11/3/2013 ● Caro Direttore
I grillini in Parlamento
Caro Direttore,
consentimi di replicare brevemente a Mario Vaccaro, sperando di non annoiare chi
avrà la bontà di leggermi. Dico subito che sono d’accordo sulla opinabilità di
ogni assunto e quindi provo ad argomentare.
Con riguardo alle tipologie di commento al nuovo scenario uscito dall’urna
sembrerebbe prevalere una in particolare. E cioè che le elezioni italiane
sarebbero state una sorta di referendum nazionale sulle politiche economiche
europee. Il successo di Grillo, sommato al recupero di Berlusconi (visti i tempi
della sua campagna elettorale), proverebbe che la maggioranza degli italiani le
ha bocciate. Il malessere che emerge nei messaggi inseriti nel blog di Grillo
pare confermare questa lettura. Con il suo modo urlato, Grillo ha dato voce a un
malessere che, senza radicarsi in forme tradizionali di protesta, è riuscito a
giungere in Parlamento. Ciò evidentemente presta il fianco alle critiche, perché
nelle vecchie forme di partecipazione, quelle di partito, il malessere era
strutturato in progetto politico. Viceversa il grillismo resta un movimento di
protesta senza un chiaro fine, se non quello di estromettere la ‘casta’ fuori
dal Parlamento con proposte differenziate e per certi versi impraticabili, pur
se poste sotto un vago riferimento all’ecologismo.
Tra qualche giorno ci sarà tuttavia una novità, ossia i grillini in Parlamento.
“ E’ vero che sono già alle prese con il governo locale a Parma e in Sicilia
– dice Emilio Diodato, Professore associato di Scienza politica presso
l’Università per Stranieri di Perugia -, ma diverso è l’impegno che li
attende a Roma. Beppe Grillo potrà continuare a giocare il ruolo del profeta
miliardario fuori dal Parlamento, ma i suoi dovranno dare un senso politico alla
loro attività. A questo punto è ai grillini e non a Grillo che gli elettori di 5
stelle guardano. Il leader della coalizione che ha vinto alla Camera, Bersani,
ha bisogno di lavorare con i grillini per ottenere la maggioranza in Senato e
quindi governare. Se i grillini non vorranno collaborare, allora il lavoro di
Bersani sarà tutto in salita, perché se accettasse l’appoggio dei parlamentari
eletti nella coalizione di Berlusconi, allora rischierebbe di fare del suo
Partito democratico uno dei tanti piccoli partiti. Ma se i grillini
collaboreranno, e lo farebbero solo per realizzare il loro programma, allora
proprio la dimostrazione di efficacia farà crescere il grillismo. Sono proprio
questo dilemma e questo logorio a tenere l’Italia con il fiato sospeso”.
Cultura informatica e democrazia diretta, proviamo a fare alcune riflessioni.
1) Consenso sul web corrisponde al consenso nella realtà?
2) Si può fare una rivoluzione attraverso i social network?
3) Si può far politica solo con il web?
Sono tutte domande importanti; più cresce uno strumento di comunicazione, più si
pensa che quello strumento sia destinato a sostituire tutti gli altri, e
contemporaneamente possa andare oltre ciò che è: uno strumento di comunicazione!
Chiunque però ritiene che “la rete sostituisce la politica” è semplicemente uno
che in rete “ci guadagna”, che sta “vendendo se stesso come guru, e
tendenzialmente sta anche “anestetizzando” le persone. In definitiva è un
populista.
Qualunque ‘rivoluzione’, ma anche movimento, petizione, associazione, è
facilitata nella sua capacità organizzativa da quanti più strumenti di
comunicazione e interazione ha a disposizione. Nondimeno la storia insegna che
le rivoluzioni più significative sono state quelle “popolari” in tempi in cui
non c’era la benché minima tecnologia. Ma è impossibile fare una rivoluzione
senza i rivoluzionari. Senza le persone materiali e concrete che ci mettono il
proprio cuore, la propria mente e soprattutto il proprio corpo nelle strade,
nelle piazze, nelle sedi sindacali, di partito, nei posti di lavoro. In questa
convinzione collettiva, di un mondo facile, in cui si fa tutto senza uscire di
casa, senza bisogno di incontrare l’altro, ci convincono che basta twitter per
la rivoluzione, con un consenso in base al numero dei follower, che fare le cose
e cambiare non comporti fatica o sporcarsi le mani. No, dunque, a scorciatoie né
scappatoie. Di certo, questa “filosofia” cyber-omni-comprensiva corre il serio
rischio, alienandoci, gli uni dagli altri, chiudendoci in individualità a
dimensione virtuale, di farci disimparare cose importanti, come l’imparare a
dialogare e confrontarci, ad indignarci, a opporci… a raggiungere accordi, a
formare sodalizi veri. Avere persone vere che rispettino davvero il principio
dell’ “uno vale uno”, nel senso che ogni persona una sola firma… bè, sì, è più
difficile. La stessa associazione viene definita come un qualcosa di distante e
distinto dai partiti “senza organismi direttivi o rappresentativi” e quindi
senza alcun dibattito interno, congressi, discussioni aperte, votazioni su linee
programmatiche ecc. Nulla di tutto questo: il “nuovo” movimento è soggetto solo
al volere di un uomo solo. Decide solo lui. Ovviamente non mancano nei territori
i soliti forum di discussione anche specifica su temi tra i più disparati ma la
base di fondo dell’intervento politico non viene minimamente messa in
discussione da tutto questo. Il bastone di comando appartiene solo alla cerchia
più ristretta di Grillo e questo alla faccia dell’antipartitocrazia più
sfacciata e propagandata degli ultimi anni. Stavolta se Beppe Grillo vuole
giocare deve stare lui alle regole altrui, quelle della democrazia, quelle
scelte (piaccia o non piaccia) da quella istituzione parlamentare che lui
accetta, dal momento che vi candida il proprio movimento.
Rinascimento culturale-politico.
Sì, cultura, una tutela rigorosa del paesaggio e limiti netti alla
cementificazione, talento creativo, più fondi a scuola pubblica e a ricerca.
Dico di più: senza cultura e senza uno Stato sensibile a quei valori non si
possa neanche immaginare una ripresa economica. Che soprattutto oggi è economia
della conoscenza. Il vero nemico della Cultura è il disinteresse nazionale, che
formalmente si esprime nella percentuale di spesa riservata ai Beni culturali.
Concludendo, attenzione al degrado cui può portare l’abbandono della democrazia
e l’infatuazione per il partito del 100 per cento. Di recente sono andato a
vedere qui a Roma il film “Lincoln”. Consiglio a tutti di vederlo. Si
comprenderà forse come la politica non si faccia con sogni e illusioni, ma con
lacrime e sangue, per raggiungere traguardi importanti e durevoli. Come
l’unificazione americana. O come, l’Unione europea. Che qualcuno vorrebbe
abolire con referendum, per tornare all’amata lira.
Cordialmente,
Pietro Di Tomaso