18/3/2013 ● Cultura
La cultura, il potere e l'ignoranza
Il titolo è un personale tributo a “Il buono, il brutto e il cattivo”
dell’immenso Sergio Leone, il terzo dei capolavori della cd. “trilogia del
dollaro”, in cui il regista ebbe modo, nonostante i modesti budget messi a sua
disposizione, di mostrare agli americani come i western di John Ford fossero
retorici e noiosi. Impartì loro una lezione a 360°, dacché la sua innovazione
riguardò sia lo stile (per i particolari chiedere a Tarantino) che, dato ancor
più interessante, i contenuti: il nostro tratteggiò abilmente la società
americana, operando nel contempo una severa critica a quel modello - pilastro di
quel processo di colonialismo culturale avviato nell’immediato dopoguerra -
tuttora noto come “sogno americano”. Il filo conduttore dei western,
magnificamente trasposto nell’epoca del proibizionismo di “C’era una volta in
America”, è il medesimo: superando la retorica degli opposti cattivo-buono,
vestiti rispettivamente di nero e di bianco, Leone accomunava entrambi i
personaggi nel perseguimento dell’identico scopo, ovvero conseguire il
denaro/potere a costo di ricorrere alla violenza (per i particolari chiedere a
paesi arabi e sudamericani).
“Tutto questo per dire che cosa?” … si chiederà l’interdetto lettore … già, la
morale. Difatti non è un corso di cinema che intendevo inaugurare, non avendo al
riguardo abilitazione alcuna se non quella di fornire uno spunto per una
riflessione: le righe suestese descrivono uno dei tanti esempi in cui la cultura
assolve scopi didascalici o didattici che dir si voglia. Ed infatti il lavoro
artistico di Leone assume un chiaro valore di denuncia, giungendo ad evidenziare
un ulteriore scopo: assegnare alla cultura la posizione di principale
antagonista del potere. L’interdetto di prima si chiederà dove voglio arrivare …
semplice, all’attuale situazione italiana, in cui si è assistito ad un’esplicita
dichiarazione di guerra da parte del potere nei confronti della cultura.
Non so se è evidente a tutti, ma il berlusconismo è sceso in campo tanto contro
la magistratura, quanto contro la cultura. Se la guerra nei confronti della
prima è ancora in corso, il risultato elettorale ultimo è la dimostrazione
lampante che la seconda l’ha stravinta. Per evitare d’essere scurrile,
commenterò usando un’iperbole: nel paese dei pazzi sono i sani di mente a stare
in manicomio. Tra i suoi elettori vi sono molti esponenti della medio-alta
borghesia persuasi che sia un loro interesse votarlo, per continuare a vivere in
quel “Paese dei furbetti” in cui si trovano a meraviglia: i peggiori idioti sono
proprio quelli che si credono furbi non essendolo affatto … giacché se è vero
che col loro denaro potranno ovviare alla fatiscenza dei servizi, ai loro figli
che Paese lasceranno in eredità? Sono, tali scelte, dettate dalla medesima
ignoranza che ispira quei camorristi che avvelenano le stesse terre in cui
vivono (solo i virus si comportano così … vedi Matrix). L’ignoranza qui risiede
nella distorta percezione che gli uni e gli altri mostrano di avere circa la
qualità della vita, che credono essere proporzionale alla quantità di
denaro/potere in loro possesso.
La cultura assurge al ruolo di nemica del potere dacché l’attuazione concreta
della democrazia è direttamente proporzionale al livello culturale dei suoi
cittadini, desumibile dalla qualità dei media. Le élite che detengono il potere
economico si servono di quello politico per accrescere la loro egemonia. Questo
processo implica la sostituzione dei poteri forti al popolo quale destinatario
nel cui interesse si persegue l’azione amministrativa … et voilà, si trasforma
in oligarchia una democrazia rimasta tale solo nelle intenzioni dei costituenti.
Per la riuscita di questo esercizio di illusionismo bisogna indurre nella mente
del popolo uno stato di suggestione, e per tale inganno innanzitutto si fa il
possibile per contrastare lo sviluppo della cultura: tagli alle scuole pubbliche
(e nel contempo si assegnano risorse alle private, cioè le cattoliche – un vaffa
a D’Alema che fu il primo - in barba al “senza oneri per lo Stato” dell’art. 33
Cost.) e alla cultura in generale.
L’ignoranza, che non si misura tanto dal livello d’istruzione scolastica quanto
dall’atteggiamento mentale che si mette in mostra quale approccio alla soluzione
dei problemi, è come la pietra filosofale, ma consegue opposti risultati:
trasforma in merda tutto ciò che tocca. Questo è in prevalenza l’ingrediente di
cui sono fatte TV e stampa, entrambe vassalli dei potenti, la cui funzione è
completare il lavoro di cui sopra, ovvero plasmare la mente dell’italiano medio,
che è un terreno dissodato in cui seminare le idee che si desidera inculcare.
