7/3/2013 ● Caro Direttore
Aria di ri(e)voluzione
Sì, sì, mi sembra di riconoscerla … è proprio lei. Nessun dubbio … sentori,
umori, gusto e retrogusto … è quella frizzante e poco amabile arietta che
preannuncia l’accadere d’un grosso avvenimento che a venire non tarderà. Mi
sembra addirittura di sentire le fanfare … e più che dalla gioia, oramai quasi
inconsapevole nei molti che la speranza l’avevano da tempo smarrita, s’avverte
dalla paura indotta in coloro che sullo sconforto generale s’erano accomodati, a
loro agio come sulla tazza del cesso della propria casa, su cui naturalmente
defecavano – tanto per giunta – in proporzione a quanto mangiavano. D’altronde è
sempre consistito in questo il relativo contributo alla società, le continue
deiezioni di cui omaggiavano noi che coprofili non siamo mai stati, ma piuttosto
costretti obtorto collo a maneggiare le loro feci (lo so, è disgustoso, ma è
solo una metafora).
I primi a sentir fischiare le proprie orecchie - facile da indovinare - sono
proprio i politici, arbitri designati del destino dei molti, per inveterata
abitudine convinti di vivere in condizioni di pressocchè assoluta impunità e,
autocollocatisi in un limbo esente da regole, certi che la libertà consistesse
in quel concetto riassumibile nel motto “faccio come ca##o mi pare” (dimostrando
scarsa stima di Gaber).
Ma anche per gli evasori i tempi non sono propizi. La cultura di massa nostrana
è sempre stata indulgente nei loro confronti, orientata sulla frequentazione
d’un retropensiero: per il “furbetto del quartiere” il biasimo scompariva di
fronte al preponderante sentimento d’invidia e alla delirante stima tradita da
frasi fuoriuscite tra i denti: “comunque c’ha saputo fare”. In un clima da
sacrifici per tutti, dove i tutti sono principalmente i soliti pensionati e
lavoratori dipendenti, e sempre meno sporadicamente avvengono suicidi indotti da
situazioni finanziarie e – di riverbero – familiari non più sostenibili (in un
mondo in cui la dignità d’una persona è direttamente proporzionale al suo
reddito), l’inespresso biasimo d’un tempo riaffiora trasformandosi in odio verso
chi non risponde alla chiamata in vista del suddetto sacrificio, giacchè
l’egoismo dei privilegiati rende la situazione dei molti ancor più insostenibile
di quanto fosse già per via della crisi.
In un’Italia sin dagli albori insofferente al concetto di “collettività”, che
non ha mai dato veramente seguito all’invito di Cavour – “facciamo gli italiani”
– se non con lo sforzo di tenerla unita con lo sputo, sia a livello
amministrativo che dal punto di vista dell’unità d’intenti verso cui dovrebbe
marciare una società, questi segni d’un cambiamento di mentalità fanno ben
sperare, soprattutto dopo le recenti delusioni per il mancato conseguimento
dell’opportunità d’una riforma degli ordini professionali e degli altri
tentativi riguardanti altre corporazioni, tutte sollevatesi all’insegna d’un
unisono “cominciate pure, ma prima dagli altri”. E così, riesumata la medievale
Italia delle Corporazioni, l’italiano ha appreso che di caste ve ne sono ben più
di una. Oltre a quella dei vituperati politici, vi sono quelle di cui fanno
parte persone che – come reciterebbe un degno trailer da film horror – “vivono
in mezzo a noi”: il farmacista, l’avvocato, il notaio, il gioielliere da 10.000
€ all’anno e così via, vicini di casa o d’ombrellone, che in questi tempi di
burrasca non navigano a vista su improbabili zattere, ma col radar su sicure
imbarcazioni al cui timone c’è qualche vassallo a consentir loro di restare
comodamente in coperta.
Solo un cambiamento culturale dei cittadini, che accresca la volontà di ognuno
di comportarsi come facente parte di una collettività (che i salvatori della
patria, dobbiamo convincercene, o come Babbo Natale non esistono oppure come il
Duce/Berlusca ci rimedierebbero cocenti delusioni) e nell’esigere dal proprio
vicino un simile contegno, potrà farci compiere quell’evoluzione – anche nel
senso di balzo – che ci permetterà di togliere – noi – le castagne dal fuoco.
Riusciremo così forse un giorno a metterci alle spalle questa democrazia da “più
uguali degli altri” e a far sì che la legge sia davvero uguale per tutti. Per me
che ho fatto studi di giurisprudenza, cogliere la genialità di chi ha coniato la
frase campeggiante in ogni tribunale è più semplice. Questo genio – e non sto
scherzando – solamente alludendo ad un’applicazione della legge uguale per
tutti, suggerisce un’interpretazione che tutti sappiamo non aver mai trovato
concreta applicazione; pur tuttavia afferma qualcosa di incontestabile, ovvero
che la legge, nella sua formulazione, è davvero uguale per tutti.
Per costituzione mentale sono portato ad un sano pessimismo, eppure questa
crisi, che porta indubbiamente sofferenze e miete molte vittime, credo
rappresenti un’occasione di crescita che dobbiamo assolutamente cogliere. Il
paradosso è solo apparente: il grande Orson Welles in un’intervista fece notare
come lo sviluppo culturale di un paese coincide spesso con i suoi peggiori
periodi dal punto di vista politico. Nell’Italia del 70% dei beni culturali
mondiali, la maggior fetta di essi è stata prodotta proprio in quel Rinascimento
che è stato un periodo storico politicamente travagliatissimo. Orbene, per
rendere ancor più evidente l’assunto, vi invito a riflettere sulla seguente
domanda retorica: la tranquilla ancorché neutrale Svizzera, famosa per
cioccolato, orologi a cucù e quel segreto bancario che le ha permesso
d’arricchirsi facilitando altrove il riciclaggio del denaro e l’evasione fiscale
(che in Italia causano un sommerso di oltre 300 miliardi di euro), per quali
opere d’arte o culturali è ricordata?
Auguriamoci, dunque, che la crisi buon pro ci faccia!