10/3/2003 ● Eventi
Giulio Rivera, 16 marzo 1978: dalla strage di via Fani all'uccisione di Aldo Moro
16 marzo 1978. Sono le nove passate, un commando di brigatisti rossi tende un
agguato in via Mario Fani ad Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana.
L'onorevole sta recandosi a Montecitorio per il dibattito sulla fiducia al
quarto governo Andreotti, il primo con l’aperto sostegno del Pci. L’agguato è
fulmineo.
In pochi istanti i brigatisti uccidono i due carabinieri che sono a bordo
dell’auto di Moro (Domenico Ricci e Oreste Leonardi) e i tre poliziotti
dell'auto di scorta (Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi). Moro
viene caricato a forza su una Fiat 132 blu. Poco dopo, con una telefonata
all’ANSA, le Br rivendicano l'azione.
Alle 10 il Presidente della Camera Pietro Ingrao sospende la seduta. Alle 11,05,
Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale. Manifestazioni si svolgono in
tutta Italia. Alle 12,46 riprendono i lavori alla Camera. Il governo Andreotti
ottiene la fiducia alle 20,35: votano a favore Democristiani, comunisti,
socialisti repubblicani, socialdemocratici, demonazionali e sinistra
indipendente. Contro liberali, missini e demoproletari. Si astengono gli
altoatesini della Volkspartei.
Nella notte anche il Senato vota la fiducia. La ricostruzione di quei
lunghissimi 55 giorni.
18 marzo: Con una telefonata al Messaggero le Br fanno trovare il
''Comunicato n.1'', che contiene la foto di Moro e annuncia l'inizio del suo ''processo''.
19 marzo: Dalla finestra del suo studio, papa Paolo VI lancia il suo
primo appello per la liberazione di Moro.
20 marzo: Durante il processo contro le Br in corso a Torino, il nucleo
storico dell’organizzazione rivendica la responsabilità politica del sequestro.
21 marzo: Il governo vara un decreto antiterrorismo.
23 marzo: Il PCI approva la linea della "non trattativa" con le Brigate
rosse.
25 marzo: A Torino, Roma, Milano e Genova le Br fanno trovare il
"Comunicato n.2": "Il processo continua".
29 marzo: Il "comunicato n. 3" delle Br ha come allegato una copia della
lettera al ministro dell'Interno Francesco Cossiga in cui Moro dice di trovarsi
''sotto un dominio pieno e incontrollato'' e accenna alla possibilità di uno
scambio. I brigatisti scrivono di averla resa nota perché "nulla deve essere
nascosto al popolo".
30 marzo: La direzione DC decide di respingere ogni forma di trattativa.
2 aprile: Nuovo appello, durante l'Angelus, di Paolo VI. Si svolge vicino
a Bologna la famosa quanto incredibile ''seduta spiritica'', alla quale
partecipa Romano Prodi, nel corso della quale emerge il nome "Gradoli". 4
aprile: Arriva il "Comunicato n. 4", con copia della lettera al segretario della
Dc Benigno Zaccagnini.
6 aprile: Le Br fanno pervenire alla moglie di Moro una lettera in cui il
presidente Dc la invita a far pressioni contro la linea della fermezza.
7 aprile: Il quotidiano Il Giorno pubblica una lettera indirizzata da
Eleonora Moro al marito in cui si dissocia dalla "linea dura". Il segretario
della DC Zaccagnini in tv ribadisce: ''nessuno scambio''.
8 aprile: la polizia intercetta una lettera di Moro alla moglie.
10 aprile: Le Br recapitano il ''comunicato n.5'' e una lettera di Moro
al sen. Paolo Emilio Taviani, che contiene forti critiche per il destinatario.
15 aprile: Il ''Comunicato n.6'' annuncia la fine del ''processo
popolare'' e la condanna a morte di Aldo Moro.
17 aprile: Amnesty International offre la sua mediazione. Il segretario
dell'Onu Kurt Waldheim lancia il suo primo appello per la liberaqzione di Moro.
18 aprile: Grazie ad una stranissima infiltrazione d'acqua, viene fatto
scoprire un appartamento in via Gradoli 96 dove le Brigate Rosse hanno allestito
un loro covo. A Roma viene trovato il ''comunicato n.7'' in cui si annuncia
l'avvenuta esecuzione di Moro e l'abbandono del corpo nel Lago della Duchessa.
Il comunicato è falso: a preparalo, in maniera grossolana, è stato probabilmente
Tony Chicchiarelli, un falsario con legami nella ''banda della Magliana''.
20 aprile: Le Br fanno trovare il vero ''Comunicato n.7'' a cui e'
allegata una foto di Moro ritratto con una copia di ''Repubblica'' del 19
aprile. Zaccagnini riceve una lettera in cui Moro lo rimprovera della sua
''intransigenza''.
21 aprile: La direzione della DC ribadisce la ''linea dura'', ma la
famiglia Moro le chiede di accettare le condizioni delle Br. La direzione del
PSI, invece, all'unanimità, si dice favorevole alla trattativa.
22 aprile: Nuovo appello di Paolo VI agli ''uomini delle Brigate rosse''
perché liberino Moro ''senza condizioni''.
24 aprile: Il 'Comunicato n.8' delle Br chiede in cambio della vita di
Moro la liberazione di 13 Br detenuti, tra cui Renato Curcio. Zaccagnini riceve
un'altra lettera di Moro, che chiede funerali senza uomini di Stato e politici.
25 aprile: Nuovo appello di Kurt Waldheim alle Brigate rosse.
29 aprile: Lettere di Moro sono recapitate al presidente della Repubblica
Leone, del Senato Fanfani, della Camera Ingrao, nonché a Craxi, Piccoli,
Pennacchini, Dell' Andro, Andreotti e Tullio Ancora.
30 aprile: Moretti telefona a casa Moro e dice che solo un intervento di
Zaccagnini, immediato e chiarificatore, può salvare la vita del presidente Dc.
2 maggio: Craxi indica a Zaccagnini i nomi di due terroristi ai quali si
potrebbe concedere la grazia per motivi di salute.
5 maggio: Andreotti ripete il ''no alle trattative''. Un'ora dopo arriva
il ''Comunicato n. 9'': ''Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo,
eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro e' stato condannato''. Sarà l’ultimo
comunicato dei sequestratori. Ultima lettera di Moro alla moglie: ''... mi hanno
detto che tra poco mi uccideranno. Cara Norina, ti bacio per l'ultima volta''.
8 maggio: Il presidente del Senato Fanfani viene incaricato di fare un
discorso ''aperto alla trattativa'' durante la direzione DC del 9 maggio.
9 maggio: In via Michelangelo Caetani (a meta' strada tra la sede della
DC e quella del PCI), nel portabagagli di una Renault R4 rossa, viene fatto
trovare il corpo senza vita di Moro. Il presidente democristiano è stato ucciso
poco prima a colpi di pistola da Mario Moretti nel garage di via Montalcini, il
covo usato dai brigatisti come ''prigione del popolo''.