5/1/2013 ● Solitudini d'autore
Il buon governo
Ritorno all’etica e buone riforme
Il presidente Napolitano ha messo al centro del suo discorso di Assisi la
questione morale. Lo ha fatto in un momento in cui questo problema pesa come un
macigno sulla nostra immagine nel mondo e sul nostro futuro politico, economico
e sociale. La corruzione sta infatti erodendo le basi stesse della nostra
democrazia.
Non è purtroppo un fatto nuovo ma, rispetto alla stagione di Mani pulite, non vi
è solo un’ulteriore diffusione del fenomeno da un punto di vista quantitativo ma
una differenza qualitativa: prima si rubava soprattutto per il partito, ora
si ruba soprattutto per se stessi. E’sconcertante che, di fronte al
giustificato risentimento dell’opinione pubblica, la legge anticorruzione sia da
più di tre anni ferma in parlamento e, ancora in queste ore, essa sia oggetto di
più o meno aperto ostruzionismo.
Questa legge va approvata subito e va accompagnata da provvedimenti atti a
limitare decisamente i costi della politica, agendo in tre direzioni: una
drastica riduzione delle esorbitanti risorse destinate a partiti, istituzioni e
apparati pubblici; l’attivazione di controlli efficaci affidati ad autorità
esterne ed indipendenti e l’obbligo di trasparenza nella gestione delle risorse
pubbliche. Di fronte a tutti gli italiani la politica si presenta infatti sempre
più vorace di risorse e sempre più scarsa di idee, mentre il paese domanda una
politica povera di risorse e ricca di idee.
Il messaggio che si riceve quotidianamente è che i dibattiti sui contenuti
diminuiscono e aumentano i festini, vengono a meno i buoni esempi e sono
abbandonati i principi fondamentali della Costituzione. Tornare alla
Costituzione è quindi condizione necessaria per la buona politica. Non parlo
solo dell’applicazione dei principi generali ma degli obblighi che nascono dagli
articoli 39 e 49, secondo i quali i partiti e i sindacati hanno l’esplicito
dovere di fondare la loro azione su precise e trasparenti regole democratiche.
Tutte queste misure, seppure necessarie, non sono tuttavia sufficienti se non
sono accompagnate da una riforma della mentalità, della cultura e del costume,
proprio come ha sottolineato il presidente Napolitano ad Assisi. A cui io
aggiungo la necessità che la politica sia interpretata come una funzione che può
essere esercitata in un periodo più o meno lungo dalla propria vita e non un
mestiere senza il quale non si riesce a campare. Per questo motivo ripeto
pedantemente a tutti i giovani desiderosi di entrare in politica che si
costruiscano prima una professione. Se non possiedono un mestiere, essi saranno
fatalmente obbligati ad accettare qualsiasi compromesso che permetta loro di
vivere.
Si tratta quindi di rovesciare la cultura e l’etica pubblica che hanno dominato
negli ultimi anni, corrodendo la vita civile: il mito del successo facile, il
ricorso alle scorciatoie per fare carriera, l’idea che con il denaro si possa
comprare tutto, tutti e tutte. Un veleno per le nuove generazioni, nelle quali
si è installata l’illusione che non sia necessario studiare, applicarsi e
sacrificarsi.
Riguardo a tutti questi problemi, senza volere indulgere a processi sommari, si
dovrà prima o poi tracciare un bilancio delle responsabilità che fanno capo
anche alle agenzie educative che avrebbero dovuto reagire con più energia di
fronte a un degrado morale di cui erano da tempo ben chiare le manifestazioni.
Per non parlare delle responsabilità di tutti noi che, come cittadini
elettori, ci siamo troppo spesso voltati dall’altra parte, facendo finta che la
politica non abbia nulla a che fare con la morale.
Vi è però un ultimo punto che merita un’attenta riflessione. E’ infatti doveroso
sottolineare come l’etica non sia da sola sufficiente a riformare nel modo
corretto la società in cui viviamo. Essa deve essere tradotta in efficienti
misure di buon governo. Vedo infatti che, fronte a questo evidente degrado,
anche quando le istituzioni si preoccupano di dare un messaggio di riconquistato
rigore etico, lo fanno spesso con strumenti e decisioni che, pur perseguendo un
obiettivo lodevolmente moralizzatore, male si prestano ad affrontare i problemi
del funzionamento della nostra economia e delle nostre istituzioni.
Stiamo ben attenti a non cadere in quest’errore, anche se tutto ciò può fare
contento il popolo sovrano. Non si può ad esempio buttare a mare il concetto
stesso di autonomia regionale perché tanti assessori o consiglieri hanno rubato
o hanno sbagliato. Non si possono fare le riforme solo con lo scopo di
rincorrere i lazzaroni.
Romano Prodi (Il Messaggero del 7 ottobre 2012 | cfr.
www.romanoprodi.it)