19/3/2013 ● Cultura
La lingua stuprata da ogni dove
Vista l’assenza di manifestazioni di solidarietà in favore dei due
concittadini colpiti dall’”avviso di garanzia” notificato dal Di Narzo, me ne
faccio personalmente promotore con quest’inciso. La condotta criminosa dei
suddetti, quand’anche fosse stata realmente perpetrata, non mi sembra aver
compiutamente realizzato gli estremi dello stupro: anziché violentata, la nostra
sig.ra lingua ha tutt’al più ricevuto molestie dai predetti.
Scherzi a parte, penso che se stilassimo un elenco degli abusi di cui siamo
destinatari, a me sembra che ve ne sarebbero di molto più seri nei cui riguardi
dover esternare la propria indignazione. Si potrebbe passare al vaglio tale
denuncia prendendola come un’occasione per sorridere, se non fosse che la
denuncia stessa è meritevole di censura.
Innanzitutto, che bisogno c’era di fare i nomi? Se ciascuno di noi dovesse
meritare la gogna per le proprie debolezze o fragilità varie, dovremmo darci
appuntamento tutti in piazza davanti al ceppo.
Ma a parte la questione del cattivo gusto, a parer mio il nostro compie
un’errata valutazione circa l’obiettivo di una crociata di cui condivido
l’opportunità: metafora permettendo, credo sia utile prendere meglio la mira.
Quando al cinema vidi “Palombella rossa”, nell’assistere alla scena esilarante
dell’intervista mi ritrovai ad immedesimarmi in Apicella che, in una sorta di
delirio parossistico, giunge a schiaffeggiare l’intervistatrice, rea di aver
utilizzato termini come trend positivo, cheap, kitsch e vari luoghi comuni: “chi
parla male, pensa male e vive male”. Per farla breve, se Di Narzo leggesse i
vari articoli presenti nel blog s’imbatterebbe nei veri stupratori della lingua
(ché spesso sono i politici ad utilizzare una specie di “gergale”, per farsi
identificare quali appartenenti ad un certo mondo, e ad esempio piazzano
“mission” laddove “obiettivo” suona meglio, quantomeno in ossequio ad un
atteggiamento autarchico che preferiamo a quello esterofilo … italiani!).
Nella speranza che il Di Narzo non si senta offeso dalle mie opinioni - che tali
restano - la cui forma d’espressione è semplicemente frutto d’una scelta
derivante dalla mia indole un po’ goliardica, credo converrà con me sul fatto
che non si possa ritenere indegno di comunicare i propri pensieri colui che non
ha frequentato spesso i luoghi della grammatica. Qualcosa mi dice che ancor più
del sottoscritto sia a conoscenza delle sperimentazioni linguistiche di autori
nostrani e stranieri riguardanti proprio l’utilizzo non convenzionale della
grammatica, superando l’ortodossia della stessa: certo è una scelta consapevole,
comunque dimostra che è importante quel che lo scrivente vuole comunicare. Senza
contare che mi sono imbattuto in prof. che scrivono “qual è” con l’apostrofo,
insigni giornalisti usano “dove” al posto di “in cui”, “se stesso” con l’accento
… e se frequentasse Facebook? … gli verrebbe voglia di fare il kamikaze per
farsi esplodere con l’intera comunità virtuale.
Nel suo articolo, inoltre, Di Narzo ha scelto stranamente di usare il
superlativo “asprissimo” e l’avverbio superlativo “asperrimamente”: questo suo
esercizio di stile mostra come la grammatica italiana sia materia ostica che
solo in pochi conoscono come lui (a me fu insegnato l’uso della 2°, in uno
Zingarelli del ’41 – ho controllato – addirittura è presente solo la 1°).
A chiusura, diceva vattelappesca (ricordo raramente gli autori delle citazioni)
che la democrazia d’un paese è misurabile dalla qualità delle parole utilizzate
dai cittadini: questo sistema di misura s’aggiunge a tanti altri utili per
misurare la democrazia (… da come vengono trattate le donne, … da come vengono
trattati i bambini, … dalla cultura ecc.) e tutti più o meno forniscono il
medesimo risultato: la nostra non è molto dotata.
Quindi, non si faccia cattivo sangue, è solo il segno dei tempi. Volendo usare
un’altra metafora – quando la rileggerò mi pentirò d’averla scritta - la lingua
è l’abito che scegliamo da far indossare ai pensieri; le parole sono la stoffa,
la grammatica le cuciture e la costruzione della frase il modello che disegniamo
per l’abito. I contenuti che intendiamo esprimere sono ancora più importanti,
come la persona che indossa un bell’abito che, se è un cesso, tale rimane (e se
è un bell’uomo resta bello anche se indossasse uno straccio). La lingua è solo
il veicolo … ho esaurito le metafore.
E’ fatto notorio che l’italiano con cui ci esprimiamo è quello della TV, che non
è frequentata da intellettuali, ma da politici come Gasparri, Scilipoti … non
assistiamo a sfilate d’alta moda, ma a collezioni “made in China”. Noi molisani,
poi, siamo in quella scatola idealmente rappresentati da Biscardi e Di Pietro,
che grandi stilisti non sono.