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		3/3/2013 ● Solitudini d'autore
Il bene comune
  Redazione FPW ● 1576 
        
        Per una riformulazione del “bene comune”
Occorre, tuttavia, proporre un passaggio ulteriore. Quali espressioni concrete 
possiede questo bene pratico comune dell’essere insieme? Importanti espressioni 
sono legate alle “pratiche solidali”. Infatti perché abbia senso parlare di 
pratiche solidali - volontariato, organizzazioni non profit - occorre 
riconoscere il bene comune sociale primario dell’essere insieme. Le pratiche di 
solidarietĂ  esprimono la compartecipazione sia nei beni che nei carichi (pesi) 
sociali. D’altra parte, se vogliamo godere di questo bene comune in un modo non 
lesivo della dignitĂ  umana non possiamo mortificare (paternalisticamente) 
l’agire degli attori sociali: la sussidiarietà serve proprio a questo scopo, 
cioè esprime l’iniziativa (singola o collettiva), altrettanto fondamentale e non 
riducibile al tutto sociale stesso.
Per esprimere questo quadro complesso, Benedetto XVI ha fatto riferimento a 
quello che possiamo chiamare un vero e proprio schizzo architettonico della vita 
sociale. Dice, infatti, il Papa: «possiamo tratteggiare le interconnessioni fra 
… quattro principi – dignità umana, solidarietà, sussidiarietà e bene comune - 
ponendo la dignitĂ  della persona nel punto di intersezione di due assi, uno 
orizzontale, che rappresenta la "solidarietĂ " e la "sussidiarietĂ ", e uno 
verticale, che rappresenta il "bene comune"» .
In questo “schizzo” ci sono dunque due assi fondamentali che dobbiamo 
trattenere, se vogliamo ripensare attentamente il significato del bene comune e 
delle pratiche solidali che lo esprimono: 
(a) Sull’asse orizzontale: non è possibile rispettare la dignità umana senza 
aver cura solidale di chi è in difficoltà; ma non è possibile una solidarietà 
autentica senza garantire alle persone una fondamentale libertĂ  di iniziativa. 
Così, se la sussidiarietà corrisponde alla dimensione di singolarità 
irriducibile della persona come protagonista e non oggetto della societĂ , la 
solidarietĂ  corrisponde alla dimensione della appartenenza sociale: duplice 
dimensione, la cui espressione e il cui rispetto sono indispensabili per una 
socialitĂ  a misura della dignitĂ  di ogni persona umana. 
(b) Sull’asse verticale: il bene comune è il bene condiviso nella stessa 
socialitĂ , che come bene umano non ha automatica attuazione ma va voluto e 
praticamente perseguito (la società è maxime opus rationis). Esso sta a 
fondamento della societĂ , come un bene di persone il cui valore dĂ  sostanza e 
insieme eccede il bene comune. Per questo il bene comune compiutamente inteso 
non si conclude con quello storico sociale, ma è aperto al bene comune delle 
persone come tali. In questo senso non è possibile rispettare fino in fondo la 
dignitĂ  umana senza adombrare una prospettiva escatologica di compimento della 
persona e di tutte le persone. 
Diventa comprensibile quello che già Maritain aveva indicato nel 1947: c’è un 
bene comune – come San Tommaso insegna – che vale di più del bene dei singoli 
consociati; ma questo bene comune, che Maritain chiama «bene comune immanente», 
vale meno (è infatti “infravalente”) di quel bene cui la comunità umana è 
ultimamente ordinata e che per Maritain (come per Tommaso) è il «Bene comune 
increato delle tre Persone divine» . Si capisce allora perché Benedetto XVI 
affermi che la vera solidarietĂ  compie se stessa quando diviene caritĂ  e che la 
vera sussidiarietà compie se stessa lasciando spazio all’amore: perché è qui, 
nella carità e nell’amore, che Dio “accade” come risposta inaudita alla promessa 
inscritta nel bene comune immanente .
Questo schizzo architettonico diventa allora un riferimento essenziale per tutte 
quelle dinamiche contemporanee che puntano a un’ipotesi di vita buona umanamente 
sostenibile. In particolare, le due coordinate (orizzontale e verticale) 
disegnano un framework che sembra diventare irrinunciabile per interpretare lo 
spazio sociale in senso autenticamente democratico:
a) l’asse orizzontale (sussidiarietà – solidarietà) è infatti compatibile solo 
con un’adeguata valorizzazione del protagonismo tipico nella società civile: 
l’idea, verso cui si stanno orientando le più acute interpretazioni sociologiche 
contemporanee, è proprio che c’è un capitale di solidarietà che solo gli attori 
della societĂ  civile sono in grado di generare e di cui nessuno Stato 
democratico può fare a meno. Da qui l’accento posto in maniera decisa su assetti 
istituzionali in grado di garantire, attraverso il principio di sussidiarietĂ , 
la libertà e le forme civili dell’essere insieme . 
b) l’asse verticale (bene comune immanente – Bene comune increato) esige invece 
quella libertĂ  che, da piĂą parti ormai, viene riconosciuta sempre piĂą 
consapevolmente come irrinunciabile: la libertĂ  religiosa . Si tratta infatti di 
giungere a riconoscere che la dimensione socio-politica non può essere 
l’orizzonte esclusivo della persona umana . 
Rinasce qui la questione: come proporre questo schizzo architettonico emergente 
dall’insegnamento sociale della Chiesa in una società pluralistica?
Angelo Card. Scola, Arcivescovo di Milano | IL SIGNIFICATO DEL “BENE 
COMUNE” | 26 APRILE 2012
http://angeloscola.it/
