5/5/2012 ● Caro Direttore
Fuori gioco
Caro Direttore,
comprendo la responsabilità della Sua linea editoriale, audace e innovativa da
circa 13 anni. Un equilibrio intellettuale che si espone ad opinioni oltre
l’approccio culturale, osando talvolta la deriva di un sereno confronto dentro i
confini di una ragionevolezza costruttiva.
Da lettore del Suo blog provo a sostenere un’argomentazione che troverà, magari,
una certa (con)divisione culturale tra qualche lettore di Fuoriportaweb, ma
credo che poi resti obliata all’occorrenza.
Rischiando l’abilitazione a “demagogo dell’antipolitica” – un elogio che si
distribuisce sfogliando il capitolo “etica e rinnovamento in Politica” al
paragrafo “candidatura” – credo che in democrazia (narrata come partecipazione,
alternanza, solidarietà, rinnovamento, opportunità, etc.) la porta della
Politica debba sempre rimanere aperta per entrare, e possibilmente spalancata
per uscire: la porta della Politica, in una sintesi grafica, potrebbe ridursi a
simbolo culturale per rappresentare l’etica del rinnovamento.
“A picture says a thousand words” (un’immagine vale mille parole),
insegnano gli inglesi.
Durante gli ultimi vent’anni di profonda crisi sociale, economica, culturale –
in sintesi “finanziaria” – nell’approccio alla gestione del “bene comune” penso
che non si sia vissuto affatto un tangibile rinnovamento della politica in
Italia anche perché, è la mia modesta opinione, si è reso in passato e si rende
ancora oggi impraticabile il (ri)cambio della sua classe dirigente nelle
amministrazioni pubbliche.
Probabilmente la mia impressione oggi non è così isolata.
Certo, c’è stato il fenomeno del “nuovismo decadente”: nuovi nomi per
partiti ormai vecchi e abbandonati; nuovi simboli partitici per mascherare una
svolta verso la “seconda Repubblica”, addirittura nei simboli grafici con
caratteri cubitali è richiamato il nome di un “proprietario-garante”, spesso
reclinato alla “prima Repubblica”; formule alternative di auto-finanziamento a
pioggia, aggirando referendum e volontà popolari; scelte blindate dei “candidati
dei capi”, per illudere gli elettori alle urne.
Ma le facce? Quelle restano rinnovate – per (s)fortuna! – dal tempo, ma sono più
o meno le stesse.
Cioè negli ultimi vent’anni abbiamo vissuto un “nuovismo” con fin troppi tarli,
appunto “decadente”.
Eppure scopriamo, grazie al dibattere nel web, che “logorare” è un verbo in “remissio
peccatorum” tra i postulanti della “buona Politica”, pur nell’astrazione del
sua nozione pratica.
All’occorrenza il “nuovismo decadente” minaccia con argomenti dell’antipolitica
mentre cerchiamo di spiegarci – perlomeno nei blog, caro Direttore! – se sia
“antipolitica” quella subita dai cittadini durante gli ultimi trent’anni di
disastri amministrativi a più livelli.
Tra i miei ricordi – facendo riferimento agli ultimi trent’anni – sono vivi i
candidati o i (futuri?) candidabili che, nella morale più che nell’etica di una
Comunità innovativa, pur essendo ormai adulti non hanno (ancora) maturato una
certa onestà intellettuale verso il senso del “fuori gioco”, trascinando così le
prospettive e le potenzialità culturali delle nuove generazioni verso un loro
“nuovismo decadente” e dall’orizzonte ormai alle spalle del divenire.
Quale anima esprime una democrazia partecipata così (in)coerente nel
rappresentare l’etica del rinnovamento in politica? Per i politici privi della
visione del “fuori gioco” il rappresentare l’etica del rinnovamento trattasi di
una nozione populista di divergenza generazionale nella “politica del fare”,
perciò astratta alla “politica del potere”. Una sorta di utopia che oggi
appartiene all’abbaglio demagogico del web.
Proporsi oltre un numero inopportuno e imbarazzante di candidature, a
prescindere dall’esito elettivo, è l’impegno civico che la coscienza
rinnovatrice della “passione politica” dovrà pur limitare, prima o poi,
nell’ottica della trasparenza alla partecipazione e – aggiungerei caro
Direttore! – alla rigenerazione del “bene comune”.
Negli statuti alcuni movimenti partitici contemplano il principio del (ri)cambio
generazionale della classe dirigente, ma all’atto della sostanza c’è sempre una
via di fuga per rientrare in gioco (i talenti della fuga sono i “zompa fossi”).
È letteratura, non solo nel Molise, l’espediente configurato in materia di legge
elettorale per rendere praticabile un terzo mandato consecutivo (circa 15 anni
di “responsabilità istituzionale”, inconcepibile in altre democrazie moderne!)
allo stesso governatore di una Regione italiana.
In un tempo di evidente crisi per le credibilità della politica, dei partiti
politici e dei loro rappresentanti, nel segno dell’impegno a esplicare un’idea
di sviluppo raggiungibile della propria Comunità (cioè una “idea di Paese”
contagiosa!), ogni candidatura non si riduca all’ennesima (rin)corsa di una
“passione” personale, fuori dall’etica nella rappresentanza di una collettività
aperta ad ogni coscienza civica e culturale. Cioè, eticamente, non si (ri)costringa
la Comunità alle esigenze politiche della propria candidatura spesso familistica
e caricata di valori soggettivi. Anzi, la stessa “candidabilità” resti
un’opportunità di rinnovamento generazionale e concreto per le aspettative di
crescita dell’intera Comunità di appartenenza.
In una “cultura della politica” che punti all’interesse generale, il valore
aggiunto della “candidatura” rappresenti l’etica del rinnovamento.
Infine un appello a coloro che hanno nei loro cassetti un’idea di Paese
credibile e soprattutto contagiosa per la "buona Politica": per mettere in fuorigioco i tarli
della politica occorre mettersi in gioco.
Con stima.
Luigi Sorella