2/8/2011 ● Cultura
Era di Agosto... 2011
Quella notte aveva avuto un sonno agitato, uno stato d’ansia irrazionale
aveva tenuto prigioniero il povero Adamo.
Il mattino lo aveva trovato seduto sullo scrocchiante pagliericcio di foglie di
granturco, bagnato di sudore, gli occhi gonfi e le ciglia incollate.
Spalancata la finestrella che dava sulla strada, si parò con la mano dal
bagliore delle prime luci dell’alba.
Gli arrivò il rumoreggiare di uomini ed animali intenti nei preparativi
necessari ad affrontare la nuova giornata di lavoro nei campi.
Il battere dei martelli dei fabbri ferrai, insieme con gli sbuffi dei grossi
mantici azionati dai ragazzi di bottega ancora assonnati, davano il tempo ai
galli canterini.
Infine gli giunse anche il cigolio della cariola sgangherata di padre Attanasio
che ritornava dal portar via il letame dall’improvvisata stalla che aveva
ricavata tra le macerie del castello. Aveva già pulito la lettiera e il letame
della capretta e delle poche galline che allevava.
L’immondezzaio non era distante, bastava portarsi sul ciglio delle mura
perimetrali diroccate, tra la porta sannitica e la vecchia postazione di
artiglieria dove, adesso, i bambini giocavano a cavalcioni sui cannoni
abbandonati e resi inservibili dai francesi.
Da lì si buttava giù ogni sorta di rifiuto, il più lontano possibile, tra gli
alberi della scarpata.
Il lezzo che ne derivava era parte integrante dell’ambiente per cui nessuno ci
faceva caso o se ne lamentava.
Da quando era stato raccolto per strada ed accolto in casa dal religioso, Adamo
era rinato a nuova vita.
In quella piccola ed unica stanzetta, dietro la chiesa di S. Nicola, aveva
trovato il focolare che da sempre gli era mancato.
Di parole, in verità, ne scambiavano davvero poche e ciò non dipendeva solo
dalla difficoltà che Attanasio aveva con la parlata locale.
Il sant’uomo, che tutti chiamavano “ il greco”, era un eremita, ma non come i
nostrani che vivevano e pregavano in posti isolati ed inaccessibili.
Lui continuava ad abitare tra gli uomini, con molta discrezione e, quando
poteva, come nel caso di Adamo, non mancava di aiutare chi ne avesse bisogno.
Anche Adamo, come la maggior parte della gente, pensava che fosse un tipo strano
ma al tempo stesso, ringraziava Dio per averlo messo sulla sua strada.
Attanasio era un eremita urbano che veniva da tanti posti dell’oriente ma , come
diceva lui sorridendo- nessuno di cui vale la pena ricordarne il nome -.
A volte la sera, mentre era chino sotto il camino a girare piano il mestolo
nella pentola, confidava a Adamo le difficoltà umane che derivavano dalla sua
scelta di vita solitaria.
Nascosto dai suoi lunghi capelli bianchi con voce appena percettibile era come
parlasse tra sè e sè.
Ad ogni aspetto negativo, però, ribadiva come lo stare sempre faccia a faccia
con Dio fosse la sola maniera per scoprire la pienezza del mistero della fede.
- La solitudine del cuore è una condizione necessaria,... lo stesso Gesù fu
mandato nel deserto a combattere la debolezza umana attingendo forza dal
silenzio del cuore...questo è il luogo dove Dio parla!.-
Per adamo molte cose che il vecchio diceva risultavano incomprensibili e gli
scivolavano addosso ma, era cosciente che molto dipendeva dalla sua ignoranza
delle cose di Dio e dalla scarsa attitudine a seguire i dettami di una vita
religiosa.
Il suo cuore era ancora colmo di amarezza e rancore nei confronti di un Dio che
lo aveva penalizzato, da sempre, fin dalla sua nascita.
Adamo quel giorno era fremente, eravamo arrivati al terz’ultimo giorno di luna
mancante e la “cacciadiavoli” si trovava ancora in campo.
I fiori di giallo intenso, erano alla massima floridezza e la regola era chiara:
la raccolta bisogna farla entro la prima mancanza del mese di Agosto pena il
deterioramento precoce dei preparati erboristici derivanti dai fiori e dalle
foglie traforate di questo umile quanto prezioso fiore.
Da anni, a Coglionessa, tra i vari conventi, c’era un tacito quanto fraterno
accordo per cui l’olio di cacciadiavoli si produceva nel laboratorio erboristico
del convento da capo, e cioè dal convento di S. Francesco.
Bisognava prepararne tanto da rifornirne per un anno intero sia il convento che
lo Spedale di San Antonio Abate dei Celestini, l’ospedale di S. Angelo ed il
convento dei Francescani Riformati di S. Giovanni in Eremo.
