9/2/2013 ● Solitudini d'autore
Il cammino
CARO Direttore,
leggendo in questi giorni i giornali sono stato invaso da un dolore indicibile
nel vedere cosa abbiamo fatto della grazia che abbiamo ricevuto. Se il movimento
di Comunione e Liberazione è continuamente identificato con l'attrattiva del
potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che
abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo averlo dato.
E questo sebbene Cl sia estranea a qualunque malversazione e non abbia mai dato
vita a un "sistema" di potere. Né valgono le pur legittime considerazioni sulla
modalità sconcertante con cui queste notizie vengono diffuse, attraverso una
violazione, ormai accettata da tutti, delle procedure e delle garanzie pur
previste dalla Costituzione.
L'incontro con don Giussani ha significato per noi la possibilità di scoprire il
cristianesimo come una realtà tanto attraente quanto desiderabile. Per questo è
una grande umiliazione costatare che a volte per noi non è bastato il fascino
dell'inizio per renderci liberi dalla tentazione di una riuscita puramente
umana. La nostra presunzione di pensare che quel fascino iniziale bastasse da
solo, senza doversi impegnare in una vera sequela di lui, ha portato a
conseguenze che ci riempiono di costernazione.
Il fatto che don Giussani ci abbia testimoniato fino alla morte che cosa può
essere la vita quando essa è afferrata da Cristo mostra che non manca nulla alla
sua proposta cristiana. Tanti che lo hanno conosciuto confermano quello di cui
noi, suoi figli, abbiamo potuto godere in una convivenza più o meno stretta con
lui: che la sua persona traboccava Cristo. Questa convinzione ci ha portato a
chiedere l'apertura della causa di canonizzazione, certi del bene che è stato ed
è don Giussani per la Chiesa, per rispondere alle sfide che il cristianesimo ha
oggi davanti a sé.
Chiediamo perdono se abbiamo recato danno alla memoria di don Giussani con la
nostra superficialità e mancanza di sequela. Spetterà ai giudici determinare se
alcuni errori commessi da taluni costituiscano anche reati. D'altra parte,
ciascuno potrà giudicare se, tra tanti sbagli, siamo riusciti a dare un qualche
contributo al bene comune.
Quando un membro soffre, tutto il corpo soffre con lui, ci ha insegnato san
Paolo. Noi, i membri di questo corpo che è Comunione e Liberazione, soffriamo
con coloro che sono alla ribalta dei media, memori della nostra debolezza per
non essere stati abbastanza testimoni nei loro confronti; e questo ci rende più
consapevoli del bisogno che abbiamo anche noi della misericordia di Cristo.
Tuttavia, con la stessa lealtà con cui riconosciamo i nostri sbagli, dobbiamo
anche ammettere che non possiamo strappare via dalle fibre del nostro essere
l'incontro che abbiamo fatto e che ci ha plasmato per sempre. Tutto il male
nostro e dei nostri amici non riesce a cancellare la passione per Cristo che
l'incontro con il carisma di don Giussani ci ha inoculato. La febbre di vita che
lui ci ha comunicato è così grande che nessun limite riesce a eliminare e ci
consente di guardare tutto il nostro male senza legittimarlo o giustificarlo.
L'avvenimento dell'incontro con Cristo ci ha segnato così potentemente che ci
consente di ricominciare sempre, dopo qualsiasi errore, più umili e più
consapevoli della nostra debolezza. Come il popolo di Israele, possiamo essere
spogliati di tutto, andare perfino in esilio, ma Cristo, che ci ha affascinato,
rimane per sempre.
Non è sconfitto dalle nostre sconfitte. Come gli israeliti, dovremo imparare a
essere coscienti della nostra incapacità a salvarci da soli, dovremo imparare da
capo quello che pensavamo già di sapere, ma nessuno ci può strappare di dosso la
certezza che la misericordia di Dio è eterna. In quante occasioni ci siamo
commossi sentendo don Giussani parlare del "sì" di Pietro dopo il suo
rinnegamento.
Per questo non abbiamo altra lettura di questi fatti se non che essi sono un
potente richiamo alla purificazione, alla conversione a Colui che ci ha
affascinato. È Lui, la sua presenza, il suo instancabile bussare alla porta
della nostra dimenticanza, della nostra distrazione che ridesta in noi ancora di
più il desiderio di essere suoi. Speriamo che il Signore ci dia la grazia di
rispondere con semplicità di cuore a tale chiamata. Sarà il modo migliore di
testimoniare che la grazia data a don Giussani è molto più di quanto noi, suoi
figli, riusciamo a mostrare.
Solo così potremo essere nel mondo una presenza diversa, come tanti tra noi già
testimoniano nei loro ambienti di lavoro, in università, nella vita sociale e in
politica o con gli amici, per il desiderio che la fede non sia ridotta al
privato. Lo sa bene chi ci incontra: resta così colpito che gli viene voglia di
partecipare a quello che è stato dato a noi. Per questo dobbiamo continuamente
riconoscere che "presenza" non è sinonimo di potere o di egemonia, ma di
testimonianza, cioè di una diversità umana che nasce dal "potere" di Cristo di
rispondere alle esigenze inesauribili del cuore dell'uomo. E dovremo ammettere
che quello che cambia la storia è quello che cambia il cuore dell'uomo, come
ciascuno di noi sa per propria esperienza. Questa novità la potremo vivere e
testimoniare solamente se ci mettiamo alla sequela di don Giussani, verificando
la fede nell'esperienza, tanto egli era persuaso che solo se la fede è una
esperienza presente e trova conferma in essa della sua utilità per la vita,
potrà resistere in un mondo in cui tutto, tutto dice l'opposto.
Abbiamo ancora un lungo cammino davanti e siamo felici di poterlo percorrere.
Lettera a Repubblica di don Julián Carrón, presidente della Fraternità di
Comunione e Liberazione - maggio 2012