1/2/2013 ● Caro Direttore
Nell'economia verde +4,2% l'impresa giovanile under 30
Caro Direttore,
un sito di settore titolava così: “E’ora di salire in agricoltura”.
Condivido in pieno tale sottolineatura.
“Le nostre campagne – sottolinea Carlo Petrini su Repubblica - hanno
bisogno di ripopolarsi. Perché il made in Italy passa dai campi e dalle mani dei
nostri produttori. E le mani dei produttori oggi sono rugose, sono stanche, sono
mani anziane. E spesso sono mani che non sanno a chi consegnare tutta la loro
esperienza e tutti i loro saperi. E, come si sa, i nostri giovani hanno bisogno
di lavorare. E di sentirsi protagonisti di quello che producono e di quello che
diventano. L’agricoltura può dare a un giovane tutto questo, a patto che smetta
di essere sinonimo di emarginazione sociale e di difficoltà economica”.
Gli fa eco Giovanni Sartori (Corriere della Sera, 23 gennaio) politologo per
professione e ambientalista per convinzione: “Il livello della nostra
disoccupazione giovanile è davvero intollerabile. Da noi vige ancora la corsa
per fabbricare ‘tutti dottori’. Ma il grosso dei dottori che produciamo e che
andremo a produrre saranno inutili. Alle nuove generazioni occorrono istituti
tecnici e scuole di specializzazione collegati alla ‘economia verde’, al ritorno
alla terra, e anche alla piccola economia delle piccole cose. Altrimenti saremo
sempre più disoccupati”.
Il vasto settore della economia verde coinvolge il mondo delle energie
rinnovabili, l’intero comparto agroalimentare, la conservazione della natura, la
tecnologia di precisione, il turismo, la gestione dei rifiuti (per citare), dove
le imprese richiedono nuove professionalità e nuove competenze verso cui è
necessario da subito sensibilizzare e indirizzare i giovani affinché abbiano la
possibilità di orientare la propria formazione e i propri sforzi di ricerca di
lavoro. Scrivevo tempo fa che un’ipotesi ottimistica è che la carenza di posti
di lavoro e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e da Internet possano
costituire una sufficiente attrattiva per un ritorno alla terra dei giovani
(magari con terreni messi a loro disposizione a basso costo e con scarse
interferenze burocratiche). Nei prossimi tre anni è stimato un incremento dei
posti di lavoro proprio nelle campagne dove, per la prima volta da dieci anni a
questa parte, c’è stata un’inversione di tendenza che ha visto crescere del 4,2%
le imprese condotte da giovani under 30. A tal riguardo mi piace segnalare il
caso di un giovane molisano, Nicola del Vecchio, laureato dell’Università di
Scienze Gastronomiche di Pollenzo, tornato in Molise per avviare la sua azienda
su terreni di famiglia, che di quei terreni non si era mai preoccupata più di
tanto limitandosi a darli in affitto. Voglio sperare che il suo senso di
concretezza, la tanta fatica e il coraggio vengano premiati con una vendita
remunerativa dei suoi prodotti (pane, verdura, frutta, formaggi o salumi).
“La domanda allora è: cosa aspetta la nostra classe politica per ridurre una
burocrazia asfissiante? Che cosa aspetta la nostra classe dirigente ad occuparsi
di questo settore? (…) Cosa aspettano a capire che sta lì, in quei campi, in
quelle mani, in quei cervelli e in quella voglia di sudare, l’identità di questo
nostro paese?” (Carlo Petrini).
Auguriamoci che a breve quel consenso che ha permesso agli eletti di dimenticare
i bisogni reali delle diverse regioni (con particolare riguardo al comparto
agricolo-ambientale) venga meno. A cominciare da Molise, Lazio e Lombardia.
Cordialmente, Pietro Di Tomaso