Anche se Adamo non era il diretto responsabile, ma solo un aiutante, sentiva
ugualmente la responsabilità di tale compito.
L’olio rosso si usava per curare le ferite da incidenti con armi da taglio,
guarire le infezioni e le ulcere, uccidere i vermi intestinali, regolare il
ciclo mestruale, favorire la diuresi,curare i reumatismi, sedare le sciatalgie
ecc.
Proprio la sua versatilità, alla fine, ne faceva un rimedio assai prezioso.
Il convento di S. Francesco, secondo le regole del baratto e della divina
provvidenza, nel dare riceveva.
Ottimo miele di quercia arrivava da S. Eremo mentre le cipolle bionde e l’aglio
bianco risalivano la china la “Portanuova”, portati dai Celestini del convento
dell’Annunziata, che si trovava fuori le mura della città.
I dolciumi, i confetti e sopratutto i lavori di ricamo delicato e fine, che
onoravano il Signore in tutte le chiese del paese, arrivavano dalle mani
pazienti e amorevoli delle Clarisse di S. Chiara.
L’economia impostata sulla reciprocità nella semplicità dava i suoi frutti
migliori e nei magazzini, così come nella dispensa di S. Francesco ogni ben di
Dio abbondava. Per contro, i frati non lesinavano aiuto ad alcuno, sia per
esigenze corporali che spirituali ed il convento, unitamente a quello adiacente
di Santa Chiara, era un’ importante realtà culturale e religiosa.
Il vuoto, lugubre e dolorante creatosi con la distruzione del Castello da Capo,
miracolosamente veniva riempito e lenito dalla vita frenetica che si poteva
osservare intorno alla chiesa e ai due conventi.
Ragazzi e fanciulli venivano istruiti ai rudimenti della scrittura, della
lettura e del far di conto ed anche quando non erano a scuola dai frati,
giocavano a rincorrersi ed acchiapparsi in quella che fu la gloriosa piazza
d’armi del castello.
L’ufficio delle letture era appena terminato quando fra Silvestro udì il toc toc
al portone.
Il suo sandalare svelto e leggero informò Adamo dell’arrivo del frate ed
anticipò di poco lo sferragliare della serratura ad aprire la porticina ricavata
nel pesante portone di noce massello rinforzato con elementi di ferro.
Frà Silvestro non controllò dallo spioncino apposito perché aveva riconosciuto
il particolare ritmare delle nocche ed anche perchè Adamo era l’unico a non
usare la campanella che si trovava lì accanto.
- Pace e bene Damccì ! - salutò il fraticello regalando un gran sorriso.- Pace e
bene Frassilvè, avete finito con l’ufficio ?-,chiese preoccupato Adamo -...
proprio in questo momento,…stavo mettendo a posto i breviari, prego
accomodati,... sei caduto dal letto stamattina!-.
Adamo non rispose, prese la cesta fatta di bacchette d’olivo intrecciate che
aveva appoggiato a terra.
Conteneva i suoi arnesi da lavoro e le legatore di guglia preparate la sera
prima...
L’incipit che ho voluto riportare appartiene ad un mio racconto che non ha la
pretesa di essere un romanzo storico, ma le vicende di cui parla, anche se
frutto di fantasia, vogliono essere quanto più possibile verosimili.
Allo stesso modo, anche se non esistono fonti storiche che ne diano la certezza,
è verosimile che durante i suoi viaggi alla volta del Gargano, S. Francesco
abbia visitato il Sannio intorno all’anno 1222.
La sua presenza e il suo esempio di santità diedero, in Frentania, un forte
impulso alla fondazione di molti ospizi e ritiri religiosi.
La chiesa ed il convento di S. Francesco in Guglionesi, furono edificati verso
il 1410 e si pensa che sia stato il beato Giovanni da Stroncone a fondarlo ma è
bello immaginare che lo stimolo iniziale possa essere venuto dallo stesso S.
Francesco.
In questo mese, da 21 al 25, è prevista una peregrinatio delle sue reliquie
proprio qui a Guglionesi.
Queste reliquie provengono direttamente dal sarcofago che contiene le ossa del
Serafico Padre, situato nella Basilica inferiore di Assisi e comprendono alcuni
pezzettini di ossa e di abito. Si tratta di resti sacri “avanzati” dopo la
ricognizione del corpo del Santo, che fu eseguita nel 1818.
Mi affascina pensare che possa essere una sorta di “ritorno” del santo in questa
nostra terra che così tanto lo ama e che così tanto gli somiglia nella
semplicità e nella sobrietà della sua gente.
Pace e bene.