27/3/2012 ● Cultura
"La Parola a colori": nel segno della croce
Il prof. Schiavo per oltre venti anni è stato docente di Storia dell'arte
nella scuola media statale "I. De Sanctis" di Guglionesi, dove ha ricoperto
anche il ruolo di vice preside. Pasqualino Schiavo (all'anagrafe) è anche
l'artista "Schiavolino", come testimoniano le sue opere. A Fuoriportaweb ha
voluto confermare l'esclusiva di presentare alcune sue opere artistiche
significative e dalle quali emergono i segni del linguaggio figurativo del
colore in varie interpretazioni d'autore, quasi fosse uno... "schiavo d'Arte"
(cfr. articolo FPW
Schiavo d'Arte).
In occasione della imminente santa Pasqua abbiamo scelto, per una breve
riflessione sul blog, una delle sue crocifissioni, nella quale Cristo si fa piccolo e umile
(anche) sulla croce - ricordiamoci dove era nato il Bambino Gesù -, piegandosi su stesso.
Per Schiavolino, si tratta di una croce troppo piccola per accogliere,
nell'ultimo attimo della Sua presenza terrena, il Figlio dell'Altissimo?
Il "segno della croce" emerge in questa opera di Schiavolino con
straordinaria espressività, non solo devozionale. I colori del paesaggio, la lettura del
secondo piano dell'opera e della sua profondità (attraversata dai toni cromatici
di tutte le stagioni dell'anno), i tratti e le sfumature di un orizzonte (che
riassume la creazione nell'istante in cui fa ritorno alla Genesi) e dunque il
senso della vita ci raccontano che la croce non è un simbolo della morte, ma
l'inizio della redenzione cristiana per ogni dimensione umana.
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Nel segno della croce
di Gianfranco Ravasi
«È là, muto e silenzioso. C'è stato sempre. È il segno del dolore umano,
della solitudine della morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza
il senso del nostro destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo».
Così nel 1988 sull'«Unità» la scrittrice Natalia Ginzburg reagiva a uno dei vari
tentativi di schiodare la croce dai luoghi pubblici e il titolo di
quell'articolo era lapidario: «Non togliete quel crocifisso!».
Certo, la croce è un segno storico, legato a una religione. Ne conosciamo la
vicenda narrata nei Vangeli e sappiamo che la crocifissione, il servile
supplicium, ossia l'esecuzione capitale destinata agli schiavi e ai ribelli,
come la definivano i romani, era «una sofferenza intollerabile, la più penosa
delle morti», per stare alle parole di un testimone di tante crocifissioni
che già prima dell'occupazione romana venivano praticate in Palestina, lo
storico ebreo Giuseppe Flavio nella sua opera La guerra giudaica (7,
202-203). È però fondamentale un'unica crocifissione. Su uno sperone roccioso di
pochi metri, denominato in aramaico Golgota, divenuto in latino Calvario, ossia
"cranio", prominenza rupestre ormai inglobata nella basilica crociata del S.
Sepolcro, in un giorno di primavera di un anno tra il 30 e il 33, Gesù di
Nazaret aveva chiuso su una croce la sua esistenza terrena, dopo aver
pronunziato sette frasi, divenute una reliquia letteraria evangelica ma anche
un'ideale base per molteplici partiture musicali (chi non ricorda le stupende
Sette parole di Cristo in croce di Haydn?). Quel "forte grido" che segnava una
fine tragica era in realtà un inizio assoluto, come scriveva l'autore greco del
romanzo L'ultima tentazione di Cristo (1952), Nikos Kazantzakis: «Levò
un grido: Tutto è compiuto! Ma è come se dicesse: Tutto comincia!».
Il crocifisso è, così, diventato un segno universale, scandaloso ma
imprescindibile, come già osservava Paolo scrivendo ai Corinzi: «I giudei
cercano i segni, i greci la sapienza. Noi predichiamo Cristo crocifisso,
scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani» (I, 1, 22-23). Un segno di
contraddizione, quindi, ma un punto di riferimento capitale per la cultura non
solo occidentale. (...)
Noi abbiamo voluto, più che ricorrere a una recensione - per altro, come si
diceva, impraticabile in queste righe -, proporre una libera considerazione su
un segno così imprescindibile, nonostante le esitazioni e le reticenze del
"religiosamente corretto" attuale. A livello teologico il realismo tragico della
crocifissione è, infatti, una prova decisiva del cuore spirituale del
cristianesimo, l'incarnazione: Cristo s'insedia nel terreno stesso della
creatura umana, segnata dal limite, dalla finitudine, dal dolore, dalla morte e
persino dal silenzio di Dio, divenendo in tal modo veramente "carne" umana,
nostro fratello che soffre e muore, come ricorderà anche Ungaretti in una sua
celebre poesia. Contro l'antica tentazione gnostica - ereditata dal Corano che
sostituirà sulla croce un sosia (Giuda Iscariota o Simone di Cirene o un ebreo)
per evitare questa umiliazione al "profeta" Gesù - il cristianesimo autentico
ribadisce nel crocifisso questa estrema partecipazione del Figlio di Dio alla
nostra realtà mortale.
È per questa via che il credente sente che nella sua caducità è stato deposto un
seme di divinità che la Pasqua farà esplodere. Ma è per questa stessa via,
proprio come diceva la Ginzburg, che nella croce di Cristo si raggruma tutto il
dolore dell'umanità in modo autenticamente "simbolico", cioè in una sintesi
suprema di rappresentazione. Nel romanzo Il segreto di Luca Ignazio Silone
illustrava limpidamente il messaggio che il crocifisso riserva a tutte le
vittime, agli oppressi, ai giusti e agli infelici. Ecco il suo racconto: «Luca,
durante l'interrogatorio, guardava fisso sulla parete, al di sopra del
presidente. "Cosa guardate?", gli gridò il presidente. "Gesù in
croce", gli rispose Luca, "non è permesso?". "Dovete guardare in faccia
chi vi parla", gridò il presidente. "Scusate", replicò Luca, "ma
anche lui mi parla; perché non lo fate tacere?" ».
E Borges, lo scrittore agnostico argentino, attratto da quella figura
crocifissa, ben incarnava l'atteggiamento di tutti coloro che, pur senza una
confessione di fede, non possono staccare lo sguardo da quel volto: «La nera
barba pende sopra il petto./ Il volto non è il volto dei pittori./ È un volto
duro, ebreo./ Non lo vedo/ e insisterò a cercarlo/ fino al giorno/ dei miei
ultimi passi sulla terra».
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