderio e quindi a garantire l’indipendenza della propria badia. Il fatto che, nella scrittura, venga fatto presente che l’abate portò fisicamente con sé i privilegi, cioè i riconoscimenti ottenuti da papi e imperatori, dimostra che Adam avesse già avuto sentore del proposito di Desiderio, probabilmente durante un viaggio che quest’ultimo compì nel marzo 1058 alla volta di Costantinopoli e lungo il quale, dopo l’imbarco sulle coste abruzzesi, è possibile che egli sia fermato sull’arcipelago dove era appunto abate Adam. Dopo tale evento, il cenobio tremitese continuò a vivere indipendente sotto la guida di Adam (soltanto dal novembre 1064 all’agosto del 1065 compare un altro abate di nome Urso).

(...) I successori di Adam, tra cui in particolar modo l’abate Ferro, espressione di quel “partito” intenzionato a ribadire fino alla fine l’indipendenza tremitese contro le pretese di Montecassino e di cui Adam era stato il capostipite, seppero tenere testa con successo all’abate cassinese e salvaguardare l’autonomia del proprio cenobio (...).
Nel periodo benedettino l’abbazia delle Tremiti era stata capace di diventare una realtà di primo piano per l’epoca e di patrocinare importanti interventi di recupero per il nostro territorio, martoriato da continui conflitti. In questo panorama, il lungo abbaziato di Adam era stato quello in cui si raggiunse il massimo splendore per Tremiti. Egli, grazie alla sua intraprendenza e tenacia, dimostrate già da quando era preposto presso Guglionesi agli inizi degli anni ’50 dell’XI secolo, aveva gestito con grande attenzione il patrimonio monastico, aveva curato i rapporti con le famiglie locali e dettato quella linea di intransigenza nei confronti di Montecassino con cui Tremiti riuscì a salvaguardare la propria indipendenza.

[Intervento di Erica Morlacchetti al convegno "Sui passi di S. Adamo, maestro di fede", Guglionesi, 17 aprile 2013]

Erica Morlacchetti, "L'abbazia benedettina delle isole Tremiti e i suoi documenti dall'XI al XIII secolo",  "TracciAntica" di Palladino Editore, Campobasso, 2012.

Erica Morlacchetti

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