8/3/2013 ● Cultura
Il grillismo e l’illusione della democrazia diretta
<<Il grillismo parlamentare è una contraddizione, di qui gli imbarazzi di
Grillo, perché la sua idea era quella di un grillismo informatico. Cioè, se è
impossibile riunire a legiferare i cittadini su una piazza, si crea la piazza
informatica e mediante Internet in cui tutti parlano con tutti si ricrea l’agorà
ateniese, per cui il Sovrano è “on line”. Ma l’idea non tiene conto del fatto
che gli utenti del Web non sono tutti i cittadini (e per lungo tempo non lo
saranno) per cui le decisioni non vengono prese dal popolo sovrano ma da
un’aristocrazia di blogghisti. Pertanto non avremo mai il popolo in perpetua
assemblea. Questo è l’impasse del grillismo che deve scegliere tra democrazia
parlamentare (che esiste, e che lui ha accettato partecipando alle elezioni) e
agorà, che non esiste più o non ancora. Una democrazia informatica è parsa
esistere nella cosiddetta primavera araba, e ora vediamo chi poi ne ha
approfittato>> (così il professor Umberto Eco).
Oggi la scienza politica riconosce che il ‘partito organizzativo di massa’, nato
nell’Ottocento con il socialismo, ha svolto una funzione pedagogica, di
elaborazione della ‘domanda politica’, di integrazione nelle istituzioni, di
assorbimento dei conflitti e che la democrazia rappresentativa finora non ne ha
potuto fare a meno. “Certo – sottolinea Giancarlo Bosetti, intellettuale
liberaldemocratico – sono valide le ragioni di Roberto Michels, il sociologo
tedesco, secondo il quale la complessità della partecipazione organizzata di
tanta gente impone una tendenza inevitabilmente oligarchica alla struttura,
determina la professionalizzazione dei ruoli dirigenti e finisce per consentire
la manipolazione della base. E quando il peggio può accadere, accade. Arrivano i
politici che vivono non ‘per’ ma ‘della’ politica (Max Weber). (…) E giacchè di
rappresentanza e di partiti non si può fare a meno, per far funzionare la
democrazia parlamentare nella sua pienezza costituzionale e deliberativa,
bisognerà allentare le maglie della ‘legge’ di Michels, e scommettere sul
miglioramento di quelli vecchi, e sulla maturazione di quelli nuovi”. La
riflessione che fin qui abbiamo sottoposto al lettore dovrà essere doverosamente
integrata con la questione riguardante la richiesta di Grillo di abolire il
divieto del mandato imperativo. L’articolo 67 della Costituzione della
Repubblica italiana recita: <<Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione
ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato>>.
Il divieto di cui sopra “istituito dalla rivoluzione francese - annota il
professor Giovanni Sartori -, esiste a tutt’oggi in tutte le costituzioni
democratiche. Perché? E’ perché altrimenti si ricade nella rappresentanza
medievale, o comunque premoderna, per la quale il rappresentante è soltanto
l’emissario, l’ambasciatore di un padrone. Il che, intendiamoci, a Grillo va
benissimo, visto che tutti i suoi debbono obbedire soltando a lui e funzionare
soltanto come dei ‘signorsì’. Ma questa richiesta è evidentemente inaccettabile
per qualsiasi costituzionalista serio (preciso perché non tutti lo sono)”.
Edmund Burke nel suo ‘Discorso agli elettori di Bristol, tenuto il 3 novembre
1774, dopo la sua vittoria elettorale in quella contea, propugnò la difesa dei
principi della democrazia rappresentativa contro l’idea, da lui considerata
distorta, secondo cui gli eletti dovessero agire esclusivamente a difesa degli
interessi dei propri elettori. “ Il Parlamento è assemblea deliberante di una
nazione, con un solo interesse, quello dell’intero, dove non dovrebbero essere
di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale”. Secondo una
attenta dottrina (Manlio Mazziotti, Paolo Biscaretti, Costantino Mortati), la
disciplina dei gruppi non è in grado di comprimere il diritto, dal momento che
il parlamentare può sempre esprimersi (e votare) in maniera difforme alle
direttive del gruppo di appartenenza (cfr. Temistocle Martines, Diritto
costituzionale, Giuffrè Editore, 2011, pag. 167).
Il politologo Giovanni Sartori sostiene che la causa dei ribaltoni non sia
affatto l’articolo 67 della Costituzione, ma piuttosto una pessima legge
elettorale (la c.d. Legge Calderoli, o Porcellum). Tuttavia, accennando al
problema della governabilità, non sembra che la notte sia completamente buia, se
è vero (salvo errore) il risultato del sondaggio di Pagnoncelli secondo il quale
il 33 per cento degli elettori grillini auspicherebbe un governo col Pd, altri
il ritorno alle elezioni, e il 12 un governissimo esteso al Pdl. Segno che una
parte importante, e tendenzialmente maggioritaria, dell’elettorato grillino ha
convinzioni democratiche.