Ed è nel suo incontro/scontro con la diversità che l’ignoranza genera un effetto
deflagrante. Il fattore diversità rappresenta l’autentica cartina di tornasole
capace di evidenziare l’evoluzione culturale d’un popolo, misurabile dal grado
di attitudine a dar vita ad un approccio di apertura verso quanto si palesi
alieno rispetto alla propria cultura (le moderne democrazie si definiscono
pluraliste per la tutela accordata alle minoranze d’ogni sorta). Il terreno più
fertile in cui è possibile attuare un’evoluzione è proprio quello in cui avviene
il confronto e la conseguente sintesi di più culture (l’Italia medievale,
terreno di conquista di popoli provenienti da ogni dove, è stata un esemplare
laboratorio): di certo è il contrasto dinamico e non la staticità/isolamento a
caratterizzare il fattore cultura, consentendo a chi si fa interprete della
stessa di “generare”.
Solo mostrando di essere in possesso di strumenti culturali aggiornati le nuove
generazioni potranno attuare quello sviluppo culturale che le renda adeguate
alle esigenze della contemporaneità, interpreti della stessa, anzi protagoniste
(perseguendo quel destino imposto loro dal nome … nomen omen). Quando al
contrario è l’ignoranza, il vuoto culturale a stare al timone del Paese,
navighiamo nell’incertezza: quel senso di inadeguatezza, che già rappresenta una
costante dei nostri tempi caratterizzati da una brusca accelerazione nel campo
della tecnica, a cui non corrisponde un adeguato sviluppo culturale, finisce per
aggravarsi. La questione dell’adeguatezza in Italia neppure si pone; il nostro
“non è un paese per giovani”, avendo in ogni settore del potere la classe
dirigente più vecchia d’Europa e, riguardo alla politica, resta la pratica
invalsa di farla diventare una carriera fino a superare la soglia pensionabile.
Ed infatti come potremmo essere pronti alle sfide del futuro se non riusciamo a
risolvere vecchie questioni come razzismo, intolleranza, maschilismo ecc., in
cui lasciamo che a guidarci siano ancora i pregiudizi? In un normale processo
dialettico si opera un confronto tra i differenti punti di vista, dalla cui
sintesi emerge un giudizio … ma è operazione che costa fatica, meglio scegliere
un giudizio preformulato da altri, ovvero quei semi di TV e stampa che lasciamo
attecchire, senza verificare se siano piante infestanti quelle che germineranno.
Dunque non riusciamo a fornire adeguate risposte dacché non siamo in grado di
comprendere le relative domande, che sono speculari ad un sistema di valori non
annoverato nel ristretto ambito culturale che i nostri animi sono usi
frequentare. Questa moderna propensione all’ignoranza ha tuttavia una matrice
diversa da quella con cui i nostri avi si sono dovuti confrontare: quell’accesso
alle fonti culturali una volta esclusivo di un’élite di persone, da mezzo secolo
è generalizzato. Anzi, paradossalmente è la replicazione esponenziale delle
fonti a sollevare problemi riguardanti la necessità di possedere una maggiore
capacità critica per condurre corrette analisi e giungere a valide deduzioni. Se
occorre dunque “processare” molti dati, è tuttavia indubbio che soffriamo d’una
pigrizia mentale indotta ed alimentata dal potere, impersonato da “cattivi
maestri” che usano all’uopo un’antica ricetta dei Romani, “panem et circenses”.
L’illusionismo prevede infatti, per la riuscita dell’esercizio, la distrazione
del pubblico: in questo la TV è riuscita egregiamente, considerata la qualità
dei giochi propinatici, via via sempre più scadente. Anche quest’aspetto
fornisce le dimensioni del declino culturale, laddove il grande successo dei
nazional-popolari Fiorello-Zalone non trova corrispondenza alcuna con autori per
palati più fini. Abbiamo geni come Bergonzoni, Ovadia, Luttazzi e Rezza … da
cercare su Youtube! Eppure l’ironia è uno degli strumenti culturali più potenti
a nostra disposizione – di quelli che hanno consentito di autocertificarci
doppiamente sapiens - che ci consente di ridimensionare le miserie della
condizione umana di cui tanto si crucciava Amleto: tal nonsochi la definiva come
“la manifestazione della superiorità dell’uomo su ciò che gli accade”.
Ma è la cultura in generale a farci vivere meglio, oltre naturalmente al denaro:
nella percezione che ne abbiamo, la vita non è che una successione di stati
d’animo indotti dall’alterna fortuna, spesso determinata dalla bontà delle
nostre scelte; la cultura ci consente di compierle con consapevolezza, è un
ausilio per non sbagliare. Fare affidamento su decisioni altrui è indubbiamente
più rilassante ma … “che famo, famo a fidasse?”.