4/5/2011 ● Cultura
Abruzzo, Molise e Marche: tre Regioni insieme nella rinata “Marca adriatica”
La notizia recente è questa: il presidente degli industriali del Molise si
sta muovendo contro l’immobilismo della politica regionale in vista di una
soluzione per ridurre i costi dell’amministrazione pubblica. E nel contempo per
essere più forti e credibili nel dialogo con il Governo centrale e con l’Unione
europea. Ciò nell’ottica di un prossimo futuro, quando, a partire dal 2014 e
salvo ripensamenti, la comunità europea non concederà più fondi alle singole
regioni, ma alle macro-aree. Il modo con cui risolvere il problema potrebbe
essere quello di riproporre la “Marca adriatica”, a suo tempo concepita da
Federico II di Svevia (come completamento dell’idea avviata nel 1060 da Roberto
il Guiscardo, conquistatore normanno): mettere insieme Abruzzo, Molise e Marche,
mediante una specie di Federazione delle tre Regioni e creando una cabina di
regia con delega ad affrontare argomenti importanti come le infrastrutture,
l’ambiente, l’energia, la sanità, la ricerca, ed altro, secondo un modello di
progressiva integrazione delle decisioni strategiche medesime. E’ la stessa
Costituzione che adesso lo prevede. Infatti l’articolo 117, così come riformato
nel 2001, stabilisce che “La legge regionale ratifica le intese della Regione
con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con
l’individuazione di organi comuni”. Dunque se i territori vogliono competere
nell’Europa federale è chiaro che vanno rafforzate Regioni come il Molise,
l’Umbria o la stessa Liguria che non hanno la dimensione necessaria. La strada
percorribile, oggi, sembra essere quella della realizzazione di accordi
interregionali, individuando organismi comuni su ciò che le stesse Regioni
ritengono più opportuno.
Abruzzo, Molise e Marche insieme, tramite una Federazione, avrebbero un numero
di abitanti intorno ai 3 milioni, ossia una popolazione di residenti atta a
configurare una macro-area, come del resto previsto dalla Fondazione Agnelli nel
1992 nel suo progetto volto a ridisegnare l’Italia in 12 macro-regioni secondo
una logica di razionalità economica ed autosufficienza finanziaria. Oggi tale
idea ritorna, anche in previsione dell’attuazione del federalismo fiscale che –
con ragionevole probabilità - porrà il Molise in una situazione di grande
difficoltà, stante la ridotta base imponibile complessiva, nel rispondere alle
esigenze della popolazione e quindi delle funzioni precedentemente svolte dallo
Stato. Il tutto aggravato da un quadro generale dell’economia italiana che Bill
Emmott ha realisticamente tratteggiato nell’articolo del 24 Aprile su La Stampa
e di cui mi limito a evidenziare pochi punti: 1) non vengono creati posti di
lavoro; 2) la produttività non sale; 3) non aumentano il reddito e gli standard
di vita. In queste condizioni, che potrà fare da solo il Molise? “Siamo la
Regione con le addizionali Irap e Irpef più alte. Non si può andare avanti senza
ridurre i costi della politica e della burocrazia… Qualcosa dovrebbe muoversi
anche sulla governance dei nuclei industriali: da tre (Termoli, Venafro e
Campobasso), con tre presidenti, cda e direttori generali, dovrebbero essere
unificati, risparmiando sulle strutture e con il beneficio di avere un solo
punto di riferimento per i servizi” (Il Sole 24 Ore del 27 marzo).
Inoltre, la sanità è alle prese con i problemi connessi al deficit di bilancio,
molte scuole chiudono, si cancellano molte corse degli autobus, si riduce
l’assistenza sociale alle fasce più deboli della popolazione, e via elencando.
Occorre quindi ridimensionare l’apparato regionale con un notevole decentramento
amministrativo e i soldi che si risparmiano utilizzarli per lo sviluppo reale.
Orbene la Federazione delle tre Regioni, che non perderebbero identità e
autonomia, potrebbe contare su economie di scala e porre le basi per la
creazione delle condizioni finalizzate ad uno sviluppo economico auto-sostenuto.
Nella prospettiva di tale nuovo scenario le comunità locali, da parte loro,
dovranno impegnarsi a rilanciare la propria identità e qualità del territorio.
Le rispettive amministrazioni comunali dovranno porsi una serie di obiettivi
atti a migliorare e rigenerare l’ambiente perché questo sia fruibile in maniera
diversificata e funzionale. Un ambiente migliore ha ricadute immediate sulle
economie delle comunità interessate. I possibili ambiti di intervento vanno
dall’agricoltura alla conservazione della natura e della biodiversità; dal
turismo all’ambiente e sua gestione sostenibile (usando fonti rinnovabili con
giudizio, ovvero contro il loro uso scellerato e speculativo); dal collegamento
tra le comunità (vedi Unione dei Comuni) alla differenziazione delle attività
agricole; dal paesaggio allo sport; dalla Cultura alla salute e benessere umano;
dall’archeologia, storia e tradizione locale ad Arte e mestieri; dalla
realizzazione di nuove aree boscate alla promozione del mercato dei prodotti
locali.
Le sfide dell’economia moderna suggeriscono percorsi concreti e credibili:
manifattura e conoscenza si intrecciano sempre di più, tecnologie e abilità
manuali sono interconnesse per rispondere alle domande di innovazione e di
qualità. Naturalmente alla base di tutto dovrà esserci un risveglio della
società civile per vincere una mentalità diffusa secondo cui non c’è alternativa
al sistema in essere quasi fosse immodificabile. Auguri dunque alla “Marca
adriatica”, e alle sue comunità locali, per un futuro diverso e migliore.