12/4/2011 ● Cultura
Le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica
“Siamo stati sedotti dalla crescita economica, ma senza istruzione non c’è
progresso”. Esplicita è la presa di posizione di Martha C. Nussbaum nel suo
ultimo libro, Non per profitto (con sottotitolo: Perché le democrazie
hanno bisogno della cultura umanistica), uscito per i tipi de il Mulino, con
una prefazione di Tullio De Mauro (pagg. 168, euro 14). Nussbaum, docente di Law
and Ethics all’Università di Chicago, è una filosofa statunitense, molto nota
anche in Italia, dove le sue tesi sono oggetto di costante discussione.
Personalmente, anni addietro, nel redigere una tesi di Master in tema di
Interculturalità e Diritti umani, ho condiviso molto delle sue argomentazioni a
sostegno del concetto descrittivo e normativo individuato nell’approccio delle “capabilities”,
le capacità umane. Un termine questo che Nussbaum ha ripreso dalla riflessione
del filosofo ed economista Amartya Sen, ampliandone lo spettro semantico al fine
di indicare ciò che le persone non solo hanno diritto di fare, ma sono realmente
in grado di fare, in un orizzonte che è quello della dignità umana. Nussbaum è
una studiosa del mondo classico greco-romano e con interessi verso tematiche di
filosofia morale, di politica e di cultura. In relazione al suo recente saggio,
oggetto del presente sintetico commento, l’autrice ha sottolineato (Repubblica,
22 febbraio) che il suo programma comporta tre esigenze fondamentali. “La
prima è l’attività socratica del promuovere la capacità di ogni persona di auto-esaminarsi
e auto-chiarirsi, favorendo una cultura pubblica deliberativa più riflessiva,
in cui si sia meno influenzati di quanto lo siamo ora dagli altri, dall’autorità
e dalla moda. La seconda è la capacità di pensare come ‘cittadini del mondo’,
con una conoscenza adeguata della storia del mondo, dell’economia globale, e
delle principali religioni mondiali. La terza è coltivare l’immaginazione
simpatetica. Già i bambini sono capaci di immedesimarsi nella posizione degli
altri, ma questa capacità ha bisogno di essere sviluppata, se deve rendere i
cittadini capaci di pensarsi al di fuori del loro circolo ristretto e assumere
le posizioni di gente molto diversa da loro. Una democrazia non può durare molto
senza queste tre abilità. E non possiamo assumere che esse compariranno
magicamente dal nulla, senza che vengano deliberatamente coltivate attraverso
l’educazione”. Un tipo di educazione che “non è affatto costosa. Richiede
insegnanti che si dedichino, ma non attrezzature speciali. Ho visto persone
nelle aree rurali dell’India educare bambini stando seduti a terra conversando,
o cantando e ballando, e ottenere ottimi risultati perché erano insegnanti a cui
importava quel che facevano e che sapevano farlo bene, e senza annoiarsi”.
Dunque – nota Maurizio Ferraris su Repubblica del 22/2 – “il problema non è
anzitutto l’economia, bensì il pregiudizio politico e culturale nei confronti
del sapere disinteressato”, che privilegia una tipologia standard (quella
dell’istruzione per il puro profitto) per la quale lettere e arti sono materie
superflue, anzi produttrici di pensiero critico e quindi da scoraggiare ed
emarginare dai programmi scolastici. E’ il virus che ha incominciato a circolare
con sempre maggiore prepotenza nei sistemi educativi occidentali, dove le
discipline umanistiche e artistiche vengono progressivamente ridotte a beneficio
di quelle tecniche, in sintonia con l’obiettivo della crescita economica che, a
ben vedere, stenta ad arrivare… mentre crescono disuguaglianze e sperequazioni
in termini di ricchezza. Una “nazione decente”, rimarca Nussbaum, deve, invece,
farsi promotrice del paradigma dello sviluppo umano e delle “capacità” (vedi
sopra l’approccio delle “capabilities”). Si tratta, per l’appunto,
dell’istruzione per la democrazia, che mira alla formazione dei cittadini e,
quindi, alla preparazione di persone capaci di pensare agli altri in termini di
reciprocità e rispetto. Quell’istruzione per la democrazia, fondata sulla
pedagogia socratica e sulla centralità del ragionamento, che ha trovato il
proprio habitat proprio nel sistema educativo degli Stati Uniti da Dewey alle
grandi Università dove si insegnano le ‘liberal arts’. Dunque non un
“nostalgismo” per una cultura di nicchia e “passatista”. “I filosofi
dell’Illuminismo – precisa Nussbaum - non sempre diedero il giusto valore
alla cura, all’amore, e alle altre forme di buona vulnerabilità. Sotto questo
profilo il mio progetto non è esattamente come quello di Kant, anche se gli è
molto vicino”. Per concludere, l’economia postmoderna ha bisogno di innovazione,
e dunque di quel pensiero indipendente e immaginativo che viene coltivato
proprio attraverso lo studio delle lettere e delle arti. Ecco il profitto di ciò
che si fa “non per profitto”. Ecco a cosa serve la cultura umanistica,
ovvero il sapere critico.